< Una peccatrice
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II.


Venti giorni sono scorsi da quello in cui incontrammo i due amici al Rinazzo. Siamo nei lunghi giorni del giugno. Pietro studia assiduamente da mattina a sera le sue tesi, poichè si approssimano gli esami; ed esce assai di rado.

La sera di un giovedì Raimondo venne a trovarlo nel suo stanzino da studio, nella casa che abitava insieme a sua madre e alle sue due sorelle, in via Vittoria.

— Che vuoi? — domandò Pietro bruscamente, celando, al suo solito, la viva amicizia che nutriva pel suo compagno sotto quell’apparenza di ruvidità.

— Vengo per condurti meco al passeggio.

— Ne ho forse il tempo? Sai bene che gli esami sono vicini, e non ho ore da sprecare andando a spasso; sai pure che col professore Crisafulli non c’è da scherzare.

La signora Brusio, ch’era entrata con Raimondo nello stanzino di suo figlio, e si era appoggiata, con quell’atteggiamento ineffabile d’amore delle madri, alla spalliera della sua seggiola, unì le sue istanze a quelle di Raimondo per indurre suo figlio a prendere un po’ d’aria.

— Stassera c’è musica alla Marina: — disse Raimondo.

— Va pure, figlio mio; — disse la madre, — da quasi venti giorni tu non esci più, e ciò ti farà ammalare invece di farti proseguire i tuoi studî. Prendi qualche ora di riposo; ne hai bisogno.

Pietro amava sua madre d’immenso affetto. Pel suo carattere impetuoso ed insofferente quella dolce voce di donna, quella mano pallida e affilata che carezzava i suoi capelli, erano irresistibili.

— Giacchè siete congiurati, e volete così!... — diss’egli sorridendo, — aspettami cinque minuti, Raimondo; il tempo di vestirmi.

E passò nella sua camera.

— Fatelo divertire, signor Angiolini; — disse al giovane medico la signora Brusio, — ha tanto bisogno di distrazione il mio povero Pietro! È tanto tempo che non fa altro che studiare!... e mi sembra che sia divenuto più pallido... Mi atterisce l’idea che abbia ad ammalare!

— Non pensi a queste cose, signora; — interruppe Raimondo; Pietro è forte come un toro, e quest’eccesso di lavoro non può durare che altri otto o dieci giorni. Terminati gli esami abbiamo stabilito di andare a passare una settimana alla campagna.

— Grazie, grazie, Raimondo! — disse la madre, stringendo la mano del giovane, — voi siete il degno amico del mio Pietro... Ve lo raccomando!... Siamo tre donne che non abbiamo più che lui...

Vestito che fu Pietro i due amici andarono alla Marina.

I viali erano affollatissimi; la musica eseguiva le più appassionate melodie di Bellini e di Verdi; un bel lume di luna si mischiava alle vivide fiammelle dei lampioncini, sospesi in festoni agli alberi, che illuminavano i viali. Era una di quelle sere incantate che si passano su queste spiaggie del Mediterraneo, in cui lo specchio terso ed immenso del mare, che riflette tremolante il raggio dolce e pacato della luna, sembra servire di cornice al quadro allegro, vivace, animato, che formicola colle sue mille seduzioni sotto gli alberi.

Pietro si sentì come allargare il cuore e fu grato all’amico di quella piacevole sensazione; essi passeggiavano per uno dei viali più appartati.

— Non m’inganno! — esclamò Pietro tutt’a un tratto, come di soprassalto, stringendo vivamente il braccio dell’amico contro il suo; — è lei!... là!... in mezzo a quei due uomini!...

In fondo al viale quasi deserto, perchè troppo lontano dalla musica, spiccava infatti, e per la solitudine del luogo, e per una certa originalità elegante di abbigliamento e di andatura, la signora che aveva recato tale impressione in Pietro Brusio.

Vestiva un semplicissimo abito di tarlatane a quadretti bianchi e bleu, tessuto di una freschezza e leggerezza quasi vaporosa; uno sciallo nero, fermato sul petto da uno spillone d’oro; ed un cappellino grigio ornato cerise.

Nulla però varrebbe a riprodurre l’eleganza suprema, la molle e quasi ingenua civetteria, con la quale ella rialzava la veste sino a metà della sottoveste ricchissima e si appoggiava al braccio di un uomo di quasi 30 anni, assai bruno, con volto ombrato da una folta barba nera, che avrebbe fatto invidia ad un guastatore, e vestito con ricercatezza alquanto leccata. Dall’altro lato era accompagnata da un signore di mezza età, alto, quasi biondo, freddo, e che parlava con una bella pronunzia toscana.

I due giovani, passeggiando, s’incrociarono con essi che venivano loro di contro. Questa volta uno sguardo della signora, incerto, quasi negligente, si fissò indolentemente, ma a lungo negli occhi ardenti di Pietro che la divoravano.

Due o tre volte ancora i due amici l’incontrarono di faccia; e ciascuna volta quello sguardo limpido, chiaro, noncurante, si fissò sul giovane che la guardava a lungo; e ciascuna volta il cuore di Pietro batteva stranamente in modo più forte; e le sue guancie pallide e brune si facevano ancor più pallide; e il suo occhio sfavillava più ardente; ed egli affrettavasi, trascinava quasi il suo compagno per giungere a quest’attimo in cui quella silfide dovea passargli dinanzi, in cui quella veste doveva sfiorarlo, in cui quegli occhi dalla pupilla trasparente dovevano fissarsi sui suoi, sebbene come non vedendolo. Una o due volte che Brusio non incontrò quello sguardo, fu triste, quasi dispettoso di se medesimo. Una volta, l’ultima, in cui gli parve accorgersi che, lui oltrepassato di uno o due passi, ella, parlando all’uomo a cui dava il braccio, verso di cui si piegava sorridendo con una grazia affascinante, avesse rivolto a metà il viso verso di lui e che un lampo partito da quegli occhi lo cercasse, egli fu ebbro... felice di una sensazione nuova, strana, che non sapea definire, della quale avea quasi paura, poichè non poteva giustificarla.

Ritornando per lo stesso viale la cercò invano cogli occhi da lungi... Giunse in capo al viale: era deserto... La cercò per tutta la Marina, come se in quella folla elegante ed animatissima avesse dovuto discernere in mezzo a mille colei al solo riflesso azzurrognolo dei ricci che ombreggiavano la sua fronte fin quasi sulle sopracciglia, al solo movimento della sua piccola testa che sembrava inchinarsi come un giunco sul collo sottile e ben modellato; era partita...

Che voleva egli? Che cercava da quella donna, di cui il lusso, il corteggio, l’adulazione era l’atmosfera in cui viveva; che gli uomini più ricchi, più eleganti, più nobili si fermavano ad ammirare, senza che ella mostrasse avvedersene; che tre o quattro volte l’avea guardato come si guarda un fanciullo, un albero, un oggetto qualunque che s’incontri?... Nemmeno egli lo sapeva in quel punto; egli avrebbe arrossito di confessarsi la premura che prendeva per colei che dovea essere sempre un’estranea per lui.

Cinque minuti dopo riprese il braccio di Raimondo, dicendogli:

— Andiamo via!

— Così presto?

— Non ti annoi a morte qui stassera?... Non c’è alcuno!...

Raimondo guardò attorno, come trasognato, perchè giammai la Marina di Catania avea offerto una riunione più bella; e domandò ingenuamente: — Sei pazzo?... Tu stesso un quarto d’ora fa mi dicevi esser deliziosa questa serata... qui...

— Sarà vero anche ciò, come è vero che ora mi annoio... e se vuoi rimanere ti dico addio.

E gli stese la mano come per congedarsi.

— Un momento... ecco! giunge in quel viale a sinistra Maddalena. Guardala almeno una volta.

— Che m’importa di Maddalena a me!... Guardala tu, se vuoi... Addio!

E dopo quella brusca separazione partì di buon passo e si diresse verso la sua abitazione per via Garibaldi.

Però giunto alla crocevia della Vittoria sembrò esitare un momento, e proseguì a camminare sin fuori Porta Garibaldi. La notte era magnifica, Pietro sedette sul sedile di pietra circolare che limita la gran piazza.

— È strano — mormorò egli — come stasera non ho voglia nè d’andare a casa, nè di rimettermi alle mie tesi!...

E rimase altri cinque minuti in silenzio, collo sguardo fosco e fisso sui ciottoli del marciapiede.

— Andiamo! — esclamò quindi levandosi, e come facendosi forza; — devono essere le undici, e mia madre a quest’ora mi attende.

Guardò il suo orologio e si diresse lentamente verso la sua abitazione.

La signora Brusio, coll’occhio della madre, osservò che il suo Pietro, quella sera, era più pallido e distratto del solito; e che, invece di rimettersi a studiare, si ritirò, appena giunto, nella sua camera.

L’indomani Raimondo, verso le undici, si disponeva ad uscire, quando Pietro entrò da lui nella camera che occupava all’Albergo di Francia.

— Buon vento! — esclamò Raimondo sorpreso da quella visita che non si aspettava più da un mese; — ci son novità stamattina?

— Quali novità vuoi mai che ci sieno?

— Per bacco! ti credeva sui digesti a quest’ora; ed eccoti già a correre per le strade come uno sfaccendato.

— È che lo sono. Avrò sempre il tempo di finire le mie tesi, ed ero una gran bestia a prenderla tanto sul criminale; infine ne vengono approvati tanti più asini di me!... Usciamo.

— Usciamo pure. Hai fatto colazione?

— Non ci penso; mi sento in vena di passeggiare.

— Con il caldo che fa non è la miglior cosa.

— Andiamo alla Villa.

— Sia per la Villa.

E i due amici uscirono, tenendosi, al solito, a braccetto.

— A proposito della Villa, sai dove abita quella signora piemontese tanto distinta che abbiamo incontrato qualche volta?

— No... dove?

— In una bella casa sulla strada Etnea: della quale i veroni si vedono dal Laberinto.

— Dici davvero?! — esclamò Brusio animandosi quasi suo malgrado, e fermandosi in mezzo alla strada.

— Verissimo.

— E tu l’hai veduta?

— Io stesso.

— Proprio lei?...

— Proprio lei!... Ma che diavolo!... Ne saresti innamorato?...

— Mi credi forse pazzo da legare? — rispose Pietro con un sorriso che dissimulava appena la contrarietà che gli arrecava quella domanda.

— Perchè poi?

— Perchè amarla io, sarebbe una disgrazia: amarmi ella un assurdo.

— Mi piace questa modestia da venticinque soldi.

— È modestia che vale amor proprio; — rispose Pietro piccato, — prendila come vuoi.

— Eppure, vediamo: — insistè Raimondo attaccandosi al braccio del suo amico — immaginiamoci che per un capriccio, una fantasia, un destino, secondo te, questa donna si innamori di te; immaginiamoci ch’ella te lo dica, come lo dicono le donne quando vogliono, facendotelo comprendere, cioè, cogli occhi, col gesto, coll’atteggiamento... Ebbene! allora saresti il Catone del momento?...

— Impossibile! — esclamò il giovane tristamente, come se avesse creduto un momento a quel sogno e si fosse poi accorto ch’esso era troppo bello e insieme penoso per lui.

— Perchè?

— Perchè colei è vana, orgogliosa, come lo dimostra il fasto di cui si circonda. Soltanto potrebbe impressionarla la bellezza, l’eleganza, la nobiltà, la ricchezza, il lusso... cose tutte che non posseggo. Dunque o costei è maritata, e non amerà giammai un Don Giovanni in ventiquattresimo che si chiama semplicemente Pietro Brusio; o è mantenuta, e non possederò mai abbastanza per pagare i suoi fiori per un anno; o è zitella, e non sposerebbe certamente l’uomo oscuro, comune, che non ha tanto da farla vivere in quel lusso nel quale vive, e che le è necessario, indispensabile per essere quella che è. In tutti questi casi io dovrei dunque essere vile per amarla, o dovrei comprare il suo amore a prezzo di qualche infamia.

— Ben pensato e ben ragionato! ciò che, in parentesi, ti avviene assai di rado. Vogliamo far colazione al Caffè di Parigi?

— No; andiamo al Laberinto.

Raimondo guardò il suo amico di uno sguardo scrutatore e quasi beffardo.

— Ti fo riflettere che non ho ancor fatto colazione; abbi dunque la bontà di concedermi dieci minuti.

I due amici entrarono dai Fratelli Guerrera. Mezz’ora dopo erano alla Villa.

Faceva molto caldo. Il Laberinto era delizioso colle sue ombre profumate di fior d’arancio. I due sedettero all’ombra, e quasi contemporaneamente alzarono gli occhi sui veroni della casa, sebbene alquanto distante, che Raimondo avea indicato come l’abitazione della Piemontese.

Le tende di giunco erano abbassate sulle ringhiere, quantunque il sole non vi giungesse ancora, forse per dare alquanto più d’ombra agli appartamenti; e dietro una di quelle si vedeva una figura di donna, vestita di bianco, quasi coricata su di una poltroncina con tutto il languente e voluttuoso abbandono di una sultana; a quella vista il cuore di Pietro battè forte, come la sera innanzi.

— È dessa! — disse Raimondo, — vedi che non t’ingannavo!...

Pietro non rispose, tenendo sempre fissi gli occhi sul verone.

Ella si toglieva soltanto a lunghi intervalli da quella positura per recarsi agli occhi un binocolo che teneva sui ginocchi e col quale guardava nella strada o verso la Villa; ed indi, come stanca di quello sforzo, lasciava ricadere mollemente la testa sulla spalliera, e sembrava assorbirsi in quell’inerzia contemplativa che gli orientali cercano nell’oppio.

Un uomo, seduto accanto a lei su di una seggiola assai bassa, le leggeva qualche cosa di un giornale che teneva fra le mani, e che ella udiva sbadatamente; e s’interrompeva di tratto in tratto per prendere una mano di lei, che gliela abbandonava con la stessa languida indifferenza, e che lo graziava col suo sorriso seduttore, e col suo sguardo che faceva scorrere un’onda di voluttà in quell’uomo, quand’egli si recava alle labbra la sua mano.

Allora solamente, la sua leggiadra testolina, coronata da quei ricci magnifici, si volgeva lentamente verso di lui.

Qualche volta, con un movimento tutto infantile, quella manina bianca ed affilata si appoggiava alla ringhiera, e sopra vi appoggiava la fronte; quasi quel bellissimo collo fosse troppo debole per sostenere quella piccola testa.

— Con questa donna ci sarebbe da impazzire! — esclamò Pietro reprimendo un fremito, dopo averla divorata a lungo dello sguardo.

— Credi che sieno marito e moglie? — domandò l’altro.

— È il mistero che questa donna sa rendere impenetrabile colle sue mille indefinibili gradazioni di fisonomia, d’espressione, di gesto, che fanno spesso dimenticare la sirena nella vergine, e viceversa. Se lo sono, è da poco tempo: a meno che costei non senta ancor ella sì a lungo, come deve far sentire a tutti quelli che l’avvicinano.

Parecchie volte, forse a caso, l’occhialetto dell’incognita si rivolse verso il banco di pietra sul quale erano seduti i due amici.

— Ti guarda! — disse Raimondo sorridendo.

— O guarda i passeri che saltellano fra le frondi. Credi sul serio ch’io ne sia innamorato?

— Ne parli tanto!...

— Diffida sempre di quegli amori di cui ti si parla a lungo e sì leggermente: è segno certo che si vuol ridere alle tue spalle... Io l’amo come un bel personaggio da dramma o da romanzo, come un bel fiore... come una bella donna prima venuta insomma... che sa recare con grazia il velo sul cappellino e sollevare con disinvoltura lo strascico della veste... e nient’altro... In fede di che, se vuoi, andiamocene; sono le due meno dieci minuti, — aggiunse dopo aver consultato l’orologio.

— Sì, è troppo tardi; siamo qui da più di due ore, — rispose il biondo alzandosi.

Egli sorprese lo sguardo del suo amico, che ancora restava fissato sul verone.

— Vuoi venire, o no?

— Un momento... restiamo altri dieci minuti e partiremo alle due precise...

— Non amo gli inglesi colla loro metodicità regolata sul quadrante di un orologio... Hai detto d’andarcene...

— Hai ragione; — rispose Brusio ridendo — partiamo.

Due o tre volte, prima di uscire dal giardino, si volse a guardare il verone, sul quale non poteva più vedere che la tenda abbassata.

— Bella donna! — ripeteva egli di tempo in tempo, con un entusiasmo ch’era troppo allegro per non essere affettato, e troppo affettato per non nascondere una preoccupazione: quanto io t’amo!

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