Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1895
Questo testo fa parte della serie Appunti di numismatica italiana




APPUNTI

di


NUMISMATICA ITALIANA


X.


UN CORNABÒ DI MONTANARO


CON   S. AGAPITO.


In un piccolo ripostiglio di monete di Montanaro, da poco tempo scoperto nella Provincia di Torino, ne ho trovato una inedita che merita d’esser segnalata all’attenzione dei numismatici. Essa è un Cornabò di Bonifacio Ferrero abate di San Benigno di Fruttuaria (1525-43). Eccone la descrizione:

Peso gr. 5.000.

D/ – BON: FER: CAR: IPPO: S: BEN: AB. Scudo liscio inclinato, sormontato da elmo chiuso con lambrecchini; al disopra, una corona dalla quale nasce un’aquila pure coronata e volta a sinistra.

R/ – : SANCTVS: AGAPITVS: Un Santo guerriero a cavallo, a destra, col vessillo della croce. Sotto il cavallo, un anello.

La leggenda del diritto varia da quella di altri cornabò di Bonifacio Ferrero pubblicati da D. Promis nella sua interessante monografia sulle monete di questi abati1. La rappresentazione però è identica a quella di molti cornabò, non solo di Montanaro, ma anche di Messerano, di Carmagnola e di Desana. Ciò che forma la specialità di questa moneta si è il Sant’Agapito, che vediamo per la prima volta effigiato sul rovescio di una moneta di Montanaro.

Ho fatto qualche ricerca per vedere se quel Santo potesse aver relazione colla famiglia Ferrero o coi feudi da essa posseduti e quello che trovai, lo giustifica pienamente. Alla terra di San Benigno di Fruttuaria, che apparteneva in origine a questa celebre abbazia, ne furono in seguito aggiunte tre altre, Montanaro, Feletto e Lombardore2. Quest’ultimo comune, al pari della sua chiesa parrocchiale, è posto sotto il patrocinio di Sant’Agapito martire, di cui vi si venerano alcune reliquie. Nella piccola Cronaca manoscritta della badia di San Benigno sta scritto che il capo di detto Santo vi sarebbe stato recato da Preneste nel 1215 dal Conte Bonifacio di San Martino e che fu collocato nel monastero di Lombardore. Altri asseriscono che vi fosse recato da Ottone Gugliemo fondatore della badia; altri infine pretendono che ve l’avesse portato lo stesso Re Arduino. Anche al giorno d’oggi, in Lombardore si celebra il 18 agosto una festa in onore di Sant’Agapito3. Nulla quindi di più naturale che quegli abati, oltre i Santi Benigno e Tiburzio, avessero scelto a loro patrono anche Sant’Agapito, e lo rappresentassero sulle loro monete4.

Come i numismatici ben sanno, il nome di S. Agapito figura su due altre monete italiane anonime, e la loro attribuzione è tuttora incerta e discussa. Ne do qui la descrizione, riassumendo quanto ne fu scritto in proposito. Una di queste è la seguente:


Peso gr. 4,400.

D/ - LVCEM: TVAM: DA: NOBIS: DO(mine). Scudo liscio inclinato, identico a quello testè descritto.

R/ — • SANCTVS: AGAPITVS • Santo guerriero a cavallo, a destra, col vessillo della croce. Sotto il cavallo, un anello.

Delle due monete ora descritte e che facevano parte del ripostiglio suaccennato, ho voluto dare l’impronta dal vero per mostrare quanto il loro disegno e il loro tipo siano identici.

La sola differenza che vi riscontriamo sta nella leggenda del diritto. Al nome di Bonifacio Ferrero, che leggiamo nella prima, fu sostituito, nella seconda, il motto: LVCEM • TVAM • DA • NOBIS • DOmine.

Questa moneta è descritta nel Catalogo della Collezione Welzl5, e attribuita, non so per qual motivo, a Saluzzo (ossia Carmagnola) e precisamente a Michele Antonio (1504-28).

Lo Schweitzer, il quale nelle sue decadi numismatiche6 ci fornisce pel primo un elenco dei Santi che figurano sulle monete italiane, al nome di Agapitus assegna la zecca di Saluzzo, molto probabilmente desumendo questa attribuzione dal citato Catalogo. Questa opinione fu seguita da varii, fra cui il Rentzmann nel suo Legenden-Lexicon7, il Biondelli nella sua monografia sulla zecca di Milano8, il Tonini nella sua Topografia delle zecche italiane9, e i Sigg. Bazzi e Santoni nel loro Vademecum del raccoglitore10.

Tutti questi autori però verosimilmente si copiarono l’un l’altro, e, in ogni modo, non danno alcuna ragione di questa loro attribuzione.

Il Brambilla, in una delle sue eccellenti Annotazioni Numismatiche11, pubblicava nuovamente questo cornabò anonimo, dandone anche il disegno. L’autore conclude il suo lavoro asserendo ch’egli inclina a ritenere autore di questa moneta Gio. Bartolomeo Tizzoni, Conte di Desana (1529-33), e ciò per la somiglianza di questa moneta con altre dello stesso, per la moltiplicità dei Santi che si trovano sulle monete di quella zecca, per le molte contraffazioni che vi si operarono e finalmente pel fatto che questo cornabò ha la targa affatto liscia, e spoglia d’ogni impronta gentilizia, ciò che si riscontra per ben quattro volte sulle monete del Tizzone. L’autore però confessa, che malgrado tante ricerche fatte, non potè trovare nella diocesi di Vercelli alcuna memoria di chiesa dedicata a S. Agapito, o di altro che in qualche modo potesse riferirsi a quel Santo.

Quanto a me (se anch’io devo esprimere la mia opinione), dirò che dopo un attento esame delle due monete suddescritte, la prima idea che mi si affacciò naturale alla mente fu quella di attribuire questo cornabò anonimo a Montanaro, vista la sua grande somiglianza con quello di Bonifacio Ferrero da me pubblicato, e che porta al rovescio il medesimo Santo. — Queste due monete sono certamente opera di un solo artefice, e, (se a qualche cosa vale questo argomento) furono trovate insieme a un certo numero di cornabò, di rolabassi e di cavallotti, tutti di Montanaro.

La targa affatto liscia non presenta alcuna difficoltà alla mia attribuzione, giacche la troviamo non solo sul citato cornabò di Bonifacio Ferrero, ma anche su altre monete dello stesso. 11 tipo di questa moneta, come abbiamo già veduto, fu adoperato indifferentemente per varie zecche, come Messerano. Carmagnola, Desana, ecc. e sui cavallotti di queste zecche troviamo spesso la targa liscia. Ciò vuol dire che, o gli artisti che li lavoravano non si curassero di incidervi i rispettivi stemmi, o che i loro committenti preferissero lasciar le targhe lisce affinchè i loro stemmi non dessero troppo nell’occhio e le loro monete meglio si confondessero le une colle altre.

Come argomento più valido poi mi appoggio al Sant’Agapito, ivi rappresentato, Santo pel quale finora non si trovò alcun nesso colle zecche alle quali si volle attribuire questa moneta anonima, mentre, come vedemmo, appare molto appropriata alle zecche degli abati di San Benigno.




La seconda moneta italiana anonima, col S. Agapito, fu pubblicata da R. Chalon nella Revue Belge12. Dalla stessa ne togliamo il disegno.


D/ + IN • MANIBVS • LINGVE • MORS • ET • VI(ta). Tre bande in uno stemma a testa di cavallo.
R/ - SANCTVS • AGHAPIT. Il Santo in piedi, volto a sin., in abito guerriero, collo scudo nella sinistra, in atto di trafiggere il drago giacente a terra.

La moneta è un’imitazione dei grossi da sci soldi di Gian Giacomo e Gian Francesco Trivulzio; variano solo la leggenda e le insegne dello stemma, che da pali furono mutati in bande.

Lo Chalon attribuisce questa moneta a Lavagna (ossia Mcsserano), dicendola coniata da uno dei primi principi Ficschi, e basa la sua ipotesi sulle bande dello stemma, le quali del resto posscno benissimo appartenere a quello di qualche altra famiglia.

Infatti le bande di questo stemma furono per lo smalto esattamente copiate dai pali dello stemma Trivulzio e, secondo le regole blasoniche, non corrispondono che in parte allo smalto dello stemma dei Fieschi. Questo stemma si componeva di tre bande d’azzurro in campo d’argento; e lo stemma rappresentato in questa moneta risulterebbe bandato di nero e d’argento13. D. Promis nella sua bella monografia sulle monete dei Fieschi e dei Ferrero14, parlando di questa attribuzione dello Chalon, osserva che, ad eccezione delle bande dello stemma, nessun segno si riscontra in questa moneta per poterla attribuire ai Fieschi, non vedendosi mai da alcuno di essi usato nè il motto IN • MANIBVS • LINGVE. MORS • ET-VIta, nè il Sant’Agapito. Quindi conclude sospettando che la moneta "sia stata battuta da Sinibaldo Fieschi in Borgotaro, o da qualcheduno de’suoi fratelli nei feudi imperiali che in quelle parti possedevano, o forse in qualche altra officina nella quale, volendosi contraffare il grosso trivulziano senza lasciar indizio del luogo dove si lavorò o della persona che lo coniò, siansi messe sul medesimo le bande in luogo de’ pali„15.

A tutte queste ipotesi mi permetto ora di aggiungere anche la mia. Dirò anzitutto che, dopo quanto esposi a proposito della prima moneta anonima descritta, sarebbe stato mio desiderio di poter attribuire anche questa seconda alle zecche degli abati di S. Benigno, assegnando una sola origine alle monete che portano il Sant’Agapito. Ma esaminando attentamente il tipo di questo grosso, lo trovo troppo dissimile da quello di tutte le monete di Montanaro, e parmi quindi arrischiata l’attribuzione a quella zecca. — Piuttosto inclinerei a credere questa moneta battuta a Desana dal Conte Giovanni Bartolomeo Tizzoni. Non potrei convalidare la mia attribuzione, né col suddetto motto biblico, né col Sant’Agapito16, pel quale non ho potuto trovare alcun indizio che lo provi; ma l’appoggerei a questo solo fatto, che G. B. Tizzoni è l’unico che abbia ripetutamente contraffatto, non solo il grosso da soldi sei, ma anche il soldino dei Trivulzio, variandovi sempre il nome del santo. Uno di questi grossi col San Giorgio, e un soldino col S. Maurizio furono pubblicati da D. Promis, nella sua opera sulle monete di Dezana17; un altro grosso col S. Teodoro fu da me fatto conoscere con brevi cenni nella Gazzetta Numism. di Como del 188118, e riprodotto poi da Vincenzo Promis nella sua Memoria quarta19.

Queste tre monete imitano perfettamente il tipo di quelle dei Trivulzio, anche nel loro stemma palato, mentre nel diritto vi si legge chiaramente il nome del Tizzone e quello della zecca.

Nella moneta ora descritta invece, al nome ed alla zecca fu sostituito un motto, e invece dei pali nello stemma figurano delle bande. Essendo queste ultime comuni allo stemma di tante famiglie feudatarie, era ben difficile discernere da quale zecca fosse uscita la moneta, e l’autore otteneva il desiderato intento di produrre un tipo di moneta conosciuta ed apprezzata, senza il pericolo d’incontrar delle noje in causa della sua criminosa industria.

Accenneremo da ultimo che non deve recare alcuna meraviglia il vedere su di una moneta dei Tizzoni un Santo che non ha alcuna relazione né colla loro famiglia ne colla loro zecca. Lo stesso può dirsi dei tre santi ora accennati, il S. Giorgio, il S. Maurizio e il S. Teodoro, i quali, al pari di altri che vediamo sulle monete di questa zecca, non hanno alcuna ragione che le giustifichi. A questo proposito il Brambilla, a pag. 95 del suo citato articolo, osserva che " nessuna zecca di questa parte d’Italia regge al confronto di quella dei Tizzoni di Desana per la moltiplicità dei santi, che figurano eccezionalmente sulle sue monete, e che essendo ben dicianove, potrebbero senza difficoltà accogliere nella loro schiera anche il ventesimo in Sant’Agapito „. Quest’argomento allegato dal Brambilla per giustificare la sua attribuzione a Desana della prima fra le due monete anonime in discorso, io l’invoco per la seconda, aggiungendovi le ragioni teste esposte del tipo già ripetutamente imitato che m’inducono a restituire la moneta a Gio. Bart. Tizzoni. Del resto sarò ben lieto se altri, più di me versato nella materia, o fortunato scopritore di nuovi documenti, tosse in grado, o di convalidare la mia attribuzione, o di farne accettare in modo inappellabile un’altra.



  1. Promis D., Monete degli Abati di S. Benigno di Fruttuaria. Torino, 1870, in-4. Tav. I, n. 10; II, nn. 11 e 12.
  2. Lombardore (Castrum Langobardorum) è un comune di circa 1400 abitanti, posto a cavallo del torrente Mallone e confinante con quello di San Benigno di Fruttuaria.
  3. Casalis, Dizionario geografico, storico degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. Torino, 1841, in-8, Art. Lombardore, pag. 876-79. — Bertolotti, Passeggiale nel Canavese, Vol. I.
  4. Alcuni affermano che gli abati di San Benigno avessero appunto un’officina monetaria in Lombardore, e ciò appoggiandosi ad una certa Grida nella quale sono reprobate ogni monete, ecc . . . facte en le ceche di ... . Montanaro, Lombardore, ecc. Il Promis però nell’opera citata (pag. 10), attesta non esistere alcun documento che provi sufficentemente tale asserzione, e che l’unica zecca di quegli abati si trovava in Montanaro. Tuttavia la comparsa del Sant’Agapito su di una loro moneta può far pensare nuovamente a questa possibilità.
  5. Verzeichniss der Münz- und Medaillen-Sammlung des K. K. Hofrathes Leopold Welzl von Wellenheim. Wien, 1844, vol. II, p. 157.
  6. Schweitzer F., Notizie peregrine di numismatica e di archeologia. Trieste, 1857, in-8, decade III, p. 99.
  7. Rentzmann Wilhelm, Numismatisckes Legenden-Lexicon. Erster Theil- Alfabetisch-cronologische Tabellen der Münzherren und Verzeichniss der auf Münzen vorkommenden Heiligen. Berlin, 1865, in-8.
           Si noti però che lo stesso Rentzmann, nel Supplemento alla detta opera, pubblicato nel 1881, assegna ad Agapitus la zecca di Lavagna.
  8. Biondelli B., La zecca e le monete di Milano. Dissertazione. Milano, 1869, in-8, p. 81.
  9. Tonini F. P., Topografia generale delle secche italiane. Firenze, 1869, in-8, p. 89.
  10. Bazzi e Santoni, Vademecum del raccoglitore di monete italiane, ossia repertorio numismatico che ne contiene i motti e gli emblemi, i signori, i feudatarii e le loro zecche, ecc. Camerino, 1886, in-8, p. 195.
  11. Brambilla Camillo, Altre annotazioni numismatiche. Pavia, 1870, in-8, p. 90-98, tav. II, n. 11.
  12. Chalon R., Curiosités nuniismaliques (Revue Belge de Num., 1865, p. 231-34, tav. XI, n. 12.
  13. In araldica l’argento non ha alcun segno, e il nero è indicato da linee perpendicolari ed orizzontali che vanno ad incrocicchiarsi. Le bande d’azzurro avrebbero dovuto essere indicate con sole linee orizzontali. Del resto, come già notammo nelle Monete dei Trivulzio, queste anomalie ed inesattezze blasoniche si incontrano spesso sulle monete di quest’epoca. Lo stemma Trivulzio, che si compone di tre pali verdi in campo d’oro, sulle monete di Gian Giacomo e Gian Francesco Trivulzio, risulterebbe composto di pali neri in campo d’argento.
  14. Promis D., Monete delle zecche di Messerano e Crevactiore. Torino, 1869, in-4, p. 18-19.
  15. Il dottor Solone Ambrosoli nel suo eccellente Manuale di Numismatica (Milano, 1891) porta un copiosissimo elenco dei Santi rappresentati sulle monete italiane. Al nome Agapitus egli contrappone con punto interrogativo le zecche di Borgotaro e Carmagnola. Avendogli ora io comunicato queste mie ipotesi, egli le ha accolte e ne ha tenuto conto nella seconda Edizione del suo Manuale.
  16. Varii sono i Santi Agapiti citati nel Catalogo generale di tutti i nomi dei Santi pubblicati da Gregorio XIII. — Esiste inoltre memoria di un Sant’Agapito, monaco del IV secolo, arruolato dall’imperatore Licinio, in grazia della sua forza straordinaria, e che divenne poi prete e vescovo del Monte Sinai. Una leggenda racconta ch’egli fece morire, in seguito alle sue preghiere, un enorme drago, che faceva gran danno agli uomini e agli animali. Molto probabilmente è questo il Sant’Agapito che si volle effigiare in questa moneta, rappresentandolo sotto le spoglie di San Giorgio (Vedi Chalon, Art. cit, p. 233).
  17. Promis D., Monete della zecca di Dezana. Torino, 1863, in-4, p. 25, tav. III, nn. 13 e 14.
  18. Gnecchi E., Di un cavallotto inedito di Gio. Bartolomeo Tizzone, Conte di Desana (Gazzetta Numism., 1881, anno l, n. 11, p. 54).
  19. Promis V., Monete di zecche italiane inedite o corrette. Memoria quarta. Torino, 1882, in-8, pag. 24, tav. III, n. 26.

Note

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