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XIII
La posizione finanziaria di casa Lanucci non voleva migliorare. Gli affari del vecchio avevano sempre il medesimo risultato e Gustavo era rimasto una seconda volta senza impiego. Aumentando la miseria, cresceva il malumore, e Alfonso, che aveva finito coll’essere piú frequentemente dai Maller che coi Lanucci, soffriva di piú della loro compagnia perché non abituato alla ruvidezza del bisogno.
Il giorno che Gustavo a faccia tosta venne ad avvisare che aveva abbandonato l’impiego perché il suo principale lo aveva insultato, ebbe luogo una scena brusca. Dapprima il vecchio aveva ammirato la fierezza del figliuolo e gli aveva anzi detto ch’era un vero Lanucci. Gli andò il sangue alla testa soltanto in seguito all’osservazione fatta tristamente dalla signora, che da questo fatto le finanze della famiglia venivano peggiorate. All’idea dell’aumento di miseria, il vecchio perdette la logica e la fierezza dei sentimenti. Gridò e imprecò sempre piú irritato dalle risposte petulanti di Gustavo il quale cercava di salvaguardare alla meglio la propria dignità. Nella sua santa ira, il vecchio disse ch’era finalmente stanco di sopportare lui le spese di tutta la famiglia. La signora lo pregò piú volte di non gridare tanto. Piú colta, ella comprendeva quanto dovesse spiacere ad Alfonso quella scena e se ne vergognava, ma non trovò migliore mezzo per farlo tacere che di gridare piú di lui. Di lí a poco, il sangue riscaldato, uscivano anche dalla sua bocca delle parole se e dava libero sfogo all’amarezza che la tristezza della vita aveva accumulata nel suo cuore. Allorché il vecchio, cui mancavano altri argomenti, ripeté ch’era stanco di lavorare lui per tutti, ella senza ritegno gli disse che non era vero che lavorasse per tutti e ch’egli guadagnava appena tanto da sostentare se stesso.
Bastò per far tacere il Lanucci; avvilito, le labbra pallide, gli occhiali fuori di posto, perché male costruiti pendevano a destra quando egli dimenticava di sostenerli, dopo un lungo silenzio disse con dolcezza:
— Non era per te ch’io parlava ma per quel poltrone. È poi giusto ch’egli viva alle nostre spalle quando persino Lucia trova il modo di guadagnarsi il suo pane?
La signora Lanucci s’era subito commossa e Alfonso credeva ch’ella già rimpiangesse le dure parole lanciate al marito. Vedendo che il vecchio non voleva ancora quietarsi, ella s’adirò di nuovo e gli gridò imperiosamente:
— Basta, basta, — gettando un’occhiata ad Alfonso il cui silenzio interpretava sinistramente. Egli invece taceva per commozione e comprendeva la ragione di quei litigi. Prese le parti del vecchio e pregò la signora che gli venisse lasciata la libertà di difendersi. Allora ella, essendo sicura che ad Alfonso la vista delle loro dispute non destava né sdegno né disprezzo, divenne piú mite come sarebbe stata da bel principio, se non le fosse importato piú di diminuire la cattiva impressione in Alfonso che di offendere il marito.
— Adesso basta! — ripeté però. — Tu, lo spero, ti degnerai di cercarti un altro impiego e cosí ogni argomento a litigi fra te e tuo padre sarà scomparso. Forse anche quello che oggi per noi è una sventura, domani può divenire una fortuna. Puoi divenire colui che ci renda un poco piú ricchi e quindi piú buoni!
Strinse la mano al marito e le lagrime le vennero agli occhi.
Al principio della disputa, dimostrativamente e gridando, Lucia s’era turate le orecchie con le mani, e unicamente il contegno di costei disgustò Alfonso. Se lo avesse dimostrato, la signora Lanucci non avrebbe piú saputo gioire del compatimento da lui manifestato, perché se temeva di disgustare Alfonso era sempre perché non aveva ancora abbandonato le speranze riposte in lui per Lucia. Le sembrava che se un giovine come Alfonso fosse entrato nella sua famiglia, l’avrebbe riformata, e di piú, per quanto Lucia lo negasse, ella supponeva che costei ne fosse innamorata; non le sembrava che potesse essere altrimenti. Ma Lucia aveva i gusti differenti e non sapeva scorgere in Alfonso le virtú che la madre ci trovava.
Naturalmente, non essendo cieca, da molto tempo le speranze della vecchia andavano diminuendo, ma vivevano sempre. Non ne aveva parlato con la figliuola che quando Alfonso aveva principiato a darle lezioni, e le spiegazioni della madre erano bastate a Lucia per sopportare quell’inferno di professore che le avevano imposto. Ciò era un segno della sua intelligenza, ma ancora maggiore fu quello ch’ella diede abbandonando ogni speranza molto tempo prima della madre. Colpita da qualche atto d’indifferenza di Alfonso, qualche volta la signora Lanucci dichiarava al marito di aver perduto le sue speranze, ma realmente erano anche allora piuttosto movimenti d’ira che di sconforto. Sarebbe stato troppo bello e secondo il comune buon senso era cosa che non soltanto poteva accadere, ma che doveva accadere, perché quando due giovini, amabili ambidue, si trovano continuamente insieme, è inevitabile che prima o poi si amino. Cosí le speranze della signora Lanucci vissero sempre non comunicate che al marito, a bassa voce, in letto, prima di chiudere gli occhi al sonno e sognarne.
In casa Lanucci fu dessa la prima a scoprire che Alfonso era innamorato di Annetta. Non la conosceva affatto, e prima che non le fosse divenuta interessante per la passione di Alfonso, ne aveva anche ignorato l’esistenza, ma di quest’amore aveva saputo quasi contemporaneamente ad Alfonso stesso. Lo vide inquieto, di umore variabile; ne trasse la conclusione, per caso giusta, che lo agitava amore, e l’altra che quest’amore fosse ispirato da Annetta Maller. Non le tolse le speranze questa scoperta perché giustamente pensò che la sua passione doveva apportare ad Alfonso molti dolori dai quali avrebbe potuto rifugiarsi fra le braccia sempre aperte di Lucia. Quando Alfonso ancora passava buona parte del suo tempo con essi, ella s’era divertita a fare qualche allusione maliziosa allo scopo di saperne di piú, e il contegno di Alfonso fu tanto balordo ch’ella, sulle indicazioni tratte da lui in questo modo, poté persino seguire le fasi per cui passò quest’amore, vicende solite ch’ella caratterizzò all’ingrosso come le sapeva: — Caldo... freddo... disputa... pace... lo amava!
Lo amava, certo, lo amava! Ella lo aveva letto sulla fronte di Alfonso quella sera in cui egli era ritornato beato dalla visita ai Maller, dopo tre giorni di disperazione in seguito all’avventura con Fumigi. In quei tre giorni ella aveva tutto sperato; dopo, ella fu là là per disperare perché il bacio di Annetta era quasi visibile sulle labbra di Alfonso: gli aveva mutato la fisonomia.
Ma subito la mattina appresso sperò d’essersi ingannata vedendolo in tinello, a colazione, molto triste. Gli si sedette accanto e con l’aspetto di affettuosa partecipazione gli chiese la causa dei suoi malumori, dei dolori da cui doveva essere travagliato a giudicarne dalla sua fisonomia. Egli rispose tristamente che era indisposto, ma quando la signora con un poco d’ira lo ammoní che delle signorine del gran mondo non bisognava fidarsi perché si compiacevano di lusingare civettando ma che alla fine abbandonano senza riguardi, egli rispose di non comprendere a chi ella volesse alludere perché egli non veniva lusingato da nessuno. Ebbe però un sorriso lieto e sicuro di persona che sa il fatto suo cosí ch’ella lo lasciò convinta di aver giudicato giustamente la sera innanzi. Annetta gli aveva detto di amarlo e forse lo amava. Per trarne delle conclusioni, ella voleva attendere di sapere che cosa ne pensasse il vecchio Maller, il quale con la sua opposizione poteva restituire Alfonso a Lucia. Comunicò al marito le sue osservazioni e vi appiccicò una lunga ragionata con la quale volle provare a lui, e nello stesso tempo a sé stessa, che Maller non avrebbe dato giammai il suo assenso al matrimonio della figliuola con un impiegatuccio.
Il Lanucci, invece, udí con gioia dell’avventura di Alfonso. Da lungo tempo egli non divideva piú le speranze della moglie e non poteva non gioire di vedere un suo amico divenire il genero di Maller. Egli sarebbe divenuto il protetto di una persona altolocata e riteneva che gli sarebbe bastata una tale protezione per far bene nei suoi affari. Cosí mentre la Lanucci trattava Alfonso con maggiore freddezza, egli incominciò a dimostrargli della deferenza, e quando la moglie esaminava le parole di Alfonso cercando di vederne afforzate le sue speranze, egli indagava a quale punto Alfonso fosse arrivato, sempre desiderando di ricevere la buona novella che attendeva.
Anche Lucia divenne piú amica di Alfonso, mentre prima, offesa della sua assoluta indifferenza, lo aveva trattato con affettato disprezzo. Mai bella, nell’ultimo tempo era divenuta piú piacente; avendo passato l’epoca dello sviluppo, la sua bocca appariva piú piccola e il volto quindi piú regolare, le manine erano belle, i piedi piccoli sempre elegantemente calzati. Qualche zerbinotto al Corso le aveva fatto dei complimenti, i quali la facevano risentirsi piú fortemente dell’indifferenza di Alfonso. Quando le dissero, la madre non seppe tacere neppure con essa, che Alfonso era innamorato, ella divenne con lui piú mite perché quest’amore le parve scusasse il suo contegno.
Gustavo fu il piú franco. Andò diritto da Alfonso e gli raccomandò, per il caso che diventasse genero di Maller, di procurargli un posto di fante alla banca ove sospettava si stesse molto comodi. Costui era ancora l’unica persona della famiglia Lanucci che ad Alfonso non dispiacesse. Preferiva anzitutto la sua franchezza alla falsità degli altri, a quelle allusioni che pure per una o per altra ragione non erano disinteressate. Il carattere di Gustavo gli piaceva. Da lungo tempo il giovane Lanucci aveva cessato di lottare contro la propria poltroneria e per risparmiarsi i rimorsi l’aveva elevata a teoria. Cosí era divenuto tranquillo tanto, che a parlare con lui, vedendolo sempre quieto, contento di sé, senza dubbi, anche Alfonso trovava pace. Nei suoi lunghi riposi, Gustavo aveva fantasticato molto e il bisogno di denaro gli aveva dato delle idee originali e comiche. Il suo buon umore era inalterabile e non cedeva né alle sgridate dei cari genitori (non ometteva mai l’aggettivo), né ai rimproveri degli eventuali principali cui egli sempre attribuiva dei caratteri bizzarramente infelici: — Non sanno vivere! — diceva veramente sorpreso quando li vedeva adirarsi per un disordine in carte che avevano affidato alle sue cure oppure per qualche sua impertinenza. — Uomini che moriranno giovini — oppure: — Ecco un uomo che io non sposerei.
Macario rimase assente per tutto il mese di marzo e Alfonso fece le sue passeggiate alla mattina con Gustavo il quale era mattiniero, unica buona abitudine a cui si fosse riusciti di costringerlo. Erano passeggiate brevi a un colle situato circa mezz’ora di cammino lontano dalla città. Giuntivi, Alfonso cercava l’ombra e si sedeva, mentre Gustavo si sdraiava al sole come un gatto, e per certe sue teorie igieniche apriva la bocca per farvi entrare luce e calore. Stava zitto per delle ore come Alfonso sebbene per tutt’altre ragioni. Teneva gli occhi chiusi e si addormentava definitivamente, o cadeva in una specie di nirvana in cui nulla comprendeva pur ancora balbettando delle parole senza senso. Quando aveva denari, e per pochi che fossero, non abbandonava la città, perché preferiva di dormire in qualche bottega di caffè o stare a guardare per delle intere giornate a giuocare a bigliardo. Non giuocava perché non amava agitarsi, e non si ubriacava che di rado perché dopo una sbornia rimaneva indisposto per molto tempo. Aveva amici sobri, lavoratori, operai delle diverse officine per le quali era passato. Lo amavano molto perché buffone e piú anche perché non aveva giammai gareggiato con nessuno.
Nell’ozio gli venne la buona idea di addossarsi volontario un lavoro che da prima non gli parve né difficile né faticoso: si propose di trovare il marito per la sorella. Diceva che l’età di Lucia domandava il matrimonio e ch’era certo che se nessuno se ne curasse lo sposatore non si sarebbe trovato giammai. Chiese ai genitori il permesso di poter condurre in casa dei giovanotti suoi amici. Il padre glielo diede pronto, perché per lui il matrimonio di Lucia avrebbe significato l’eliminazione di una bocca dalla casa. La madre invece si oppose ma era a magro di argomenti non avendo il coraggio di dire delle sue speranze su Alfonso. Si rosicchiava le unghie. Aveva parlato con disprezzo degli operai amici di Gustavo.
— Non vuoi accordarla a un operaio? — chiese il vecchio sorpreso. — E a chi poi? Attendi qualche principe?
Da molti anni padre e figlio non s’erano trovati tanto d’accordo e marciavano uniti contro la povera donna che in cuor suo, mentre si difendeva alla meglio, malediceva Alfonso che ancora non aveva voluto innamorarsi dell’unica giovanetta del suo stato ch’egli avvicinasse. Finí col fare una buona proposta. In luogo degli amici di Gustavo, operai o peggio, bisognava trarre in casa gli amici di Alfonso, agenti di banca e scritturali.
— Anche quelli! — disse il vecchio approvando, — ma però quelli e questi perché cosí siamo piú sicuri di arrivare al nostro scopo.
Diede formalmente a Gustavo l’incarico di condurre in casa i suoi amici, i piú ricchi, possibilmente.
Intanto la Lanucci aveva ora l’occasione di parlare in argomento con Alfonso e non sperava poco da questo colloquio. Se il disgraziato, cosí ella lo chiamava, avesse tradito dubbi, dispiacere o la menoma esitazione, ella avrebbe trovato il modo di salvare Lucia dagli amici di Gustavo.
Egli aveva preso l’abitudine di ritirarsi nella sua stanza anche dopo pranzato per non essere obbligato ad assistere al vuoto chiacchierio dei Lanucci durante la mezz’ora di tempo che aveva prima di andare all’ufficio. Un giorno ella ve lo seguí. Vedendola, Alfonso che s’era già messo al tavolo, si alzò e stettero uno di fronte all’altra fra il tavolo e il letto.
Affettuosa come non era stata da lungo tempo con lui, gli disse ch’essendo già abituata a considerarlo quale figliuolo gli chiedeva un favore di quelli che non si chiedono solitamente che ai propri intimi.
— Dica! dica! — la incoraggiò Alfonso con gentilezza.
— Cosí presto non si può dire, bisogna che le spieghi parecchie cose.
Amava di parlare e mentre Alfonso con fatica si costringeva ad ascoltarla, ella cominciò a raccontare la storia della sua famiglia, alla quale, ella asseriva, competeva tutt’altra posizione di quella che occupava. Era impoverita per alcuni errori di suo padre, catastrofe ch’ella ingrossò descrivendo il loro stato anteriore come piú elevato di quanto fosse stato in realtà.
— Quindi, — il discorso era stato preparato e aveva capo e coda, — non possiamo rassegnarci a vivere in questa posizione mentre se acconsentiamo di maritare Lucia ad un operaio o altra simile gente, — col suo disprezzo le pareva di fondare meglio il suo diritto a superiorità, — è un atto che definitivamente c’inchioda qui. — Continuò con un altro «quindi» mentre Alfonso aveva pur finito coll’interessarsi alla questione perché temeva di vedersi improvvisamente aggredito con un’offerta di matrimonio. Ella indovinò la sua paura al suo aspetto imbarazzato, ma per quanto avesse anche compreso ch’era veramente paura e non speranza, la prova non le parve sufficiente. Dal tinello giungevano i suoni poco aggradevoli di una disputa fra Gustavo e Lucia ed ella fece un passo verso la porta per correre fra due litiganti, ma si fermò non volendo lasciare Alfonso nel sospetto che lo si volesse pigliare per il collo. Lo pregò di condurre in casa dei giovani, magari poveri, ma appartenenti alla classe intelligente. Poi, troppo attenta ad osservare il contegno di Alfonso, non sentí neppure il suono di uno schiaffo caduto certamente sulla guancia di Lucia, perché fu costei che ne accusò ricevuta piangendo e gridando.
— Desidera dunque ch’io conduca degli amici in casa? — chiese lieto Alfonso. — Ma le occorreva prendere una via sí lunga per chiedermi cosa tanto semplice? Non sono, come lo disse lei stessa, di famiglia e non devo, per quanto posso, aiutare ognuno di voi a raggiungere un poco di felicità? Non appena potrò le condurrò quanti amici vorrà.
Non pensava concretamente a nessuno dei suoi amici, ma l’offerta era fatta con spontaneità, e la signora Lanucci dovette ringraziare per quanto la prontezza di Alfonso l’addolorasse. Volontieri lo avrebbe ora esonerato da quell’ufficio, ma decentemente non lo poteva. Volle almeno diminuire il suo zelo:
— Non occorre premura. Abbiamo tutto il tempo necessario per fare le cose con calma.
In tale modo anche la vecchia fu indotta ad acconsentire ai piani di Gustavo ed anzi, nell’ira, le parve che il suo assenso bastasse per portare subito a compimento il matrimonio di Lucia.
— Adesso tocca a te di agire — disse a Gustavo, — e al piú presto. Forse che cosí si riesce ancora a far morire di rabbia qualcuno. — Questo qualcuno era Alfonso.
Quel Gustavo aveva dei brutti amici. Portò per primo un rivenditore di libri usati ma ricchissimo. Alfonso ignorando che anche Gustavo avesse ricevuto l’identico suo incarico non pensava che fosse quell’uomo un candidato alla mano di Lucia. Non avrebbe potuto indovinarlo. Il candidato era cinquantenne, ma dimostrava un’età anche piú avanzata avendo la pelle incartapecorita dal sole e dalle intemperie, alle quali, per il suo mestiere, doveva stare esposto. Gli occhi gli lagrimavano e non sapendo ch’era una visita da sposo che gli si faceva fare, aveva omesso di farsi togliere dalle guancie certo pelo bianco, giallastro che vi cresceva irregolarmente.
Quando se ne andò, la Lanucci ridendo guardò il marito e anche questi sorrise. Gustavo se ne sentí offeso e non seppe resistere al desiderio di difendersi subito:
— È però lucente d’oro, — disse. — I gusti delle donne non si sanno mai e sarebbe stata una bella fortuna se a Lucia fosse piaciuto.
Il secondo amico che Gustavo presentò in casa fu il padrone di un macello, benestante, piú giovine dell’altro ma non meno sucido. Era vedovo da poco tempo e Gustavo riteneva che cercasse moglie. S’ingannava. Il beccaio bevette di troppo del vino che c’era sul tavolo dei Lanucci e nella somma beatitudine, volendo dimostrare la sua riconoscenza ai novelli amici, esclamò:
— Ah! qui si sta bene! Sempre in compagnia di amici starei io! Adesso che grazie al cielo sono vedovo, posso finalmente permettermelo!
La Lanucci dichiarò che non voleva piú rivederlo e desiderava anche che le visite degli amici di Gustavo cessassero. Il giovanetto si difendeva.
— Non posso mica dire ai miei amici di venire in casa mia per fare loro sposare mia sorella. Devo scegliere quelli che piú mi sembrano inclinare al matrimonio. Un vedovo come il beccaio, per esempio, mi sembrava adatto. S’era pur sposato già una volta!
Parve ora ad Alfonso che gli altri presentati fossero stati invitati da Gustavo piuttosto per far mostra di avere fra’ suoi amici delle persone rispettabili che per la speranza di vederli innamorarsi di sua sorella. Uno di questi fu il signor Rorli, un ricco fabbricante di paste di Napoli. Gustavo ne aveva da lungo tempo annunziata la visita e indotto la madre a preparare una cena copiosa.
Il signor Rorli non venne la prima sera in cui era atteso e non venne che otto giorni appresso dopo aver messo altre due volte in subbuglio la famigliuola con avvisi della sua venuta. Era giovanissimo, molto magro, il volto dalla pelle bruna sulla quale poco risaltavano i suoi baffi biondi. Era vestito bene, ma troppo riccamente; portava anelli alle dita e sul petto una catena d’oro la quale Gustavo disse valere trecento franchi e piú. Parve che quella sera si divertisse molto. Spiegò la fabbricazione delle sue paste e rifiutò la rappresentanza della sua fabbrica al Lanucci che gliela chiedeva, dicendogli dapprima che non lavoravano a mezzo di agenti e poi che ne avevano già quattro, due buoni argomenti che naturalmente tolsero al vecchio ogni speranza. Mangiò molto, ciò che diede alla signora Lanucci una grande opinione della sua salute, perché diceva che le persone magre che molto mangiano sono le piú forti. Quell’appetito le portò via la cena e a Rorli, che le chiese perché non mangiasse, rispose con grande distinzione:
— A sera non mangio mai. — Egli non se ne curò piú oltre, come del resto non si curò di Lucia che gli stava seduta accanto. Parlò piú che con altri con Alfonso che la Lanucci gli aveva presentato quale impiegato della casa A. Maller e C. e letterato. Una grandezza ingrandisce la casa ove abita.
Rorli si mise a chiacchierare di letteratura e naturalmente di romanzi francesi. Era entusiasta di Alessandro Dumas e di Paul de Kock, ammirazioni che Alfonso aveva dimenticate. Fra’ due fece la peggior figura Alfonso, il quale aveva dichiarato di conoscere quella gente ma poi non aveva saputo dimostrare di conoscerne tutte le opere, compresi dei lavorucci che per la prima volta udiva nominare, mentre Rorli ne sapeva raccontare alla Lanucci, che ci si divertiva un mondo, tutto l’argomento.
Era in fondo un grande ciarlatano che riportò l’ammirazione di tutti nonché di Alfonso, il quale, pur riconosciutolo ignorante, era rimasto impressionato da tanta facilità di parola. Poi fino a tarda ora, dalla sua stanza, udí le confabulazioni dei Lanucci e chiaramente che la vecchia dichiarava che il fabbricante molto le piaceva.
Ma il Rorli non si fece piú vedere. Aveva forse capito di che si trattasse e, invitato da Gustavo, si scusava e prometteva di venire e mancava. Gustavo però aveva ottenuto un trionfo e lungamente se ne vantò.
Alfonso, tanto per darsi l’aspetto di occuparsene anche lui, portò seco un giorno Miceni sotto il pretesto di fargli vedere la sua stanza. Abituato a maggiore comodità ed eleganza, Miceni non seppe trattenere il riso dinanzi a quelle mura nude, quell’enorme letto di ferro e il tavolinetto di cui una delle quattro gambe era troppo corta.
La signora Lanucci lo fece accomodare in tinello e gli presentò la figliuola ch’egli salutò seduto, con un leggero cenno del capo ma molto amichevolmente, avvezzo come era a trattare con le sartine.
Fece però molti complimenti, ciarlò molto e di cose che alle donne piacciono. Persino ammirò il vestito di Lucia e lo paragonò a quello che aveva visto portato dalla signora Canciri, una delle piú ricche signore del paese. Era un donnaiuolo per il quale ogni donna era desiderabile e ispirare un desiderio sempre una gioia.
— Ho da trattenerlo a cena? — chiese la Lanucci con voce angosciata ad Alfonso vedendo che la seduta si prolungava di troppo.
— Lo inviti! Non accetterà.
La Lanucci con imbarazzo lo invitò avvertendo subito che la cena era modesta ma che dove c’era da mangiare per cinque ci sarebbe stato abbastanza per sei.
Miceni rifiutò ringraziando, e comprendendo che la famigliuola era in procinto di sedersi a tavola prese commiato. Se ne andò accompagnato da Alfonso ch’era impaziente di sapere quale impressione avesse prodotto su lui Lucia. C’era da lusingarsi perché le aveva dimostrato tutt’altro che indifferenza.
Sulle scale, buie e di legno fino al primo piano, Miceni si appoggiò confidenzialmente al braccio di Alfonso e gli chiese:
— L’hai avuta?
Alfonso indignato protestò.
— Non adirarti. Se realmente non hai neppure provato è l’unica causa per cui non sei riuscito, e in questo caso devo confessare che sei anche piú sciocco di quanto io non ti credessi. Una ragazza in quelle condizioni, posta accanto ad un giovine che vive in condizioni migliori, prima o poi gli si getta al collo, a meno ch’egli non accenni a respingerla.
Non si poteva adirarsi e Alfonso vergognandosi si scusò:
— Non mi piace!
— Davvero? — chiese Miceni sorpreso. — Allora non mi resta che deplorare che il tuo gusto non sia meglio sviluppato.
Ritornato in casa, Alfonso fu penosamente impressionato dalle buone parole che i Lanucci spendevano su Miceni. Anche Lucia diede a capire che non le era dispiaciuto. Alfonso la guardò indagando se fosse veramente tanto desiderabile come a Miceni era sembrata. Certamente non era piú assolutamente brutta. Semisdraiata su una seggiola, la sua vita mostrava il profilo gentile, e la gonnella inamidata, gonfia, ingentiliva la sua magrezza.
Una sera d’aprile, Alfonso uscí dalla casa di Annetta alle dieci e fuori trovò, freccia del Parto dell’inverno, un vento indemoniato sorto da poco piú di un’ora. Fischiava per le vie deserte di città vecchia inviperendosi ove si restringevano. Ospite inaspettato, frantumava le lastre non assicurate, spazzava dai tetti tutto ciò che non vi era solidamente fermato o che non vi apparteneva. Alfonso aveva freddo, ma in quel diavoleto portava seco la felicità di un bacio rubato ad Annetta.
Trovò la famiglia Lanucci ancora a cena con un nuovo ospite, certo Mario Gralli, proto in una tipografia. Era un giovane bruno, gli occhi piccolissimi, ma lo sguardo duro e fiero che lo qualificava furbo e tenace. Glielo presentarono con le solite parole, e Alfonso, poco lusingato di aver da fare la conoscenza di tutto il sobborgo, lo trattò con freddezza. Gralli si alzò per salutare e Alfonso ebbe qualche sorpresa di trovarlo piú piccolo di quanto s’era aspettato al vederlo seduto. Era vestito accuratamente quantunque di stoffe rozze; il solino naturalmente giallognolo si adattava esattamente al collo e la cravatta frusta ma non sucida era annodata con una certa qual civetteria.
Parlava poco e evidentemente mal volontieri. Gettava qua e là qualche monosillabo di risposta contentandosi poi di guardare in faccia chi gli parlava, fisso ma disattento. Non erano gl’imbarazzi di Alfonso, il quale sempre aveva voluto parlare e non aveva saputo, ma indifferenza di piacere. Se ne andò poco dopo la venuta di Alfonso, forse seccato dalla nuova faccia quando appena cominciava a sentirsi bene con gli altri. Quando si alzò, ad Alfonso parve ch’egli abbandonasse la mano di Lucia tenuta nelle sue sotto la tovaglia. Cosí presto tanto innanzi?
Poi gli venne raccontato che Mario Gralli era veramente il primo candidato alla mano di Lucia. Era da qualche tempo intimo di Gustavo cui dava da guadagnare qualche poco facendolo incaricare della distribuzione di alcuni giornali agli abbonati, e a Gustavo l’impieguccio piaceva perché delle cinque o sei ore che passava in tipografia, di lavoro non ne aveva che una o due. Avendo da ciarlare per tante ore e facendogli difetto altri argomenti, Gustavo gli raccontò dei suoi propositi per l’avvenire della sorella e del desiderio che avevano in famiglia di vederla accasata al piú presto. Un giorno, invitatane dal fratello, Lucia venne in tipografia a vedere le macchine. Era vestita bene come sempre e il Gralli subito ne parve preso. La condusse a vedere le singole macchine. Al loro passaggio gli operai facevano posto rispettosamente e se a Mario, in Lucia, per allora, piú che altro era piaciuta la teletta, a Lucia Mario piacque al vederlo contornato di tanto rispetto. Fu proprio cosí che i due si trovarono.
Il Gralli guadagnava molto e, contenta la figliuola, i genitori nulla potevano obbiettare. Del resto non erano stati interpellati, perché il Gralli aveva dichiarato a Gustavo di non poter formulare tanto presto la sua domanda ufficialmente, non prima di un anno. Direttamente coi genitori non ne parlò affatto, ma sempre a mezzo di Gustavo. Fece loro spiegare che nella sua posizione non era ancora abbastanza sicuro avendola ottenuta in seguito alla morte improvvisa di un suo capo e che non sapeva se gli sarebbe stata lasciata. Gustavo aggiunse di suo l’osservazione che non gli sarebbe sembrato decente d’insistere presso Mario acciocché facesse subito la domanda.
Tutto questo venne raccontato ad Alfonso dalla signora Lanucci. La stessa sera, con aspetto lieto, gli aveva detto d’essere molto contenta dell’avvenimento perché sempre aveva amato le belle lettere e le sembrava che la tipografia fosse molto vicina alla letteratura. Andò di nuovo da lui alla mattina allorché egli stava per uscire. Da prima, con l’aspetto della sera e veramente da persona che dà un annunzio giocondo, aveva detto la frase:
— Finalmente anche per noi si vede un po’ di luce.
Improvvisamente mutò di aspetto e di modi. Parlò delle cure che domandava l’avvenimento vicino e avendo cominciato a lagnarsi continuò dicendo che le dispiaceva dover fidarsi di quanto risolvesse Gustavo e di quanto egli giudicasse. Infine si mise a singhiozzare disperatamente dichiarando che non aveva creduto giammai di dover accordare la figliuola a persona ch’ella non conosceva. Ella aveva passato una brutta notte e la sua dolce fisonomia di grassa anemica era scomposta; i suoi capelli bianchi in disordine aumentavano il suo aspetto da sofferente.
Alfonso cercò di calmarla dicendole che il Gralli aveva prodotto in lui ottima impressione.
Sempre piangendo, ella assicurò che anche a lei lo sposo di Lucia piaceva, e aggiunse che sapeva di aver torto di piangere perché il pianto era di malaugurio per un avvenimento simile. Il dolore era il piú forte ed ella si lasciò trascinare a confessargli le speranze ch’ella aveva nutrite dacché egli era entrato in casa. Adesso poteva dirglielo perché non era piú possibile che la sua confidenza venisse presa per un attentato e meravigliò Alfonso con la sua sincerità. Però, mentendo, e Alfonso lo sospettò, disse che delle sue speranze Lucia nulla aveva saputo. Fu del tutto e commoventemente sincera quando gli spiegò le ragioni per le quali aveva desiderato di vederlo innamorarsi di Lucia.
— Lei la conoscevo. Avrei avuto la certezza che quand’anche le cose loro si fossero volte a male, lei avrebbe trovato sempre ancora la pazienza necessaria per trattare sua moglie con dolcezza. In due, cosí come me lo figuravo io, non si è mai del tutto infelici.
Alfonso non fu imbarazzato sul contegno da tenere. Piú di una volta aveva sentito il desiderio, un desiderio molto platonico, di render felice quella povera vecchia e si credeva ora in diritto di simulare dispiacere di non poter piú fare quello che non avrebbe fatto in nessun caso.
— Sarebbe stato un bel sogno, è vero, — disse Alfonso, — ma per ora non si poteva realizzarlo perché la mia posizione è anche piú misera e malsicura di quella di Gralli. Saremmo morti di fame.
Quando fu solo ripensò commosso al tragico dolore della Lanucci. Quella povera donna in mezzo alle sue disgrazie aveva rivolte tutte le speranze all’avvenire della figliuola e perciò era stata sempre piú rassegnata e piú lieta che gli altri. Ora appena le sue speranze morivano. Sua figlia doveva subire il suo stesso destino. Sarebbe stata circondata da una famiglia di disgraziati per nulla migliore di quella da cui usciva.
— Signorina, — disse Alfonso alla sera seriamente a Lucia, — voglio essere il primo a farle le mie congratulazioni e perciò gliele faccio subito.
Lucia ringraziò cerimoniosamente.
— Non c’è ancora nulla da congratularsi perché Mario non fece ancora ufficialmente la domanda, — lo chiamava già confidenzialmente col nome di battesimo; — da lei però posso accettare delle congratulazioni in anticipazione.
Alla sera Alfonso s’addormentò insolitamente presto, dopo aver subito per due ore la noia mortale della compagnia dei Lanucci e di Gralli. Sofferse al vedere lo sposo privo di spirito e d’idee, ma come comprendeva che la vecchia ne soffriva, cosí anche capiva che Lucia non se ne avvedeva e che il suo sposo le piaceva cosí dignitosamente muto.
Alfonso si trasse le coperte fino al mento e a conclusione di una lunga riflessione sull’andamento delle cose umane mormorò:
— L’uomo dovrebbe poter vivere due vite: Una per sé e l’altra per gli altri.
Pensava che se avesse avuto due vite, ne avrebbe dedicata una alla felicità dei Lanucci.