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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


UGO FOSCOLO.





Charitas . . . . omnia sperat.

(1. Cor. 13. 7).



Ugo conobbi, e qual fratel l’amai,
     Chè l’alma avea per me piena d’amore:
     Dolcissimi al suo fianco anni passai,
     4E ad alti sensi ei m’elevava il core.
     Scender nol vidi ad artifizi mai,
     E viltà gli mettea cruccio ed orrore:
     Vate era sommo, ed avea cinto l’armi,
     8E alteri come il brando eran suoi carmi.

Tu fosti, o mio Luigi1, il caro petto
     Che, allorch’io dalle Franche aure tornava,
     Me a quell’insigne amico tuo diletto
     12Legasti d’amistà che non crollava:
     Oh quanto è salutare a giovinetto,
     Perchè avvolgersi sdegni in turba ignava,
     Lo stringer mente a mente e palma a palma
     16Con celebre, gentil, fortissim’alma!

Ma, sventura, sventura! Uom così degno
     D’amar colla sua grande anima Iddio,
     In fresca età l’ardimentoso ingegno
     20Ad infelici dubitanze aprìo:
     Chè di natura l’ammirabil regno
     Opra di cieche sorti or gli apparìo,
     Or de’ mondi il Signor gli tralucea,
     24Ma incurante d’umani atti il credea.

Nondimen fra’ suoi dubbii sfortunati,
     Ugo abborrìa l’inverecondo zelo
     Di que’ superbi, che, di fè scevrati,
     28Fremono ch’altri innalzin voti al cielo;
     E talor mesto invidïava i fati
     Del pio, cui divin raggio è l’Evangelo;
     E spesso entrava in solitario tempio,
     32Come non v’entra il baldanzoso e l’empio.

E mi dicea che que’ silenzi santi
     Della casa di Dio nella tard’ora,
     Quando qua e là da pochi meditanti
     36Sovra i proprii dolor si geme ed òra,
     Ovvero i dolci vespertini canti
     Sacri alla Vergin ch’è del ciel Signora,
     Nell’alma gl’infondean pace profonda,
     40O d’alta poesia la fean gioconda.

Sempre onoranza tra i più cari amici
     Rose al canuto Giovio venerando,
     E sue parole di virtù motrici
     44Con benevol desìo stava ascoltando,
     E a lui diceva: — « Anch’io giorni felici
     Ho sulla terra assaporati, quando
     Innamorata ancor la mia pupilla
     48Vedea quel Nume che a’ tuoi rai sfavilla ».

E Giovio protendendo a lui la mano,
     Paternamente gli diceva: — « Io spero,
     Io per te spero assai, perocchè umano
     52E magnanimo ferve il tuo pensiero!
     Invan t’ostini fra dubbiezze, invano
     Della grazia ricàlcitri all’impero:
     Iddio t’ama, ti vuol, nè ti dà pace,
     56Sinchè d’amor non ardi alla sua face ».

Tai detti al cor scendean del generoso
     Che il bel profondamente ne sentiva;
     E al vecchio amico rispondea: — « Non oso
     60Sperar che in mar cotanto io giunga a riva;
     Ma vero è ben che più non ho riposo,
     Dacch’egli è forza che dubbiando io viva,
     E un dì tua sicuranza acquistar bramo,
     64E il mister della Croce onoro ed amo ».

E siccome al buon Giovio sorridea
     Con ossequio amantissimo di figlio,
     Così sul mio Manzoni Ugo volgea
     68Quasi paterno, glorïante ciglio:
     In esso egli ammirava e predicea
     Di fantasìa grandezza e di consiglio,
     Forte garrendo, se taluno ardìa
     72Di Manzoni schernir l’anima pia.

Tal eri, o mio sincero Ugo; e più volte
     Io pure udii tuoi gemiti secreti,
     Qualor non prevedute eransi accolte
     76Su te cause di giorni irrequïeti.
     Ln guancia t’aspergean lagrime folte
     Ricordando i fuggiti anni tuoi lieti:
     — « Percuotemi, sclamavi, un Dio tremendo,
     80Che offender non vorrei, ma certo offendo! »

Allora a dimostrar che titubante
     Mal tuo grado bolliva il tuo intelletto,
     Ed odio non portavi all’are sante,
     84E di sete del ver t’ardeva il petto,
     Meco avvertivi nella Bibbia quante
     Splendesser tracce del divino affetto,
     E confessavi, in tue mestissim’ore
     88Sol raddolcirti quel gran libro il core.

Un dì col genitor del mio Borsieri
     Io passeggiava al bosco suburbano,
     E tu ch’ivi leggendo sedut’eri,
     92Ci vedesti, e gridasti da lontano:
     « Ecco il volume degli eterni veri! »
     Corsi, e il volume presi io da tua mano:
     Lessi: Evangelio! E — « Bacialo! dicesti;
     96Gl’insegnamenti d’un Iddio son questi! »

Ah, sebbene quell’Ugo ottenebrato
     Mal sapesse scevrar natura e Dio,
     E talor supponesse annichilato
     100Nella tomba il mortal che i dì compìo;
     D’altro dopo l’esequie eccelso fato
     Nodrìa talor vivissimo desìo,
     E dir l’intesi: — « No, quest’alma forte
     104Mai non potrà vil pasto esser di morte! »

E ben più udii dal labbro tuo eloquente,
     Quando insiem leggevam famose carte,
     Ove un illustre ingegno miscredente
     108Rampogne avea contro alla Chiesa sparte:
     Dal seggio allor balzasti impazïente,
     E ti vidi magnanimo scagliarte
     A sostener con voci alte e robuste,
     112Che le accuse ivi mosse erano ingiuste.

E quantunque a’ Pontefici severo
     Si volgesse il tuo spirto e a’ Sacerdoti,
     Ammiravi la cattedra di Piero
     116Ne’ giorni di sua possa più remoti;
     E di gentil nell’arti magistero
     Datrice l’appellavi a’ pronepoti;
     E sovra ognun che fu decoro all’are
     120Liberal laude ti piacea innalzare.

Se in alcuna tua carta eco facesti
     D’animi non cristiani alla favella;
     Se di soverchio duol semi funesti
     124Sparsi hai ne’ cuor che passïon flagella;
     Se del secolo errante in cui nascesti,
     Bench’alta, l’alma tua rimase ancella,
     Opra fu di fralezza e di prestigio,
     128Non mai di petto a mire inique ligio.

E il tuo libro d’amore isconsolato,
     Benchè riscosso immensi plausi avesse,
     Benchè da te qual prima gloria amato,
     132Bench’opra non indegna a te paresse,
     Talor gemer ti fea, ch’avvelenato
     Un sorso gioventù quivi beesse
     D’ira selvaggia contra i fati umani,
     136Ed idolo Ortis fosse a ingegni insani.

Biasmo gagliardo quindi al giovin davi
     Che ti dicea suoi forsennati amori;
     E l’atterrarsi, codardìa nomavi,
     140Sotto qual siasi incarco di dolori;
     E sua vita serbar gli comandavi
     Per la pietà dovuta a’ genitori,
     Pel dovuto anelar d’ogni vivente,
     144Sì che sacri a virtù sien braccio e mente.

Di molti io memor son tuoi forti detti
     Da core usciti di giustizia acceso,
     E a tue nascose carità assistetti,
     148E al tuo perdon ver chi t’aveva offeso;
     E pochi vidi sì söavi petti
     Portar costanti il proprio e l’altrui peso,
     E quel pianto trovar, quella parola,
     152Che gli afflitti commove, alza e consola.

Memor di tanto, io spero, e spero assai,
     Che, sebben conscio non ne andasse il mondo,
     Sul letto almen della tua morte avrai
     156Sentito del Signor desìo profondo:
     Spero che l’Angiol degli eterni guai,
     Già di predar tua grande alma giocondo,
     L’avrà fremendo vista all’ultim’ora,
     160Spiccato un volo al ciel, fuggirgli ancora.

E mia speranza addoppiasi pensando
     Che alla tua madre fosti figlio amante:
     Quella vedova pia vivea pregando
     164Che tu riedessi alle dottrine sante:
     Di buoni genitor sacro è il dimando,
     E sul cuor dell’Eterno è trionfante,
     Nè da parenti assunti in Paradiso
     168Figlio che amolli, no, non fia diviso.

L’inferma, antica genitrice ognora
     Benediceva a te con grande affetto,
     Perchè al minor fratello ed alla suora
     172D’alta amicizia andar godevi stretto:
     Furono a Giulio giovincello ancora
     Quai di padre tue cure e il tuo precetto,
     Ed amai Giulio perocch’ei t’amava,
     176E l’alma tua del nostro amor brillava.

Ah! tanto spero io più la tua salvezza,
     Che sventurato fosti in sulla terra!
     Or tuoi difetti, or tua leale asprezza
     180Ti suscitàr di mille irati guerra:
     E di profughi dì lunga amarezza,
     E povertà t’accompagnàr sotterra:
     Nè lieve a te fu duol che dolci amici
     184Fossero al pari, o più di te infelici.

Le lagrime vegg’io che certo hai spanto
     Quando l’annuncio orribil ti giungea
     Che, tronco della vita a me ogn’incanto,
     188Per anni ed anni in ceppi esser dovea:
     Il Cielo sa se in mia prigion t’ho pianto,
     E quai voti il cor mio per te porgea!
     Sempre io chiesi per te l’inclita luce
     192Che di tutto consola, e a Dio conduce.

Dolce mi fu dopo decenne pena
     Riedere alla paterna amata riva;
     Ma allo spezzarsi della mia catena
     196D’immenso gaudio l’alma mia fu priva;
     Chè di tue rimembranze era ripiena,
     E già in Britannia il cener tuo dormiva!
     E seppi tue sciagure, e niun mi disse
     200Se, morendo, il tuo core a Dio s’aprisse!

Di tua vita furenti indagatori,
     Per laudare o schernir la tua memoria,
     Di te narraro i deplorandi errori
     204Quasi parte maggior della tua gloria:
     Falsato indegnamente hanno i colori!
     Del tuo core ignorato hanno l’istoria!
     Ugo conobbi, o ingiurïanti infidi,
     208E tra’ suoi falli alta virtude io vidi!

E tu, schietta e magnanima Quirina,
     Che appien di lui pur conoscesti il core,
     Meco ogni dì il rammenti alla divina,
     212Infinita pietà del Salvatore:
     Come la mia, tua dolce alma s’inchina
     Con invitta fiducia e con fervore
     A pro del nostro amato, onde con esso
     216Veder per sempre Iddio ne sia concesso.

Appagar te non ponno, e me neppure,
     Nessun ponno appagar su caro estinto
     Funebri canti o funebri scolture,
     220Da cui pari ad eroe venga dipinto:
     Uopo han di Dio le amanti creature!
     A fede e speme han l’intelletto avvinto!
     Noi non chiamiamo eroe l’amico andato:
     224Amiam, preghiam ch’ei sia con noi salvato!

Noi d’Ugo abbiamo un giudice pietoso,
     E tu sei quello, onniveggente Iddio:
     Non un de’ suoi sospir ti fu nascoso;
     228Anzi a te ogni sua giusta opra salìo.
     Che festi d’un mortal sì generoso?
     Dimmi se il perdonavi e a te s’unìo!
     Ah, se ancor di sue piaghe afflitto langue,
     232Appien le asterga, o buon Gesù, il tuo sangue!


  1. Mio fratello primogenito.

Note

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