< Trattatello in laude di Dante
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Origine di questa usanza
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Sono alcuni li quali credono, perciò che sanno Danne amata da Febo e in lauro convertita, essendo Febo e il primo auttore e fautore de’ poeti stato e similmente triunfatore, per amore a quelle frondi portato, di quelle le sue cetere e i triunfi aver coronati; e quinci essere stato preso esemplo dagli uomini, e per conseguente essere quello, che da Febo fu prima fatto, cagione di tale coronazione e di tai frondi infino a questo giorno a’ poeti e agl’imperadori. E certo tale oppinione non mi spiace, né nego così poter essere stato; ma tuttavia me muove altra ragione, la quale è questa. Secondo che vogliono coloro, li quali le virtù delle piante ovvero la loro natura investigarono, il lauro tra l’altre più sue proprietà n’ha tre laudevoli e notevoli molto. La prima si è, come noi veggiamo, che mai egli non perde né verdezza, né fronda; la seconda si è che non si truova questo àlbore mai essere stato fulminato, il che di niuno altro leggiamo essere avvenuto; la terza, che egli è odorifero molto, sì come noi sentiamo: le quali tre proprietà estimarono gli antichi inventori di questo onore convenirsi con le virtuose opere de’ poeti e de’ vittoriosi imperadori. E primieramente la perpetua viridità di queste frondi dissono dimostrare la fama delle costoro opere, cioè di coloro che d’esse si coronavano o coronerebbono nel futuro, sempre dovere stare in vita. Appresso estimarono l’opere di questi cotali essere di tanta potenzia, che né il fuoco della invidia, né la folgore della lunghezza del tempo, la quale ogni cosa consuma, dovesse mai queste potere fulminare, se non come quello albero fulminava la celeste folgore. E oltre a questo diceano queste opere de’ già detti per lunghezza di tempo mai dover divenire meno piacevoli e graziose a chi l’udisse o le leggesse, ma sempre dovere essere accettevoli e odorose. Laonde meritamente si confaceva la corona di cotai frondi, più ch’altra, a cotali uomini, gli cui effetti, in tanto quanto vedere possiamo, erano a lei conformi. Per che non senza cagione il nostro Dante era ardentissimo disideratore di tale onore ovvero di cotale testimonia di tanta vertù, quale questa è a coloro li quali degni si fanno di doversene ornare le tempie. Ma tempo è di tornare là onde, intrando in questo ci dipartimmo.

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