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XIV
XIII XV


XIV


Una sera Annetta annunziò ad Alfonso che pochi giorni appresso doveva arrivare suo fratello Federico. Gliene dava l’avviso acciocché si preparasse per contenersi con la massima prudenza. Federico l’amava molto e finché soggiornava in città sarebbe stato difficile che la lasciasse mai sola. Non commettesse dunque delle imprudenze, perché destando in Federico il piú leggero sospetto avrebbero dovuto cessare di vedersi. 

Alfonso le promise tutto ciò ch’ella gli chiese. Quella sera ella gli aveva molto permesso ed egli voleva contraccambiarla di eguale arrendevolezza; le chiese persino se ella desiderasse che per quel tempo sospendesse le sue visite e si dichiarò pronto di compiacerla. Tanto ella non volle, perché anche una tale improvvisa interruzione poteva destare sospetti. Non trovò necessario di dirgli che le sarebbe dispiaciuto di non vederlo per tanto tempo. 

In certo modo le relazioni fra Alfonso e Annetta erano divenute meno affettuose. Ella non gli aveva detto giammai di amarlo. Se lo era lasciato dire, ma da qualche tempo neppure lui non provava piú il bisogno di ripeterlo né essa s’accorgeva di tale mancanza. Pareva che perciò il loro contegno fosse divenuto piú franco e che si trovassero in un accordo tacito che però realmente non sussisteva; perché Alfonso ancora sempre sperava qualche cosa d’altro e aveva riconosciuto, dolendosene, che la via sulla quale si trovava era quella che poteva condurlo alla conquista di una ganza ma non di un’amante o di una moglie. 

In presenza di altra gente, egli aveva l’aspetto di corteggiatore, lanciava delle occhiate, faceva complimenti o chiedeva di essere per un solo istante solo con essa per poterle dire qualche cosa. Quando finalmente erano soli, con un sorriso in cui egli credette talvolta di scorgere l’ironia, ella gli diceva che poteva parlare. Senz’aprir bocca egli l’attirava a sé e furiosamente la baciava. A un dato punto ella si difendeva, ma con la calma energica della persona sicura di sé. Non avevano piú dispute dacché Alfonso era divenuto piú prudente dinanzi a coloro di cui Annetta temeva i sospetti. Sembrava proprio ch’ella stessa fosse disposta a divenire piuttosto sua ganza che sua moglie; si adirava per il suo contegno in pubblico, non per quello a quattr’occhi. 

Lo si avvisò in ufficio ch’era arrivato Federico e ciò gli produsse una strana impressione di sgomento. A poco alla volta aveva conquistato l’amicizia di tutti coloro che frequentavano casa Maller. Era stata una conquista lenta e difficile che gli sembrava fosse riuscita per caso fortunato, per essere stata preparata prima dalla stima che gli aveva regalata Macario, poi dal rispetto che Annetta, un’ignorante, aveva credito di tributargli. Ora interveniva un nuova persona che sembrava usasse pensare con la propria mente e chissà con quali massime. Era da temerne, visto che Annetta ne temeva per lui. Federico era di certo un ambizioso che avrebbe cominciato col disprezzarlo. 

Per quella sera non andò da Annetta; non voleva farsi vedere troppo presto. La sera appresso gli sembrava che fosse un secolo dacché non l’aveva veduta e andò in casa Maller ingenuamente credendo che cosí dovesse sembrare anche agli altri. 

Trovò soltanto Francesca e fece il viso di chi soltanto dopo di aver ingoiato un liquore s’accorge ch’è amaro. Francesca comprese. 

— Per una sera, — gli disse sorridendo, — si contenti di parlare con me di Annetta. Ella ha dovuto uscire col signor Federico. Dunque ascolto! Mi racconti qualche cosa dei suoi rapporti con Annetta. — Stette zitta, attendendo ch’egli parlasse, mentre egli rimaneva muto, sorpreso dallo strano esordio col quale Francesca sembrava di voler estorcergli delle confidenze. — Credevo le facesse piacere di parlare di Annetta e con me lo può, visto che, come avrà capito, lo spero, sono la sua confidente. — Volle dargli una prova ch’ella sapeva tutto: — Mai piú sul pianerottolo! — gli disse con una risata e minacciò con la bianca mano, la parte piú perfetta del suo corpo. Alludeva a quell’abbraccio che Alfonso tempo prima sul pianerottolo aveva rubato ad Annetta. 

A lui bastava la prova ch’ella gli aveva data, specialmente perché sentiva forte il bisogno di parlare di Annetta e di lagnarsi di lei. Disse dunque che dei suoi rapporti con Annetta, come li chiamava Francesca, egli non era affatto affatto soddisfatto. Annetta non era quale egli l’avrebbe voluta. 

— Lei non avrebbe veramente delle ragioni a lagnarsi, — osservò Francesca in un tono che a lui sembrò ironico. — Sembra ch’ella non apprezzi come dovrebbe la fortuna toccatale. 

Egli apprezzava come doveva la sua fortuna, ma non gli sembrava che tale fortuna fosse molto grande. Chiese di udire da Francesca in quali termini letteralmente Annetta le avesse fatto le sue confidenze; voleva sentire se almeno in quell’occasione fosse stato parlato di amore. Francesca asserí di non rammentarsene e perciò di non poter compiacerlo. 

— Sa, — chiese Alfonso serio, serio, — che non mi ha detto mai di amarmi? Di Annetta davvero non so se mi ami o mi derida. 

Parve che Francesca stesse per ridere della confidenza di Alfonso, ma poi molto seria lasciò cadere la frase pensata ad alta voce: 

— Sono tutti cosí i Maller. La freddezza è il carattere di famiglia. 

Alfonso non dimenticò questa frase che gli sembrò una conferma delle voci corse sul conto di Francesca e delle sue relazioni con Maller. Chi altri della famiglia poteva ella aver conosciuto freddo in amore? 

— Però, e questo è certo, — continuò Francesca, — Annetta non la deride e posso dire di non averla mai vista come è ora. — Subito divagò e parve presa dal desiderio di esser creduta attenta invigilatrice di fanciulle anche da Alfonso. — Se non compio quello che sarebbe il mio dovere raccontando ogni cosa a Maller è perché mi affido alla sua onestà e nell’onestà del carattere di Annetta. — Ad ogni modo gli consigliava di non lusingarsi di troppo sull’amore di Annetta ch’ella supponeva dovesse improvvisamente morire. Era la prima avventura di tale specie che le toccava, ma si poteva predirne la conclusione, e di nuovo Alfonso volle scorgere qualche cosa di amaro nel suo sorriso. 

— Non mi faccio piú lusinghe, so ch’è uno scherzo, — faceva il forte ma parlava con fatica. 

Con compassione materna Francesca esclamò: 

— Non sarebbe questo per lei il momento di ritornare a casa sua? Non s’è ancora avvisto che questa città non fa per lei? 

— Perché? — chiese Alfonso che si commoveva vedendosi compianto. 

— Se non lo capisce, non glielo posso spiegare. Anch’io vivrei volentieri in campagna e darei molto ma molto per non aver lasciato il suo villaggio, il nostro n’è vero? 

Si guardarono inteneriti. La loro sorte simile li riavvicinava e li commoveva. 

Francesca volle dargli un consiglio e lo pregò di ascoltarlo e seguirlo come se gli pervenisse da una madre. La premessa fece sperare molto ad Alfonso di questo consiglio e fu grande la sua disillusione allorché ella gli disse semplicemente che non comprendeva perché egli continuasse ad agitarsi il sangue con Annetta, quando finalmente doveva aver riconosciuto che a portare vita e passione in quella statua ci voleva ben altra arte che la sua. Ella gli consigliava di contenersi precisamente come glielo domandava Annetta, freddamente. 

Era questo il grande consiglio? Se anche non con le stesse parole, tale consiglio gli era stato dato già da Annetta stessa e suppose che per desiderio di costei gli venisse ripetuto. Forse anche Francesca prendeva il suo ufficio di custode piú seriamente di quanto egli fino allora avesse creduto e gli parlava cosí per diminuire il pericolo che minacciava Annetta. 

Ma al momento di congedarsi, il linguaggio di Francesca mutò e gli disse due o tre brevi frasi di cui egli non comprese subito tutta l’importanza. 

— Non capisce che le carezze senza conseguenze tolgono ogni influenza su noi donne agli uomini che le fanno? Baciucchiare! Ma è proprio il modo per non arrivare a baciare mai! 

Lo guardò indagando se venisse compresa e abbozzò un sorriso, strizzando d’occhio a spiegazione di quanto aveva detto: un perfetto sorriso da complice. 

Questo era il consiglio! Non lo aveva ancora capito e già aveva compreso che le supposizioni ch’egli aveva fatte sulle intenzioni di Francesca erano erronee. Ne fu sbalordito! Era forse per spensieratezza che quelle ultime frasi erano state pronunziate, ma piú verosimilmente tutte le altre erano state dette per mascherare queste ultime e darsi l’aspetto di persona di cui solo la lingua commette un errore. Quest’aspetto non era stato conservato perché quell’occhiata diffidente e indagatrice e quel sorriso furbesco lo avevano tradito. Gli era stato dato un consiglio e si capiva anche a quale scopo. Non per allontanarlo da Annetta. Gli veniva indicato un mezzo per trionfare di lei. 

Non gli veniva consigliata cosa a lui del tutto nuova e si rammentava di un’affettazione di freddezza che Annetta aveva voluto dare all’eroe del loro romanzo, la quale essa diceva che doveva vincere le ritrosie della loro eroina; era precisamente quella la freddezza voluta da Francesca. Il consiglio era buono! Doveva essere piacevole seguirlo perché, se anche non lo avesse condotto a quella vittoria prevista da Francesca, sperava almeno di arrivare a quello ch’egli desiderava, conquistarsi l’affetto di Annetta. Immediatamente egli sperava di sentire dal contegno suggeritogli maggior soddisfazione che da quello aggressivo seguito fino allora. Il piacere di poter stringersi Annetta al petto o di baciarla, da lungo tempo non era piú tale da pareggiare l’avvilimento che gli dava una sua parola brusca o una accoglienza fredda. Già dal solo proposito di assumere quel contegno sentiva cessare la tensione dei suoi nervi potendo finalmente uscire dalla lotta di ogni giorno nella quale si trovava da oltre un anno, lotta che aveva sempre il medesimo risultato, mai né una vittoria né una disfatta definitiva. 

Per lungo tempo non poté mettere in atto il suo proposito. 

Venne presentato a Federico Maller. Lo aveva già veduto altre volte e da lontano, sulla via, gli era sembrato un bel giovane elegante. Biondo, alto, slanciato, un volto meno che ovale, affilato, con occhi grandi intensamente azzurri e dolci, aveva un’apparenza aristocratica qualche poco effeminata. Da vicino invece l’occhio perdeva la sua dolcezza perché inquieto e inquadrato in certa pelle abbondante e oscura; sul volto giovanile sembrava andasse formandosi la ruga. Quel poco che alla sua fisonomia rimaneva di donna era da virago. Aveva capelli radi e disposti con arte per farli sembrate piú numerosi. 

Per Alfonso fu un disinganno che venne aumentato dai modi bruschi che Federico usò con lui. Dopo la presentazione Federico gli chiese se da suo padre si trovasse contento e la risposta balbettata di Alfonso non gli piacque troppo essendosi atteso un inno di lode alla banca Maller. Avvedutosi di aver errato una volta, Alfonso non seppe riacquistare la parola, e quella sera, per colpa di Federico, somigliò molto a quell’altra, la prima ch’egli aveva passata in casa Maller. 

Uscendo s’imbatté sul corridoio in Annetta. 

— Sono molto contenta di lei, — gli disse ella stringendogli con calore la mano. Voleva ricompensarlo del suo contegno prudente ch’ella credeva conseguenza delle sue raccomandazioni. Egli tentò di attirarla a sé, ma ella gli sfuggí con un grido di spavento e messasi al sicuro, minacciandolo con la mano, gli disse: 

— Incorreggibile! 

Cosí egli se ne andò addolorato di non aver avuto sufficiente disinvoltura con Federico e forza di volontà con Annetta. Ella aveva le sue ragioni di essere soddisfatta di lui e tali che le avevano impedito di avvedersi quanto a disagio egli si fosse sentito quella sera! In quanto all’errore ch’egli aveva commesso con Federico si tranquillò pensando che non gli doveva importare di troppo. Prima di averlo avvicinato, lungamente egli aveva pensato a quella figurina aristocratica e l’aveva sognata entrare decisivamente in azione in suo favore. Ora riconosceva che nessuno dei Maller avrebbe fatto volontariamente un passo per lui ed egli ritornava con maggior desiderio a pensare al piano di Francesca. 

Era difficile mostrare piú freddezza di quella che Annetta esigeva da lui durante il soggiorno di Federico in città. Quando si trovavano soli, il tempo era troppo breve perché Alfonso potesse trovare l’energia di costringersi alla freddezza, e uno sguardo o una parola dolce lo portavano immediatamente ad aggressioni delle quali poscia non sapeva pentirsi. 

In compenso Alfonso non ebbe alcuna ragione di lagnarsi di Federico perché dopo quella prima sera venne trattato da lui con aristocratica freddezza, ma non bruscamente. Poco dopo l’arrivo del fratello, Annetta aveva pregato Alfonso di fargli credere che non lavoravano piú al romanzo. A Federico ne era stato parlato e sembrava ch’egli non si fosse mostrato soddisfatto di tale collaborazione. 

Una sera, con un sorriso che voleva essere amichevole, chiese ad Alfonso: 

— E quel romanzo perché non venne terminato? 

— Non per colpa mia. Un bel giorno alla signorina l’argomento spiacque e lo lasciò. Forse si riprenderà! 

Federico parlò contro i lavori fatti in collaborazione. Un lavoro non poteva essere buono se fatto in due e, se risultava buono, era segno che ogni singolo dei due collaboratori sapeva fare di meglio. 

Alfonso non si sentí il coraggio di sostenere una discussione: 

— Secondo i casi e i temperamenti, credo, — disse modestamente. 

A modi amichevoli fra’ due non si arrivò mai. Alfonso si sentiva specialmente seccato che Federico non sapesse ascoltare e non prendesse interesse che alle cose concernenti la propria personcina o che alla medesima potessero dare maggior risalto. Pensò che anche quella persona aristocratica doveva essere poco abituata a frequentare società e a subirne il peso, perché il primo risultato che si ha dall’abitudine di avvicinare i proprî simili, specie gl’intelligenti, è di saper sopportare la noia delle idee altrui. Bastava questo solo difetto di Federico per dividere definitivamente i due uomini, perché, dal canto suo, Alfonso, — era un frutto della sua ambizione letteraria, — esigeva talvolta di essere ascoltato attentamente. Sospettava che il contegno di Federico fosse tale soltanto in sua compagnia, per disprezzo. 

Anche dopo di aver riconosciuto che non v’era la possibilità di amicarsi Federico, di tempo in tempo veniva trascinato a dei tentativi a questo scopo dei quali unico risultato era il suo avvilimento. L’ultima sera in cui Alfonso dovette trovarsi col fratello di Annetta, nella gioia di vederlo partire, volle usargli una grande cortesia e stringendogli la mano gli disse con dolcezza: 

— A rivederci, signor Federico! 

Federico lo guardò con sorpresa impertinente e poco lusingato della cortesia dell’impiegato di suo padre. Poi s’inchinò anche lui cortesemente, ma non rispose che con un «buona sera» ch’era troppo poco per non essere villano in risposta all’amichevole saluto di Alfonso. 

Neppure dopo la partenza di Federico, Alfonso non seppe affettare con Annetta la freddezza che s’era proposta. Lasciato di nuovo libero, solo con lei, si sentiva troppo bene di poter ritornare ai rapporti di prima per rinunziare volontariamente a quella felicità. Non valse a fortificarlo nella sua risoluzione qualche ammonizione che gli fece Francesca velatamente. Doveva essere molto seccata di vederlo sempre uguale a se stesso. Un giorno ch’egli non seppe trovare la soluzione di un indovinello, ella gli disse: 

— Ella è meno intelligente di quanto io avessi creduto. 

Gli sorrideva per farsi perdonare l’insolenza, ma nella sua voce tremolava ira o impazienza, qualche cosa di violento, mal rattenuto, cosí ch’egli comprese trattarsi di tutt’altra cosa che dell’indovinello. Poco prima ella lo aveva sorpreso molto vicino ad Annetta, il volto infocato, mentre Annetta aveva la faccia rosea tranquilla, e nello stesso tempo si ricordò che a Francesca la sua attitudine doveva dispiacere. Arrossí e si vergognò. 

L’insistenza di Francesca a rammentargli il suo consiglio finí col fargli temere di costei come se ella avesse avuto il diritto di fargli dei rimproveri. La evitava, e per debolezza, non per proposito, dinanzi a lei trattava Annetta con maggior freddezza come se avesse voluto farle credere di aver finalmente adottato il suo consiglio. Ma Francesca non mancava di spirito d’osservazione e il disdegno sul suo volto pallido non scomparve. 

Quando però egli per caso fu indotto a adottare quel sistema, fu dessa la prima ad accorgersene, anche prima che Annetta stessa, e fece leggere ad Alfonso sul suo volto l’approvazione ch’egli ancora non sapeva di meritare. 

Alfonso aveva giurato, digrignando i denti dall’ira, di vendicarsi di Annetta per una parola offensiva ch’ella gli aveva detta. Una sera ella aveva avuto per lui maggior freddezza del solito. Aveva badato a Macario cui era riuscito di fare dello spirito con bastante fortuna e non s’era occupata niente di lui, ciò ch’era bastato a destare gelosia nell’animo dell’innamorato e come sempre a fargli perdere la parola dallo scoramento. Incorse poi in un errore grandissimo; con un pretesto nullo rimase anche quando Macario se ne andò, mentre Annetta aveva sempre voluto ch’egli usasse la massima prudenza dinanzi a Macario. Non appena si vide solo con essa, volle tirarla a sé, ma ella si difese risolutamente e gli disse con disprezzo: 

— Questi baciucchiamenti mi seccano. 

La frase era molto offensiva. Con essa Annetta metteva a nudo il ridicolo da lui già sentito nella loro relazione e di piú ella vi si sottraeva lasciandone tutto il peso sulle sue spalle. Cosí sorgeva una persona che poteva deriderlo, Annetta stessa. 

Fu allora ch’egli si propose di secondare il volere di Francesca, e per vendicarsi prima di tutto. Voleva ricacciare in gola ad Annetta quelle parole e dimostrarle che, se v’era del ridicolo nella loro relazione, non ne aveva la colpa soltanto lui. Oh! egli ne era convinto: ella aveva bisogno di lui, di quella relazione e precisamente nella forma ch’ella aveva voluto deridere. Anche Francesca era del suo parere, si capiva. Gli dava una grande fiducia l’opinione altrui; senza di questo consenso, anche avendo la convinzione di aver ragionato giustamente, non ne aveva mai tanta da dargli la risolutezza necessaria per agire. 

Poi, messosi risolutamente alla sua parte, si sentí bene. L’ira era ben presto scomparsa in lui, ma egli continuò nel contegno che gli era stato dettato da lei. Avvistasi dell’effetto prodotto dalle sue parole, Annetta subito era divenuta gentile ed egli pensò che ella volesse fargliele dimenticare. Per la prima sera ella non ebbe sorprese. Egli era quale ella aveva voluto che fosse; soltanto sorrise ironicamente quando egli se ne andò stringendole la mano con freddezza. Ella non credeva che la lezione che gli aveva dato servisse per molto tempo, e voleva far credere o credeva che essa per la prima sarebbe stata lieta d’ingannarsi. 

Era stato gentile ma con difficoltà, perché non era facile per lui di ritrovare con Annetta quel tono di amichevole cortesia da lungo tempo abbandonato per il tono di passione che fino ad allora, quando gli era mancato spontaneo, aveva imitato con sforzo. 

Ben presto s’imbatté in altra difficoltà e maggiore. Per continuare la commedia era necessario di trovare un argomento per passare le serate con Annetta senza lasciare ch’ella provasse noia o che egli, pur provandone, — vi si rassegnava, — la lasciasse trasparire. Fino allora gli erano bastate quelle piccole insidie che tendeva ad Annetta per riempire tutto il tempo; gli davano una tensione di nervi che escludeva la noia. Da lungo tempo avevano cessato di lavorare al romanzo e restava bugia quanto avevano detto a Federico soltanto perché mai quando si ritrovavano soli Annetta aveva tralasciato di preparare l’occorrente per scrivere. Fra di loro avevano sempre continuato a manifestare l’intenzione di continuare nel lavoro. 

— Ci mettiamo al lavoro? — chiese ad Annetta. 

Ella approvò, ma poiché egli subito voleva mettersi a scrivere, dovette far cercare una penna. Per manifestare l’intenzione di continuare il lavoro bastava preparare carta e calamaio e non la penna. Con tutto zelo egli si gettò al romanzo perché sarebbe stato per lui una fortuna di poter distrarsi in altre idee e non avere a fare degli sforzi per essere indifferente. Del nuovo fecero poco perché per procedere oltre sarebbe loro bisognato di rileggere tutto il romanzo di cui qualche parte avevano dimenticata. Il fatto era tanto nuovo che trovandosi soli e cosí vicini Alfonso rimanesse tranquillo senza minacciare, che Annetta prese un movimento di Alfonso per un attacco e, avendo accennato a difendersi, arrossí accorgendosi che l’allarme era stato ingiustificato. Egli comprese il suo imbarazzo e fu quella la volta ch’egli dovette fare il maggior sforzo per non toglierla all’umiliazione ch’egli sentiva come propria. Ma resistette, e per quella sera Annetta rimase imbarazzata, meno disinvolta del solito, e Francesca, che poco dopo sedette al suo solito telaio, ebbe un lieve sorriso di soddisfazione fatto proprio acciocché venisse veduto da Alfonso. 

In luogo di perdere tanto tempo inutilmente col rileggere il romanzo, Alfonso propose e Annetta accettò, di correggerlo insieme, esaminare frase per frase e poi appena terminarlo. Il lavoro era noioso, ma meno pericoloso per le relazioni letterarie fra’ due collaboratori perché nessuno dei due aveva gusti troppo raffinati in fatto di lingua, e Alfonso, per quel poco che l’avrebbe voluta piú sobria, si adattava facilmente al gusto di Annetta avendole già fatto altre concessioni e comprendendo che, svolto a quel modo, il romanzo non poteva essere vestito che di panni dello stesso gusto, melodrammatici e chiassosi. 

Annetta doveva aver riflettuto lungamente allo strano contegno di Alfonso perché la sera appresso egli la trovò tranquilla e serena, sempre amichevole, con una certa aria di superiorità sorridente che le stava bene. Al vederli ora insieme, sembrava che per un tacito accordo fossero ridivenuti buoni amici e null’altro, Alfonso persino timido. Ah! invece egli soffriva già disperando, e rimpiangeva quelle serate in cui non ancora gli era stato consigliato di essere astuto. Era molto male ch’ella non gli tenesse il broncio. Non aveva sperato di aver a udire delle parole di rimprovero, ma neppure pensato che cosí presto ella avrebbe saputo far mostra di tanta indifferenza. Poteva ancora far dubitare della sincerità di tale freddezza unicamente il fatto che Annetta non gli dava alcuna lode di aver finalmente assunto il contegno ch’ella aveva desiderato. La lode gli sarebbe spettata e in Annetta era una mancanza del suo preteso freddo raziocinio il non avergliela data. Della novità nel contegno di Alfonso ella non parlò mai; cercava mostrar di non essersene accorta e questo silenzio fu l’incoraggiamento che indusse Alfonso a perseverare.

Una sera, otto giorni dopo, ella lo accompagnò fino alla porta del tinello e si ritirò frettolosamente con un piccolo inchino cerimonioso. S’era contenuto male! Già stanco e freddo perché gli mancava ogni stimolo, non s’era curato di usare ad Annetta gli altri mille riguardi di cui aveva riconosciuto che specialmente allora c’era bisogno con essa per non alienarsela del tutto. Aveva omesso di dimostrarsene innamorato! La sua parte, da bel principio egli se lo era detto ed era stato per sciocca inerzia che della sua osservazione non aveva fatto miglior uso, la sua parte doveva essere sempre da innamorato ragionevole che si contenta di uno sguardo o di una stretta di mano, ma innamorato doveva apparire. 

Ebbe, finché non la rivide, un’immensa inquietudine. Temeva che in una o altra forma ella gli desse quel congedo ch’egli già aveva temuto di ricevere per le sue arditezze; non avendolo ricevuto allora per quelle cause, era possibile che gli venisse dato ora per queste. Si vide ridotto a mal partito e se la prendeva nella sua mente con Francesca e il suo consiglio. Si propose di andare da Annetta a chiederle perdono raccontandole perché avesse assunto quel contegno. Non si sentiva colpevole e si riprometteva di convincerla che non lo era. Aveva voluto renderla piú mite e piú arrendevole e le avrebbe detto che non aveva fatto altro che imitare l’astuzia usata dal loro eroe stesso. La scusa era facile ed anzi dalla freddezza a cui s’era costretto in quei pochi giorni poteva forse già ritrarre qualche frutto. 

Comprese dai modi riservati ma gentili di Annetta che il pericolo temuto era piú lontano di quanto egli avesse creduto e la riservatezza di Annetta lo fece suo malgrado, per timidezza, continuare nel contegno che aveva risoluto di lasciare. Passò la serata molto aggradevolmente. Come sempre, gli bastava di uscire da un’incertezza, da un timore, perché il rivedere Annetta fosse per lui un’immensa felicità. A passare gradevolmente il tempo provvide la sua agitazione, essendo sempre là pronto a gettare le braccia al collo ad Annetta e a ritornare a quella sua posizione soggetta che gli offriva tante gioie. Non ebbe bisogno di sforzo per ricordarsi che ad Annetta sempre bisognava fare la corte. Egli l’amava, l’amava almeno per quella sera, e cosí non l’aveva amata dal giorno in cui aveva osato di baciarla per la prima volta sulle labbra. Erano di nuovo di quelle trepidazioni che aumentano il desiderio. Egli parlò meglio del solito e azzardò delle allusioni al suo amore come se altre volte non avesse già fatta la sua dichiarazione ardita. Si ritrovò balzato di nuovo a quella freschezza d’impressione che dà la cosa del tutto nuova e Annetta ascoltava e sorrideva. Mai ella non gli era apparsa tanto arrendevole. Altre volte s’era lasciata abbracciare mentre ora non accordava che parole e sguardi, ma prima, concedendo, aveva sempre dimostrato il dispiacere di non saper resistere, mentre ora dava prontamente quello che le si domandava e piú. 

Naturalmente egli fu subito riconciliato col consiglio di Francesca e la sua energia fu di nuovo quale era stata in seguito all’offesa di Annetta. Monologando come sempre quando era agitato, egli andava dicendosi beato che Annetta nelle sue mani abili diveniva cera molle cui egli avrebbe dato la forma che avrebbe voluto. Pensandolo moveva le dita come se avesse avuto in mano quella cera. 

Ad Annetta non rimaneva che l’aria di superiorità, la parola piú franca quindi e che ancora talvolta sonava imperiosa. Realmente questa superiorità non sussisteva piú e piú visibile si manifestava la differenza nel suo contegno quando si trovavano dinanzi a terzi; fra tutti, egli restava sempre la persona di cui ella aveva maggior cura. Persino nelle discussioni che pur ancora avvenivano sul romanzo, egli, e per quanto poco gl’importasse, riportava sempre la vittoria. 

Non sapeva se per questi mutamenti potesse nutrire grandi lusinghe, ma grande lusinga non gli sembrava sperare di portar la loro relazione al punto a cui già si era trovata, ma questa volta col consenso esplicito di Annetta. Egli rimandava da un giorno all’altro quel passo che prima o poi doveva fare e che gli avrebbe fatto conoscere con piena sicurezza i risultati ottenuti, ma otto giorni piú tardi neppure pensava a fare tale passo perché troppo bene si sentiva come era. Egli aveva sperato di udire delle parole di amore, ma ora sarebbe stato poco abile a chiederle. Sarebbe equivaluto a retrocedere. 

Erano stati per delle ore intere uno accanto all’altra non parlando mai di amore e sempre ambidue con la dolcezza nella voce e nel modo come se ne parlassero. Anch’ella interrompeva delle frasi incominciate perché poco le importava di compierle ed egli non aveva curiosità di udirle perché comprendeva ch’ella veramente nulla aveva da dirgli. Finalmente ella si trovava nella condizione d’animo in cui tante volte egli s’era trovato. Amava o almeno desiderava. 

Di spesso, molto di spesso dacché era intervenuta quale consigliera, Francesca assisteva alle loro sedute ed era causa non piccola che i due amanti rimanessero stazionarii. 

Nella felicità egli volle dimostrarsi riconoscente a colei cui egli credeva di andar debitore della sua felicità. Dimenticò il modo con cui il consiglio gli era stato dato e con quella franchezza che gli era propria quando credeva di fare un atto doveroso disse a Francesca stringendole la mano: 

— Grazie, grazie. 

— Di che? — chiese Francesca con isdegno. Poi quando spaventato egli si ritirava ritenendo che Francesca fosse sdegnata perché con quel ringraziamento si vedeva accusata di una complicità che non voleva ammettere, violentemente ella scoppiò nelle parole: 

— Se tubano come colombi, non ne ho mica io la colpa. 

Ancora sempre e di nuovo ella era malcontenta di lui e sembrava ch’egli non avesse perfettamente inteso il suo consiglio. Egli se ne adirò perché per il momento non si sentiva disposto a tendere dei tranelli ad Annetta. Andava dicendosi che Francesca s’ingannava credendo che per compiacerla egli avrebbe osato delle novità quando si sentiva tanto bene come era. In cosa di tanta importanza voleva avere il suo parere proprio. 

Il suo proprio parere? Piú tardi non avrebbe osato di asserire che le cose fossero camminate a quel modo per suo volere. 

Il fatto si è che, calcolata per commuovere Annetta, la sua freddezza aveva apportato altrettanto danno a lui. I suoi sensi erano stati agitati dalle promesse mai mantenute ripetute ad ogni loro convegno. Prima nel tentativo di rubare una carezza o un bacio, la sua mente era stata conservata in una continua attività verso una meta e, questa meta raggiunta, i suoi sensi si erano calmati nella soddisfazione che, per quanto relativa, era però quella ch’essi avevano cercata. Ora invece gli mancava ogni attività e ogni soddisfazione ed egli nell’inerzia analizzava i propri desiderî mai soddisfatti né calmati e li rendeva piú acuti. Ma anche per altre cause, naturalmente, erano divenuti piú forti. Egli credeva ora che Annetta sentisse i suoi medesimi desiderî e quando pensava che acciocché questi due desiderî s’incontrassero bastasse il suo volere, il suo ardire, egli si sentiva rimescolare il sangue. L’idea della vicinanza di tanta felicità gli dava le vertigini. I suoi sogni prendevano sempre piú l’aspetto della realtà. Conosceva o credeva di conoscere il suono di voce o lo sguardo con cui Annetta lo avrebbe amato. Una sera con gesto selvaggio volle attrarla a sé. Con un grido di spavento ella sfuggí all’abbraccio. Perché l’improvviso spavento? Ella sapeva prima di lui stesso ciò ch’egli voleva? 

Quando era presente Francesca, Alfonso parlava molto e di cose che non aveva mai né amate né odiate. Comprendeva che Annetta seguiva il suono della sua voce e che con tutta vivacità, quella vivacità di cui Macario la credeva incapace, ella sentiva e viveva con lui. Questa sensazione ricordava, non le proprie parole, non la cosa di cui aveva parlato. 

Eppure se anche agí in quell’esaltazione morbosa che per giornate intere lo faceva vivere in un sogno continuato, pure ebbe una freddezza di calcolo da persona che vuole sapendolo. 

Aveva atteso con impazienza che Francesca si assentasse, ma non gli bastava che lasciasse la biblioteca, bisognava che uscisse dalla casa. Era l’unica persona che potesse disturbarlo e voleva assicurarsene. S’era domato per piú di una sera e aveva osservato, roso dall’impazienza, ogni movimento di Francesca che usciva di spesso ma per rientrare subito. Era costei che aveva fatto tutto, cosí egli pensò dopo. Giacché egli non sapeva essere freddo come ella aveva consigliato, ella lo aveva obbligato a certi limiti con la sua continua presenza e il contegno che cosí gli aveva imposto era già bastato a condurlo dove ella aveva voluto. 

Una sera capitò inaspettato. Avevano stabilito di non vedersi per quel giorno, ma dopo lunga lotta egli non aveva saputo rimanere lontano da quella casa. Le due donne avevano detto di voler uscire se il tempo fosse stato bello e da poche ore s’era offuscato; era quindi probabile che avevano dovuto rinunziare alla passeggiata. 

Sulle scale incontrò Francesca che usciva sola. Ella lo salutò con maggior cortesia del solito e, guardandolo negli occhi con quel suo sguardo scrutatore quando si degnava di fermarsi sulle cose, gli disse ch’era sorpresa di vederlo e con aria di franchezza gli chiese se Annetta, quando la sera prima li aveva lasciati soli, gli avesse detto di venire. L’interrogazione inaspettata imbarazzò Alfonso e non seppe cavarsela meglio che fingendo di non rammentarsi che con Annetta fosse stato stabilito di non vedersi per quel giorno. Cosí egli aveva fatto credere che Annetta ad insaputa di Francesca gli avesse dato un appuntamento. 

— Annetta l’attende in biblioteca, — disse Francesca piú seccamente dacché aveva saputo quello che aveva ricercato, e continuò a scendere. — Fra mezz’ora sarò di ritorno, — disse ancora. 

Salendo, ad Alfonso tremavano le gambe. Avrebbe avuto l’energia di fare in mezz’ora quello che s’era proposto? L’azione in sé l’agitava meno che il vederla costretta in sí breve tempo. 

— Finalmente soli, una volta! — disse egli, e non appena entrato l’attirò a sé, ma senza violenza, come se avesse voluto salutarla, stringerle la mano. 

Ella poggiò la testa sul suo petto e con rimprovero dolce per la posizione da cui lo faceva, ma con serietà, disse con voce troppo soda e tranquilla per essere naturale: — Eravamo pur soli recentemente. 

— Mi scusi! — balbettò Alfonso. Egli non voleva commuoversi di piú e la baciava dolcemente sugli occhi, calcolando fin dove avrebbe potuto condurlo quell’abbandono di Annetta. 

La biblioteca non era illuminata che dalla lampada a petrolio sul tavolo e la sua luce, chiusa dal paralume, si proiettava tutta all’ingiú, in una larga macchia sul tavolo verde e in un fascio di luce che sfuggiva verso il pavimento. Si amava bene nell’austerità di quella stanza, in mezzo agli armadi neri e semplici e quella serietà dei libri che mostravano le schiene larghe con le cifre d’oro. Era una contraddizione che aguzzava maggiormente il desiderio di Alfonso. Alcuni grossi volumi legati senz’eleganza, forse raccolte di giornali, schierati in un canto emanavano un forte odore di colla. 

L’aveva lasciata e tenendola per mano l’aveva tratta fuori della luce. Vedendolo cosí tranquillo, ella non ebbe sospetti e sedette accanto a lui sull’ottomana. Cosí, uno accanto all’altra o anche abbracciati al medesimo posto, erano già stati altre volte. Egli provò dispiacere che per caso ella si fosse seduta ove lo schienale mancava. Ma anche là lo accompagnava la sua timidezza. L’abbracciò stretta piegandola per indietro. Voleva esaminare in qual modo ella avrebbe resistito e gli pareva di fare una timida ma chiara domanda; se Annetta non reagiva egli poteva riferirsi a quella domanda per scusarsi. Per vigliaccheria le chiese anche «Sí...?» ma a voce tanto debole che non poteva sapere se ella avesse udito. E non fu la parola che avvisò Annetta del pericolo che correva. Ella pregò e minacciò ma con voce dolce e si difese, ma le braccia puntellate mollemente sul suo petto non impedivano nulla. Egli però non s’era atteso a resistenze e per deboli che fossero lo irritarono. La costrinse bruscamente, frettoloso e brutale, e in apparenza almeno fu un tradimento, un furto. 

Ritornando in sé percepí di nuovo l’odore intenso di colla che regnava in quella stanza ove gli sembrava di ritornare dopo una lunga assenza. Ella disse le prime parole: — Mio Dio, che cosa abbiamo fatto? — La sua era sorpresa e disperazione. Guardava gli oggetti intorno a sé come se avesse sperato ch’essi la richiamassero da quello che sperava un sogno. Il disordine nelle sue vesti, cui appena allora cercò di riparare, le diede la certezza ch’era perfettamente in sé. Si rialzò non senza dignità; chiamava in aiuto tutte le sue forze, ma non che un riparo non trovava neppure un contegno che le fosse piaciuto di seguire. Si padroneggiò e muta si asciugò le lagrime e si avvicinò al tavolo allontanandosi da lui. 

Egli comprese ch’era suo dovere cercare di consolarla. Le si avvicinò e la baciò sulla fronte. Era un dovere e all’infuori di quell’atto altro egli non trovava. Che cosa doveva dire? 

Ella lo lasciava fare, ma il dolore la vinse di nuovo, pianse ancora una volta e ripeté la sua frase disperata. Non gli disse una sola parola di rimprovero, e ciò provava che relativamente alle circostanze la sua freddezza era abbastanza grande. A lui nulla aveva da rimproverare perché egli aveva fatto quello a cui egli mirava da lungo tempo e ch’ella sapeva essere il suo scopo. 

Alfonso ritrovò finalmente la parola. Le disse di amarla. Per quel bacio avrebbe dato la vita e non poteva quindi pentirsi della sua azione. 

Pur lasciandosi abbracciare ella gridò: 

— Sí, ma non ci vedremo piú, mai piú! 

Fu allora che per un piccolissimo intervallo di tempo la sua lucida mente si offuscò. Non comprendeva che il passo fatto era irrevocabile e pareva credere potesse venir cancellato da quella sua risoluzione. 

— Come vorrà! — gridò Alfonso ingenuamente. 

Con quella fanciulla che piangeva si sentiva male e se non avesse temuto di spiacerle se ne sarebbe andato subito e magari promettendo di non ritornare mai piú. Provava sorpresa al sentirsi cosí calmo e lontano dal desiderio che dieci minuti prima lo aveva condotto ad un’azione tanto arrischiata. 

Venne Francesca e poté subito comprendere quello ch’era avvenuto perché Annetta non era ancora al caso di celarlo né degnava di provarvisi. Aveva gli occhi rossi dal pianto e guardava con ostinazione nel vuoto; si costringeva a riflessione intensa. Dal canto suo, Francesca non chiese nulla e non diede occasione a bugie. Alfonso imbarazzato volle andarsene. Francesca lo salutò con una stretta di mano e un inchino amichevole e anche rispettoso. «Onore al merito!» sembrava gli dicesse. 

Sul pianerottolo egli fu trattenuto da Annetta che con improvvisa risoluzione gli era corsa dietro. 

— Qui, qui, — ella gli disse duramente, — ho da parlarle. 

Certo il suono della sua voce non rivelava che ella con quelle parole lo invitava a una notte d’amore ed egli comprese che fino ad allora ella non ne aveva avuto l’intenzione. Nella perfetta oscurità, immobile nel mezzo della stanza, non avendo neppure il coraggio di sedersi per la tema di far rumore, egli venne assalito dai piú strani pensieri. Gli si preparava un bel divertimento, le scene di una ragazza pentita; si propose di sopportare tutto con rassegnazione. Sapeva di meritate tutti i rimproveri che Annetta avesse potuto fargli. 

Invece ella venne a lui e i suoi occhi non portavano piú alcuna traccia delle lagrime sparse. S’era fermata alla porta con l’indice sulle labbra ascoltando se sul corridoio nulla si movesse, sorridente come un fanciullo che per gioco si nasconda a qualcuno, ed era bastato di vederla cosí per togliere ad Alfonso ogni timore. Aveva già compreso; un’altra volta in lei i sensi l’avevano vinta. 

Fu per lui un’amante compiacente e appassionata. Gli chiese perdono delle parole brusche che poco prima aveva pronunziate. 

— Senza dubbio le pensavo, ma riconosco di aver pensato scioccamente. 

Senza che si potesse indovinare l’ordine delle sue idee, ella diede una definizione della sua vita. La vita era quella che le dava lui quando la baciava; il resto non valeva niente. Poi egli pensò che espressamente ella aveva voluto rinunziare a tutto il resto per il suo bacio. La baciò per dimostrarsi grato, ma pensava ch’ella lo disprezzava troppo, credendo che per essersi data a lui perdesse il diritto ad ogni altra felicità. Annetta ripeté la sua dichiarazione parecchie volte durante la notte mutandone la forma: — Sposare quel ragionatore ch’è mio cugino Macario perché è ricco! 

Rise di questa pretesa che qualcuno pur doveva avere avuta. 

Se c’era, la felicità di Alfonso veniva diminuita da un timore. Quella donna che in una sola ora aveva mutato di sentimenti e di opinioni era forse impazzita? Egli si sentiva ragionatore come al solito, calmo, trascinato dai sensi per brevi tratti e poi sazio, e non sapeva figurarsi che in altrui la commozione durasse sempre ugualmente intensa. 

Una sola volta con rapidissimo passaggio ella ebbe un’espressione di tristezza anzi di disperazione come un’ora prima. Aveva nominato per caso una famiglia patrizia presso la quale i Maller erano stati ammessi da poco. Fu un solo istante, ed ella fece poi ogni sforzo per dimenticarlo e farlo dimenticare. 

La cortina rosea della finestra era divenuta visibile per il primo raggio mattutino e, per quanto fosse ancora poca la luce che giungeva dal di fuori, faceva impallidire quella della candela che avevano lasciata accesa. 

— Già! — esclamò Annetta stringendosi a lui. 

Egli ripeté ipocritamente la stessa parola. 

Dal piano superiore si udí il rumore del passo di un piede nudo. 

— Poveretta! — mormorò Annetta, — le procurai dei grandi dispiaceri. 

— È Francesca? — chiese Alfonso inquieto. 

— Sí! — disse Annetta sorridendo, — ma tutto è riparabile ancora. 

Lo abbracciò per fargli capire che l’opera buona ch’ella si proponeva di fare era dovuta a lui. 

Egli aveva il tempo di essere curioso e Annetta gli raccontò che Francesca era stata l’amante di Maller e che costui aveva manifestato l’intenzione di sposarla. — Io risi in volto a Francesca e mi opposi come seppi... naturalmente... mi pareva un’offesa alla memoria di mia madre. — Il padre aveva trovato il modo di non iscambiare alcuna parola su questo proposito con la figliuola. Solo allorché Annetta aveva consigliato Francesca di lasciare la loro casa, Maller esplicitamente si oppose. I rapporti fra padre e figlia furono freddi per qualche tempo e non si migliorarono che quando Francesca giurò ad Annetta che fra lei e Maller non esisteva piú alcun legame. Fino a quella notte Annetta ci aveva creduto. — Scommetto che m’ingannano, — pensò ad alta voce e molto tranquillamente. — Si capisce che per amore l’inganno non è inganno. 

Alle quattro della mattina ella si alzò per accompagnarlo fino alla porta di casa. 

Nell’atrio oscuro gli gettò ancora una volta le braccia al collo e gli disse che non si sarebbero riveduti finché non potevano farlo alla piena luce del sole. Ciò doveva avvenire al piú presto. Si mise a ridere e con franca sensualità aggiunse: 

— Avremo tanti giorni e tante notti da passare insieme. 

Egli stette fuori a seguire gli sforzi ch’ella faceva per girare la chiave nella toppa; poi udí lo strisciare lento, impacciato delle pantofole sulle scale. 

— Addio! — le gridò commosso. 

— Addio, addio! — rispose Annetta a mezza voce. 

Anche in quel saluto aveva messo quanto affetto le era stato possibile ed egli si figurò ch’ella gli avesse gettato dei baci con la mano. 

Si diresse verso casa con passo frettoloso quando si sentí chiamare. Si volse. Una figura bianca, dalla finestra della stanza di Annetta, gli faceva segni di saluto con una pezzuola bianca. Egli salutò agitando alto il cappello. Il gesto era trovato, ma a lui mancava la sensazione corrispondente. Al vedere Annetta alla finestra s’era ricordato che cosí si usava in amore. 

Poi volle sentirsi felice come la sua buona fortuna lo meritava e canticchiò un’arietta che non voleva riuscire allegra nelle vie vuote appena rischiarate da un sole invisibile nel cielo violaceo. Un malessere profondo lo fece tacere. Egli volle spiegarlo con i dubbî sull’avvenire della sua relazione con Annetta; da quella notte non ancora gli erano stati tolti. Ma Annetta era sua! Non era questo già molto, tanto che avrebbe dovuto sentirsi l’uomo piú felice sulla terra? Egli aveva lungamente desiderato Annetta, l’aveva amata. Erano il sonno e la stanchezza che gli toglievano di godere della sua felicità e, salendo l’erta che conduceva alla casa dei Lanucci, egli andava persuadendosi che la dimane egli si sarebbe risvegliato all’amore e che avrebbe anelato di rivedere Annetta. 

Si coricò e s’addormentò non appena poggiata la resta sul guanciale. 

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