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Capitolo VI.
Venne il mattino. E quello essendo il terzo giorno del terzo mese,1 ricorreva appunto la festa dei pèschi. La piccola Cojosci, levatasi di buon’ora, e messe in fila sopra la cassa da panni della madre due bambole rimaste fra le cose non ancora vendute, senza un pensiero al mondo, e tutta contenta di trastullarsi, spezzava colle sue manine ramoscelli di pèsco, e li andava fissando parte in una scatola di cartapesta fatta in forma di cane, e parte dentro una guastadetta di collo rotto. Poi, non potendo altro per la gran povertà della casa, aperto un volume rosso intitolato «il babbo e la mamma di fana-zachi,» spiegava alle bambole i fatterelli che v’erano istoriati, storpiando di tanto in tanto qualche parola. Ma, per una esposizione da bambina di quell’età, non v’era di che riprenderla.
Tofei anche quel giorno, secondo il solito, dopo aver domandato notizie della salute alla madre, usciva a caricarsi di lettiga le spalle. Allora Misavo rivolgendosi alla sorella, «Sapete,» le disse, «che io da molto tempo vado ogni giorno in sacra visita alla Rotonda meridionale per implorare dal cielo che il mio buon padre, restituito negli antichi possedimenti, ricuperi il grado che prima aveva; e mi vi reco altresì a pregare che la povera mamma Cúcciva ottenga la grazia di risanare del suo mal d’occhi. Ma oggi, non so se sia effetto di questo freddo fuor di stagione, non mi sento niente a mio modo. Vorreste farmi il favore di andare per oggi in mia vece?»
Fanajo accennò di sì, ed aggiunse: «Allora dunque, mentre io vado, vedrete che la mamma si desterà: pensate a darle la sua medicina. Ma voi, copritevi bene, abbiatevi cura quanto potete, non aveste ad ammalare! E tu, Cojosci, fammi la donnetta; finchè io son fuori, farai buona guardia a casa, e in compenso ci sarà un bel regaletto; aspettami al ritorno, che te lo compro.»
E senz’altre parole si mise in via.
- ↑ Il terzo mese dei Giapponesi corrisponde approssimativamente alla seconda metà d’aprile e alla prima di maggio.