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Le bbevanne pe llui La Compagnia de li servitori
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1831

UN’IMMRIACATURA SOPR’ALL’ANTRA.

     Vòi sapé cche ccos’è cche jje dà in testa
Ar fijjo de la mojje de Pascuale?
Vòi sentì cche ccos’è cche jje fà mmale?
4Sta cosa sola: er zugo de l’agresta.1

     Sii vino bbono, o mmezza-tacca,2 o ppesta,3
Nun ze n’esce mai meno d’un bucale.4
Je fa er vin de Ripetta,5 er padronale6...
8Bbasta je monti a ingalluzzì lla cresta.

     Er zu’ padrone jerassera aggnéde7
A mmétteje su in mano un cornacopio,
Perch’era notte e cce voleva vede.

     12Nun ze lo fesce cascà ggiù? cchè propio
Era arrivato,8 e ss’addormiva in piede
Come avessi maggnato er grano d’opio.9


In legno, da Strettura a Terni,
30 settembre 1831.





  1. Il vino. [Agresta, propriamente, corrisponde al toscano “agresto„; ma spesso s’usa, come qui, anche per “uva in genere„. Una canzone popolare: Er zugo de l’agresta Te fa girà la testa.]
  2. Di mezzana qualità.
  3. [Peste.]
  4. [Un boccale conteneva un po’ più di due litri.]
  5. Il porto minore del Tevere, dove viene un cattivo vino di Sabina.
  6. Vino de’ magazzini padronali.
  7. [Andò.]
  8. Ubbriaco perfetto.
  9. Errore derivato in alcuno della plebe dall’udire ordinarsi grani di oppio.

Note

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