Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1892
Questo testo fa parte della serie Annotazioni numismatiche genovesi

ANNOTAZIONI NUMISMATICHE GENOVESI


XXI.


ULTIMI MINUTI E LORO MULTIPLI ANEPIGRAFI.



Avendo cominciato dai minuti la serie di queste mie Annotazioni sebbene non mi sia limitato a queste sole monete, confesso tuttavia il mio compiacimento ogni qual volta mi si presenti l’opportunità di ritornare su questo argomento.

Non mi fu dato per ora di aggiungere qualche cosa di importante per la serie antica. A quella invece dei minuti dei Dogi biennali col castello dei quali conoscevamo le sigle LB, IV, HP ed IZ1, posso aggiungerne uno colla sigla BG, che perciò dovrebbe trovar posto dopo il n. 1153 delle Tavole Genovesi all’anno 1561, quantunque non si abbia dai documenti conosciuti, il nome del soprastante corrispondente a queste iniziali.

Il nuovo tipo della Vergine è impresso dopo il 1638 anche sui denarini, e la prima volta che se ne ha notizia, è nel catalogo Wellenheim2. In seguito n’ebbi anch’io un esemplare del peso di gr. 0,69 ed a quanto pare di rame puro, che ho descritto e disegnato nelle Tavole3. Non avendo conoscenza di altri esemplari o varianti, sembra vanii che fossero questi i soli ed ultimi rappresentanti del minuto con leggenda, quando in questi ultimi tempi me ne capitò un altro con tali caratteri da farlo riconoscere per meno antico. Infatti tanto il busto della Vergine quanto le lettere sono più piccole, e le stelle che nei primi sono intercalate nella leggenda, vengono sostituite in questo da semplici punti. Sebbene quest’ultimo si palesi evidentemente meno antico dell’altro, pure non vorrei credere che questa monetina possa aver continuato per molto tempo ancora, considerandone la rarità in confronto di quelle precedenti col castello, e dei denarini anepigrafi dei quali dirò in seguito. In ogni modo è da deplorarsi che manchino i documenti relativi di quest’epoca.

Ma indipendentemente dalla maggiore o minor durata del minuto colla Madonna, questa specie di moneta non ebbe fine con questo tipo, ma si trasmutò in quel denarino senza leggenda già riportato da diversi autori e descritto nelle nostre Tavole4. Di questo, non sarà fuor di luogo ripetere qui la descrizione unitamente ai multipli suoi, che per maggior comodità del lettore ho disegnato in capo alla presente.

1. D/ D • 1 R/ Croce isolata V. Fig. 1.
2. D/ D • 2 R/ " " 5. " " 2.
3. D/ 2. R/ " " 6. " " 3.
4. D/ 3. R/ " " 7. " " 4.


L’assegnazione cronologica come si trova nelle tavole Genovesi non va presa quale verità assolutamente provata, ma un indizio importante la conferma per l’anno 1751, anno che l’Avignone aveva segnato per queste monete. Il lettore avrà forse posto mente alla nota nella colonna delle osservazioni, a pag. 237, relativa alla coniazione di nuova moneta da denari 2 in seguito alla scarsità d’argento. Il pezzo adunque da due denari, non fu mai usato prima di quell’anno, ma avendosi due tipi della moneta, cioè quello colla inziale D, e l’altro senza iniziale, non si può asserire con certezza quale sia il più antico, cioè coniato nel 1751: tuttavia per analogia del tipo, risulta evidente che il minuto con D 1 deve essere stato coniato posteriormente a quella data.

Circa alla provenienza della nota in margine, l’Avignone deve averla riportata dall’Acinelli8 il quale a pag. 355 del Tomo II scriveva: “Ond’è che quest’anno 1751, correndo l’indizione di Genova 13, per la scarsezza d’argento fu stampata in Genova una nuova moneta di rame da denari due, cioè una sesta parte di soldo, etc.“ Non trovai documenti a conferma di questa notizia, ma l’asserzione dell’Acinelli non perde della sua importanza per questo, come quella che è testimonianza di uno scrittore sincrono. Per chi volesse convincersi, colla ispezione delle Tavole, della citata penuria d’argento in quell’anno, gli sarà facile, poiché vedrà sin dal 1720 cessare quella ricca e continuata emissione dei buoni scudi larghi e stretti e dei loro spezzati; nel 1722 vedrà comparire per poco tempo un pezzo da 24 soldi e della metà sua al titolo di 860: poi qualche raro scudo stretto: scendendo verso il 1745, vedrà come si rimediasse coll’emissione delle madonnine a 833; ma l’argento scompare definitivamente al 1749, per non ritornare che alla fine del secolo cogli scudi di S. Giovanni a 890.

Dalla differenza fra queste monete, consistente nella cifra accompagnata oppur no dalla iniziale D, nasce spontanea la domanda se possano esistere il minuto senza D ed il da tre colla iniziale, monete che completerebbero le due serie, delle quali dovrebbe aversi per più antica quella coll’iniziale perchè meno semplice. Il non conoscersi ancora queste nionete dai raccoglitori non esclude che siano state coniate: aspettiamo dunque che vengano fuori in seguito.

Dovrei ora trattare del peso; cosa difficile, perchè non conoscendo quello legale, non ci rimane che quello degli esemplari esistenti, sul quale si deve procedere con molta circospezione. Non ho avuto a mia disposizione un gran numero di esemplari per formare le medie, ma tuttavia abbastanza per averne dati sufficienti e dedurne risultati che mi sembrano concludenti: beninteso che ho scartato quelh troppo consunti, e qualche altro che per essere coniato sopra un tondino più grosso, raggiungeva un peso eccezionale. Orbene, i pezzi da D 1 e D 2 mi hanno dato la media pel denaro di gr. 0,65, mentre quelli senza iniziale e colla sola cifra, raggiunsero a mala pena la media di gr. 0,45.

Volendo confrontare questi pesi con quelli di epoche diverse dei Dogi biennali, potremo farlo benissimo, avendo i pesi legali di emissione tanto per la seconda metà del XVI, quanto per la stessa del XVIII secolo. Nel 1572 il peso dei minuti doveva essere di gr. 0,499. nel 1582 di 0,471, nel 1590 di 0,447 e nel 1602 di 0,4329. Infatti i minuti col castello pesati in buon numero, scartando i meno conservati, mi hanno dato una media in peso di gr. 0,45, che combina appunto colla media dei pesi legali: e conviene ricordare che questi minuti hanno ancora un titolo, (quantunque di soli 41 mm. Viene poi quello colla Vergine dopo del 1638 che pesa gr. 0,69, non tenendo conto del secondo esemplare meno conservato che pesa molto meno; e questo aumento in peso devesi all’abolizione della lega, anzi credo che il peso legale debba essere maggiore, ciò che potremo forse verificare con migliori esemplari.

In seguito, forse anche prima del 1670, si coniò un grosso pezzo in rame da 12 denari colla metà ed il quarto, con leggende sulle due faccie10, monete abolite poco dopo11 e che danno la media pel denaro in gr. 0,75. Qui entrano in serie le monetine colla iniziale D del 1751, col peso del minuto di gr. 0,65, seguite da quelle colla sola cifra che danno la media di gr. 0,45.

Finalmente abbiamo quella coniazione continuata dal 1768 al 1797 dei pozzi da denari 4, coll’arme al D/ ed il valore tra due rami al R/, numerosa di esemplari e di leggiere varianti che danno una media di gr. 0,40 pel denaro. Ed infatti l’ordine di emissione in data 19 febbraio 1768 ne fissa il taglio a. 192 per libbra, che equivale a gr. 1,649, cioè a 0,412 per denaro.

Questi pesi in continua decrescenza, confermano la precedenza di emissione dei pezzi colla iniziale su quella degli altri colla sola cifra, già indicata dalla minor semplicità di tipo.

Poiché il denarino anepigrafo mi condusse necessariamente a toccare dei suoi multipli da due e da tre, trovo che qui cade opportuno di rilevare una inesattezza incorsa in una importante pubblicazione di pochi anni addietro, quella del Barone Furse12, nella quale viene attribuito a Malta il nostro pezzo da denari tre. E poiché mi piace dare a Cesare ciò che è di Cesare ed al Rizzini ciò che è del Rizzini, dirò che fu per l’appunto questo dotto amico, il Direttore di quel Museo Bresciano che egli imprese ad illustrare con tanto amore, con tanto studio e tanta accuratezza, il quale mi fece avvertito di quell’errore del Furse facile a passare inosservato, essendo fuori del corpo dell’opera. Figura infatti nell’appendice a pag. 394 con altro quattro marche, tutte appartenenti alla raccolta di Mons. Taggiasco, e vien reputata tanto rara da assegnarle il valore di 100 lire.

Non vedo molto chiaramente quali criteri abbiano potuto indurre il Ch. autore o forse anche Mons. Taggiasco, a questa involontaria sottrazione dalla serie Genovese di una monetina molto comune da noi, per convertirla in un raro cimelio dell’Ordine di S. Giovanni. Non la forma della croce, che per l’epoca cui l’impronta mostra di appartenere, non si ha più altra croce per l’Ordine che quella così detta Maltese, cioè colle braccia a coda di rondine. Rimane adunque quella sola e lontana analogia della cifra 3 nel campo, con quella dei pezzi in rame da tre piccioli di sei Gran Maestri che dal 1582 vanno fino al 1657. Queste monetine che tutti i raccoglitori conoscono benissimo, con leggenda dalle due parti, hanno da un lato il campo inquartato dell’ordine e del G. Maestro, e dall’altra la cifra 3 nel mezzo: analogia che fu senza dubbio causa dell’errore. Oltre alla mancanza delle leggende e dell’arme, per cui non si credette bene di innalzare alla dignità di moneta il nostro pezzo, ma relegarlo tra le marche, vi è anche un’altra differenza. La forma del 3 ha uno spiccato carattere tutto suo per le maggiori proporzioni della metà superiore, e per l’allargamento triangolare del braccio, che la distingue da quella dei 3 piccioli Maltesi. Giova pur anche avvertire che la serie monetaria dell’Ordine non offre precedenti di monete anepigrafi, mentre la genovese ne ha esempi perfino nel tipo della Madonna13. senza contare i D 1, e i D 2 e specialmente quello del 2 senza il D; e se l’autore avesse avuto conoscenza dell’opera Descrizione di Genova e del Genovesato del 1846, vi avrebbe trovato il disegno della moneta stessa. Per ultimo, la rarità esagerata data dal Furse al nostro pezzo da 3 denari, è una controprova dello errore di attribuzione, considerando quanto sia comune nel nostro territorio ligure.

Era conveniente questa rivendicazione trattandosi di una monetina così modesta? Per me il maggior o minor valore di un pezzo non deve influire sulla questione. Il vedere la stessa moneta descritta o disegnata in opere illustrative di zecche diverso, può ingenerare il dubbio che queste irregolarità di minor conto facciano riscontro ad inesattezze di importanza maggiore. In conseguenza io credo che incumba ad ognuno l’obbligo di denunziarle.

Ho accennato più d’una volta al poco conto in cui erano tenuti i denarini dai raccoglitori, per modo che anche i meno rari mancavano nelle collezioni, e pochissimi furono coloro che si occuparono a decifrare qualche volta le loro leggende abbreviate. Ora non voglio tralasciare di far nota una circostanza che riguarda queste monete, che se non basterà a rialzarne il pregio, resterà a titolo di curiosità numismatica. Questi infimi individui della nostra serie metallica, ebbero anch’essi al pari dei loro maggiori multipli nei metalli nobili, l’onore delle falsificazioni. Non potrei asserire che i falsificatori siansi occupati dei denarini dopo che si tagliarono nel rame schietto, non rimanendo loro che la sola differenza di peso; ma quando potevano avere un piccolo lucro sulla infinitesima parte di argento che dovea entrare nella loro lega, non trascurarono di farlo.

Fra i minuti del Doge XXVI e dei seguenti, ne ho alcuni che si direbbero di rame puro: tra quelli del Governatore Agostino Adorno, ne trovai qualcuno d’una lega giallastra come di ottone, dunque indubbiamente falso. Né mi pareva impossibile infatti che i falsificatori avessero approfittato della gran quantità che se ne dovette coniare sotto l’Adorno, per mettere in circolazione i prodotti della loro colpevole industria. Ma un documento del 12 ottobre 146214 ci conferma che venivano falsificati anche i minuti. Il documento citato, è relativo alla cussione di moneta argentea spicciola “cum preter aureos et grossos argenteos, nulla prope inveniatur in tota urbe moneta quam nummorum minutorum, qui etiam adulterinis permixti sunt.“

Cremona, Ottobre 1892.

  1. Tavole descrittive delle monete della zecca di Genova dal 1139 al 1814. Genova, 1891, nn. 1192-95. 1341-45, 1363 e 1410
  2. Catalogue de la grande Collection de monnaies et méd. de mr. Welzl de Wellenheim. Vienna, 1844-45, n. 2623.
  3. Pag. 164, n. 1563 e Tavola V, n. 50.
  4. Benaven, Le Caissier Italien, Lione, 1787-88: Tav. 126, n. 50. — Descrizione di Genova e del Genovesato, Genova 1846; alla Tavola numismatica annessa n. 57. — Tavole Genovesi n. 2147.
  5. Benaven, Tav. 126, n. 40. — Descrizione di Genova, etc, n. 50. — Tavole Genovesi nn. 2145 e 2140. Di questo da due, si ha un’altra varietà colle lettere più grandi.
  6. Tavole Genovesi n. 2141.
  7. Descrizione di Genova, etc, Tavola annessa n. 55. — Tavole Genovesi n. 2143.
  8. Compendio della storia di Genova, etc, Ediz. originale, Lipsia 1750.
  9. Desimoni Sui denari minuti, etc. in Giornale ligustico a. IX- 1832, p. 224-225.
  10. V. Tavole Genovesi, nn. 1768 e 1778-80.
  11. Il Desimoni, colla consueta cortesia, mi dà notizia di una tal proibizione avvenuta in data 21 gennaio 1671, della quale trova cenno in un ms. dell’Avignone.
  12. Furse E. H. Mémoires numismatiques de l’Ordre Souverain de S. Jean de Jérusalem, Roma II Ed. 1889.
  13. Tavole Genovesi, n. 2142. — Benven, T. 120 n. 48, etc.
  14. Archivio di Stato, Diversorum Communis Ianue, reg. 79, 574.

Note

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