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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


UN FILOSOFO.





Lex lux.

(Prov. 6. 23).



Dopo indefessi studii,
     Sopra vantate carte
     Giustin vedea non fulgere
     4Fuorchè bugiarda un’arte
     Con cui l’audacia illudere
     Del fervido mortal,
     E il ver col falso mescere,
     8E la virtù col mal.

A nobil ira il mossero
     Il vil, cinico riso,
     L’epicurea mollizie,
     12Il duro stoico viso;
     In tutte scuole un’invida
     Di laudi fame e d’or;
     Sul labbro la giustizia,
     16L’iniquità nel cor.

E si squarciò dagli omeri
     Nel suo corruccio il manto;
     Gettò i volumi turgidi,
     20Scevri per lui d’incanto,
     E con profondo gemito
     Disse: — « Non v’è quaggiù
     Luce che guidi i miseri
     24A verità e virtù! ». —

« Evvi! » gli grida un provvido
     Vecchio che i lagni udìa.
     Giustin lo mira attonito,
     28Poi dice: « No! follìa! » —
     « Follìe ti svolser gli uomini
     (L’altro risponde allor);
     Leggi quest’alte pagine! » —
     32« Chi le dettò? » — « Il Signor! »

Tra speranzoso e incredulo
     Giustin quel libro afferra:
     Le carte eran profetiche
     36Che a tutti error fan guerra,
     Che svelan ne’ primordii
     D’umanità il fallir,
     Poi l’empio Giuda e il Gòlgota,
     40E d’un Iddio il patir.

Gli sconosciuti oracoli
     Il dubitante aperse,
     E d’Isaia nel cantico
     44Lo spirito sommerse.
     Legge: — Ascoltate, o popoli,
     D’ira divina il suon:
     Io Re del Ciel, di vittime
     48Infastidito io son.

Incensi ed inni perfidi
     Il mio intelletto abborre:
     Premio di voti ipocriti
     52Non mai sperate córre;
     Sangue le mani grondano,
     E voi le alzate a me?
     Tergetele, o miei fulmini
     56Diran che Dio ancor è!

Pur se le destre s’ergono
     Sincere a me tuttora,
     Se rei pensier non serbano
     60Più in vostro cor dimora,
     Se torna altrui benefico
     De’ figli miei l’oprar,
     Credete voi ch’io sappia
     64Miei figli sterminar?

Oh! se a pupilli e vedove
     Esser vi veggio scampo,
     Venite a me: le folgori
     68Non seguiranno il lampo:
     E fosser come porpora
     Sanguigne l’alme pur,
     Al par di neve candide
     72Le rivedrà il futur!

Quelle or minaci or tenere
     Parole d’un Iddio
     Scosser Giustino, ed avido
     76Le carte allor seguìo;
     E giorno e notte al mistico
     Libro lungh’ore ei diè:
     Novi conobbe gaudii;
     80Amò, sperò, credè.

A mastri e condiscepoli
     De’ suoi passati errori,
     Move, ed in pria l’accolgono
     84Con risi e con furori:
     Stupiscon poi del placido
     Suo forte ragionar;
     Miransi, e forse pensano:
     88« Filosofo ancor par ».

Ed ei coll’invincibile
     Possa del dir verace
     Eccita santi aneliti
     92Di carità e di pace:
     Più d’un mortal da glorie
     Superbe visto fu
     Trar con Giustino all’umile
     96Scïenza di Gesù.

Invano, invan rammentano
     Vigliacchi amici al forte,
     Che della Croce ai nunzii
     100Leggi minaccian morte:
     Invano a lui, se i vizii
     S’ostina a maledir,
     Tremanti vaticinano
     104Scherno, prigion, martir.

— « Oh mal pietosi e timidi!
     Risponde al caro stuolo,
     Sappiate che un orribile
     108Martirio esecro solo,
     Quel che patii nel misero
     Mio giovanile error,
     Quando tra fedi varie
     112Mi vacillava il cor.

» Al vero nata l’anima
     Nel dubitar si snerva;
     Quindi a sospetti ignobili
     116Fatta ogni dì più serva,
     Discrede l’amicizia,
     Discrede ogni virtù;
     Nessun eccelso palpito
     120Suoi giorni abbella più.

» Ma, dacchè i vili dubbii
     Cacciai dall’intelletto,
     E potei diva accogliere
     124Filosofia nel petto,
     Dacchè imparai qual abbia
     La vita alto valor,
     E affratellato agli uomini
     128Conobbi il Redentor;

» Io da quel dì mi pascolo
     Di forza e di speranza,
     E questa è gioia intrinseca
     132Che tutte gioie avanza:
     Il vivere emmi grazia,
     Grazia mi fia il morir;
     Uom mi potrebbe estinguere,
     136Ei non può Dio rapir! »

Il predicar fulmineo,
     I trionfanti scritti
     Prima fur detti insania,
     140Poi detti fur delitti;
     Ed ecco il pio filosofo
     In ceppi rei giacer:
     Eccol d’iniquo giudice
     144Gl’insulti sostener.

— « Che ti giovar gli stolidi
     Del Nazareo costumi?
     Se brami scampo, ossequio
     148Presta ad Augusto e a’ numi:
     Mira per quei che agl’idoli
     Incenso negan dar,
     Mira i parati eculei,
     152Mira i flagei d’acciar ».

Non si smentì nell’ansia
     Della terribil ora;
     Mostrò come un Apostolo
     156Opri, patisca e mora:
     Al giudice, a’ carnefici
     Perdono oppose e amor,
     Ed il sublime esempio
     160Nobilitò altri cor.

Venner con lui dal carcere
     Ai barbari supplìci
     Intemerata vergine
     164E cinque eletti amici:
     La giovin fra gli strazii
     Un gemito mandò;
     Giustin mirolla, e impavida
     168Gli strazii sopportò1.


  1. Con S. Giustino furono martirizzati cinque suoi amici ed una fanciulla per nome Caritana.

Note

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