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Capitolo IX.
Presso al ponte ai Susini, in quella Naniva che dai susini ha pur nome,1 cessate con la quinta luna le piogge tanto benefiche ai frutti di quelle piante, il primo giorno del sesto mese, sull’ora del vespro, una barchetta veniva a proda; e, di ritorno da una visita al tempio di Sicoman,2 usciva graziosamente da quella barchetta la celebre ballerina e cantante, la caritatevole ed amorosa Comaz Dai-due-pettini.
Ad una improvvisa folata d’aria, visto agitarsi a qualche distanza i vivaci colori d’un’ampia gonna, la bella Comaz, quasi farfalla che inseguisse i fiori sparsi dal vento, volando a sommo dell’argine, «Elà!» diceva, «sentite un poco, voi che ve ne andate di quel passo; non siete voi Ofana,3 di casa Fanazachi?»
Volgendosi questa, prima che l’altra avesse finito di parlare, «Guardate,» disse, «chi è che mi chiama! Comaz! E dove siete voi stata?»
«A Sicoman, per fare un poco di devozioni al tempio d’Aizen: ed ora, di ritorno, m’avviavo appunto a passare da casa vostra.»
Ofana diede in uno scoppio di risa: «Come! La gente dice che voi vi siete data il nome di Comaz, cioè di Piccolo pino, perchè quest’albero ha una gran forza di ritenere quel che produce;4 e voi, per giunta, andate a raccomandarvi ad Aizen: questa veramente si potrebbe chiamare incontentabilità. Ma, sia pur così. In questo momento io sono stata a Sonezaki per accompagnare una persona che era venuta a farmi visita, ed ora me ne ritornavo a casa: poco più che ci fossimo trovate discoste per via, non v’era caso d’incontrarsi. Ma voi, a proposito, avendo avuto bisogno d’una barca, perchè non avete mandato a dire a mio marito Tofei che venisse a prendervi con la sua?»
«Vi dirò: tutti quanti oggi andavano in lettiga. Io però, quand’ho sentito che faceva un caldo soffocante, ho pensato che fosse meglio prendere la via del fiume, per quanto più tortuosa: ma, v’assicuro, è stata un’idea che m’è venuta sul momento, e non avevo più tempo di mandare per la vostra barca.»
Così discorrendo entrarono nella casa di nome Fanazachi, e qui sentirono la voce di una fanciulla che, al secondo piano, si esercitava con molta grazia a cantare un’arietta di melodramma:
«Da voi divisa, o teneri
Miei genitor, lungh’anni,
Dopo i sofferti affanni
Or vi riveggo alfin.»
«Così fosse! quanta contentezza ne avrei!» disse Comaz, mettendo un lungo sospiro e non accorgendosi di parlare. Qui gli occhi suoi s’incontrarono, senza volere, con quelli di Ofana. «È vostra figlia Ojosci quella che canta quest’aria?»
«Sì, ho la fortuna di avere per nostro vicino il maestro Zuruzava. Mia figlia poi, sempre bambina com’è, anche a farla cantare in presenza di persone, non se ne fa un gran ritegno.»
Mentre parlava, le andarono gli occhi verso il fiume: «Vedete,» proseguì, «quella è la barca di Tofei, e pare che conduca seco diversi avventori. Venite dunque di sopra.» E facendole strada, salirono insieme al secondo piano.
- ↑ Nell’originale queste prime linee sono versi.
- ↑ Probabilmente è il nome del luogo, dove sorgeva un tempio ad Aizen, ovvero Aizen-miô, che, a quanto pare, è una divinità protettrice degli amanti.
- ↑ Ofana è alterazione del nome Fanajo. Così più sotto, Ojosci, invece di Cojosci.
- ↑ Ofana vuol forse dirle: «Voi incatenate i vostri adoratori con la stessa forza, con cui la pina ritiene i pinocchi.» Anche noi per ironia diciamo d’un avaro e spilorcio: Largo come una pina verde.