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     Una Fermana iscoppai da Cascioli:
cetto cetto se gia in grand’aina
e cocino portava in pignoli
saïmato di buona saina.
5Disse: «A te dare’ rossi trec[c]ioli
e operata cinta samartina,
     se comeco ti dài ne la cab[b]a;
se mi viva, mai e boni scarponi».
«Soca i è, mal fa-i che cab[b]a
10la fantilla di Cencio Guidoni.

     Ka donno meo me l’à-i comannato,
ca là i’ le ne vada a le rote,
i[n] qual so’, co lo vitto ferato
a li scotitori, che non me ’n cote,
15e con un truffo di vin misticato,
e non mi scordassero le gote
     e li scat[t]oni per ben minestrare
la farfiata de lo bono farfione.
Leva ’nt’esso, non m’avicinare,
20ou tu semplo, milenso, mamone!»

     Ed io tut[t]o mi fui spaventato
per timiccio. Che nonn- asatanai?
Quando la Fermana tansi ’n costato,
quella mi diede e disse «Ai!
25O tu cret[t]o, dogliuto, crepato,
per lo volto di Dio, mal lo fai,
     che di me non puoi aver pur una cica,
se [già] non mi prend[ess]i a noscella.
Escion[n]a, non gire per la spica,
30sí ti veio arlucare la mascella!»

     «[O] Fermana, se mi t’aconsenchi,
duròti panari di profici
e morici per fare bianchi denchi:
tu·lli à torte, se quisso no ’rdici.
35Se Dio mi lasci passare a lo Clenchi,
giungeròtti colori in tralici».
     «E io piú non ti faccio rubusto
poi cotanto m’ài sucotata:
vienci ancoi, né sia Pirino rusto,
40ed adoc[c]hia non sia stimulata».

     A bor[r]ito ne gío a l’ater[r]ato,
ch’era alvato senza follena;
lo battisac[c]o trovai be·llavato,
e da capo mi pose la scena;
45e tut[t]o quanto mi fui consolato
ca sopra mi git[t]ò buona lena;
     e conesso mi fui apat[t]ovito
e unqua mè’ non vi’ [quando] altr’éi.
«Ma-i fai com’omo iscionito:
50be’ mi pare che tu mastro èi».

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