Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1892

UNA MEDAGLIA


di


ALFONSINA ORSINI


Il Litta, a corredo del molto, ch’egli dice sulla famiglia de’ Medici, riproduce per il bulino le impronte d’un buon numero di medaglie, coniate in onore anche di donne, entrate a, far parte, come che si voglia, dell’insigne casato1. E un numero maggiore, restringendosi ai due soli secoli XV e XVI, ne registra e illustra l’Armand nella sua opera magistrale Les Médailleurs Italiens2. Ma né le tavole dell’uno, né i volumi dell’altro fan cenno di una medaglia in onore di Alfonsina Orsini, di cui si ammira un bell’esemplare nel Museo Civico di Vicenza. La sua dimensiono è di millimetri cinquantasei per sessantadue. D’Alfonsina vi è raffigurato non il semplice busto, ma ben mezza la persona e in forma alquanto più rilevata che non si soglia comunemente nello medaglie. L’insieme, volto a diritta, arieggia a un non so che di dignitoso e d’austero. La testa è coperta d’un drappo, che discende dopo le spalle, le cui pieghe, magistralmente foggiate, lasciano intravvedere l’acconciatura delle chiome, sfuggenti furtivamente dal lembo, lungo la guancia ed il collo. Il seno, molto rilevato, è chiuso da una camicia di lino finissima, stretto da una petturina a ricamo, sopra alla quale allacciasi il busto, adorno agli orli di due liste a trapunto. La manica della porzione del braccio, che pur fa parte al rilievo, è non angusta, ma larga e foggiata a ricche pieghe. La posa dell’insieme è di matrona non giovane, ma di età alquanto provetta, a cui gli anni nulla han però tolto della primitiva bellezza. Vi si legge all’ingiro: — ALFONSINA VRSINIA. — La medaglia difetta del rovescio.


Ho detto che Alfonsina apparteneva al casato de’ Medici. Figlia di Roberto Orsini, conte, secondo alcuni, di Tagliacozzo e d’Alba3 o signore, secondo altri, di Parcentro e Oppido4, vi entrava nel 1487, moglie di Pietro, il primogenito di Lorenzo il Magnifico. Le sue nozze si celebrarono in Napoli alla presenza della corte reale, vivente anche il suocero, arbitro allora più che mai delle sorti d’Italia. Le donne del casato degli Orsini non erano nuove nella famiglia de’ Medici. Figlia di Giacomo Orsini v’era già entrata da parecchi anni la suocera Clarice, moglie a Lorenzo il Magnifico e madre di Pietro, morta il 1488. Alfonsina recava in dote Castel sant’Angelo presso Tivoli e si aveva poi da’ Fiorentini il lago di Fucecchio5. Le fazioni, in cui partivansi i cittadini in Firenze, e la parte seguita dalla nuova famiglia, nella quale era entrata, non le impedirono di mostrarsi devota al Savonarola, che vi commoveva a suo talento gli animi de’ popolani. Dicesi anzi ch’essa vi si lasciasse vincere talvolta dal generale entusiasmo sino al delirio6. Mutate le sorti de’ Medici con la venuta di Carlo VIII di Francia, s’accompagnò nell’esilio al marito, profugo a Bologna, a Venezia, a Siena, ad Arezzo, a Roma ed altrove. E nell’esilio non ismise, secondo il Nardi, di sollecitarne il ritorno in Firenze, orgogliosa com’era che si riacquistasse da lui il perduto potere7.

Non è questo il luogo di raccontare come nessuno de’ parecchi tentativi e nemmen l’ultimo, spalleggiato da’ Veneziani e dal Duca Valentino, fosse coronato da felice successo. Gioverà piuttosto ricordare che Pietro, deluso nelle sue speranze, si pose agli stipendi de’ Francesi, co’ quali prese parte alla battaglia del Garigliano, combattuta contro gli Spagnuoli, capitanati da Consalvo di Cordova, il 28 dicembre 1503. Ma la rotta, toccata dall’armi francesi in quella memoranda giornata, gli riusciva fatale. Narrano gli storici ch’egli perisse alle foci del Garigliano, e propriamente a bordo d’una nave, carica soverchiamente di quattro grossi cannoni, ch’egli s’affaticava di sottrarre alla preda del vincitore. Il Valeriani racconta invece che, rotto l’esercito francese, si rifugiasse in fretta e in furia a Gaeta, dove aveva già fermata stanza con la famiglia, e che salito sur una nave per riparare altrove, naufragasse con molti altri nel porto di quella stessa città in vista d’Alfonsina sua moglie8.


Perduto il marito nell’età di appena trentatré anni, Alfonsina perseverò nella via dell’esilio. In Firenze ella aveva dato in luce, vivente ancora il suocero, due figli, Clarice e Lorenzo. E con Lorenzo, nato il 13 settembre 1492, e con Clarice prese a dimorare, per quanto è dato conoscere, in Roma. La morte di Pietro, in uggia a’ suoi concittadini per la sua malaugurata condotta con Carlo VIII di Francia, parve ammollire gli animi de’ Fiorentini, avversi al casato do’ Medici. È, almeno, un fatto che ad Alfonsina non fu vietato di rientrare in Firenze e di farvi valere i propri diritti, in ciò che concerneva la dote, sui beni del defunto marito. È anzi fama ch’ella ponesse l’opera sua a disporre gli umori de’ cittadini in favore degli esuli. Vero è che Lorenzo, allevato da lei, fu poi bandito, siccome ribelle, dalla città; ma non vuolsi perciò disconoscere che a lei fu dato di conchiudere le nozze di Clarice, sua figlia, con quel Filippo Strozzi, ch’ebbe a finire, più che trent’anni dopo, assai tragicamente la vita; non vuolsi disconoscere che quelle nozze passarono in Firenze quasi inavvertite e non furono sturbate che assai leggermente dai magistrati della città9.

La vita d’Alfonsina in Roma corse, puossi dire, nella oscurità sino al 1512, quando a’ Medici si riaprivano le porte di Firenze. Ma, donna, al dir del Giovio, di virile prudenza, in quella oscurità non si lasciava da lei di tener d’occhio gli umori de’ Fiorentini e di caldeggiare le sorti della famiglia.

Ad Alfonsina e non ad altri vuolsi indirizzata una lettera del 16 settembre 1512, con la quale Niccolò Machiavelli dava ragguaglio della caduta del Gonfaloniere Pier Soderini e di quanto s’era fatto in favore de’ Medici10. Fu allora ch’ella ritornò in Firenze e vi diede prova d’una operosità senza pari, scrivendo ora a Roma e ora al campo di Lombardia, procacciando, come s’esprimeva Filippo Strozzi in una lettera del 31 agosto 1515, «riputazione allo Stato, animo agli amici e timore agli avversi» e facendo, a dir breve, «quell’offizio che ad altra donna sarebbe impossibile, a pochi uomini facile»11.



A Firenze non si tolse, se così si può dire, un istante dal fianco del figlio. Sollecita com’era della potenza della famiglia, di nulla prooccupavasi, quanto della vita di lui, di complessione ne robusta, né sana. Del che dette prova specialmente nel giugno del 1514, quando facevansi in Firenze i preparativi di certo feste, istituite da Lorenzo il Magnifico, ed ella commetteva a Baldassare da Poscia di dissuaderlo per lettere dall’esercitarsi nelle giostre, dall’indossare gravi armature e dal correre su grossi cavalli. Insisteva cioè perchè pensasse quali de’ Medici avessero giostrato in antico: pensasse che quando giostrava Pietro di Cosimo, n’erano al mondo ancora il fratello ed il padre, preposto al governo della città; che se Lorenzo il Magnifico aveva preso parte a uguali esercizi, l’aveva fatto quando vivevano ancora il padre, che pur governava la città, e il fratello Giuliano; che Pietro, il padre di lui aveva pur giostrato, viventi due fratelli e due figliuoli, ma non senza biasimo. Voleva riflettesse inoltre che la via, battuta da lui, era troppo pericolosa per ciò, che si riferiva al casato, non trovandovisi a rappresentarlo ch’egli solo, giovane ancora e inesperto, e Giuliano di malferma salute, celibi entrambi. Esortavalo da ultimo a contentarsi di starsene spettatore, a curar la propria salute, e a pigliarsi pensiero dell’avvenire della famiglia. E questi savi ammonimenti faceva ella comunicare a Lorenzo, oppressa da grande passione e quasi con le lagrime agli occhi e con tutte quelle preghiere, che sa fare una madre12.

Con si fatte preoccupazioni dell’animo intorno all’avvenire de’ Medici, era naturale ch’ella vagheggiasse Dio sa quali parentadi e derivasse dalla viva opposizione di lei se non si potè mandare ad effetto il matrimonio, già patteggiato co’ Soderini, tra la figlia di Gianvittorio e il giovane Lorenzo13; era naturale che, malcontenta del tacito e incerto principato di Firenze, al quale ella avrebbe, secondo alcuni, eccitato e, secondo altri, sconsigliato il figliuolo dal fermarvi speranza alcuna al momento della rinunzia di Giuliano14, si facesse a promuovere presso il cognato Leone X l’impresa d’Urbino contro Francesco Maria della Rovere15. E in Urbino, succeduto a Giuliano il figlio Lorenzo, non lasciò di spadroneggiare un istante, sola ed unica, quasi, in una corte frequentata da gentiluomini e abbellita spesso dalla presenza dello più amabili donne d’allora, tra le quali la figlia Clarice, la Lucrezia, moglie di Jacopo Salviati, e la Clementina de’ Pazzi, lodata per la sua bellezza ne’ Ritratti del Trissino16.



Alfonsina moriva in Roma, di flusso di sangue, il 7 febbraio del 1520, diciassette anni dopo il marito, nato il 1471. Ignorasi quale fosso allora l’età sua. A chi consideri però che Lorenzo, nato nel 1492, era stato preceduto da Clarice, non parrà certo inverosimile il pensare che la nascita di lei si scostasse di poco dalla nascita di Pietro. Sicché, se alla morte del marito non toccava la cinquantina, è a credere vi si avvicinasse, per lo meno, d’assai. E le sombianze, quali si danno a divedere nella medaglia, di cui si parla, non son certo di donna che non abbia varcato la quarantina. Ond’è a credere, mi pare, che non darebbe in fallo chi pensasse che la medaglia fosso coniata in qualcuno degli otto anni che Alfonsina sopravviveva al ritorno de’ Medici in Firenze; di quegli otto anni cioè, che son corsi tra il 1512 e il 1520.

Si sa che il soggiorno di lei partivasi, particolarmente in quel periodo di tempo, tra Roma, Urbino e Firenze. E in Roma, dove accorrevano gli artisti, allettati dalla munificenza di Leone X, o in Firenze, feconda allora più che mai d’artefici insigni, usciti dalle scuole specialmente del Pollaiuolo e di Nicolò Fiorentino, o forse in Urbino, dove il culto delle arti ebbe pure a fiorire, come sotto i Montefeltro e il Della Rovere, così sotto i Medici, è a credere si commettesse e lavorasse l’impronta, che, pur difettando le prove, atte a definire, come che si voglia, l’autore, accusa il punzone d’una mano maestra.

Vicenza, Gennaio 1892.


  1. Litta, Famiglie celebri, v. De Medici.
  2. Les Medailleurs Italiens des XVe et XVIe siècles. Paris, 1883-87.
  3. Litta, Famiglie celebri. De Medici.
  4. Idem, op. cit. Orsini.
  5. Idem, op. cit. De Medici.
  6. Idem, op. e loc. cit.
  7. Nardi, Istorie della città di Firenze, Vol. I. lib. I, pag. 32. Firenze, 1858.
  8. Jo. Pierii Valeriani, De Literatorum Infelicitate, Lib. II, pag. 133, Hemelstadii. 1661.
  9. Roscoe, Vita di Leone X, Vol. III. cap. VII, § XV. Milano 1816.
  10. Villari, Nicolò Machiavelli i suoi tempi, Voi. II, Lib. 1, C. XV, pag. 108. Firenze 1887.
  11. Ferrai, Lorenzino de’ Medici, cap. I, pag. 8. Milano, 1891.
  12. Roscoe, Op. cit., Vol. V, cap. XII, § XI e vol. VI. Appendice, n. CXV. Milano. 1816 e 1817.
  13. Villari, Op. cit., Vol. II, Lib. I. cap. XVI, pag. 242. Firenze. 1881.
  14. Nardi, Op. cit. Vol. II, lib. VI, pag.,38, nota. Firenze 1858.
  15. Litta, Op. cit. De Medici e Orsini.
  16. Ferrai, Op. e loc. cit.

Note

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.