< Uomini e paraventi
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Ryūtei Tanehiko - Uomini e paraventi (1821)
Traduzione dal giapponese di Antelmo Severini (1872)
Capitolo XI
Capitolo X Capitolo XII

Capitolo XI.




Sul rialto del pavimento d’un salotto, con le spalle voltate verso Sachicci e senza aprir bocca, sedeva Comaz a qualche distanza dal giovane; che, fumando tabacco, e pensando al modo di appiccar discorso, finalmente disse: «Benchè, incominciando come un villano a parlarvi delle cose d’una volta, io possa supporre che voi pensiate ad impedirmi di continuare, mi piace tuttavia di ricordarvi quel tempo, quand’io, trattenendomi a visitare la provincia di Jamato, veniva ogni giorno alla Rotonda meridionale per sentirvi sonare l’arpa. Mentre, preso alle vostre attrattive, aspettava un’occasione propizia per aprirvi il mio animo, a un tratto nessuno più seppe dove voi foste andata, e corse voce che vi foste venduta. Non potendo mai immaginare che aveste preso stanza a Scima-no-ucci, a due passi, può dirsi, da casa mia, io non pensava quasi più ad ulteriori ricerche: quand’oggi per caso vi ho incontrata. Ma quanto non sarei sciocco, se io solo mi figurassi che ogni vincolo non sia spezzato fra noi? Tuttavia voglio sperare che, se io verrò qui di tempo in tempo, voi mi concederete di fugare la noja passando qualche momento in vostra compagnia, quand’anche ciò avesse ad essere con vostra avversione.»

Qui togliendosi di tasca un dieci monete d’oro, non senza farle sgarbatamente risonare, le avvolse in un foglio, e porgendole: «Potranno esservi utili a che che sia. — Avete forse difficoltà di prenderle, perchè troppe, come regalo in danaro? Ebbene, potranno giusto appunto servirvi per un vestito da estate.»

Comaz, senza neppur voltarsi a guardare, stringendo con moto convulsivo la sua pipa, ed appoggiandone la punta alla fronte, abbassò gli occhi e li tenne immobili al suolo.

«Questi tuoni, che si son venuti sentendo dalla prima sera in poi, vi hanno messa di mal’umore. Ma v’è un rimedio: perchè non vi degnate dire una mezza parola?»

Comaz respingendo bruscamente la mano che l’altro voleva porgerle, «Non è già che io mi senta di mal’umore,» disse; «ma con un uomo che si compiace tutto di non prendere impegni dovunque vada, con un signore che giudica merce da vendere e da comprare ballerine e cantanti, con uno scaltro che chiama re degli stolidi chi le crede sincere e fedeli, una Comaz non sa davvero quel che dire di buono.»

Sempre immobile, così parlava quasi a sè stessa, mentre il giovane di nuovo le si accostava dicendo: «Perchè poc’anzi avete sentito quel che ho detto in quella stazione di barcajuolo, vorrete sempre mostrarmi cotesto arco di schiena? Sia pure che a me non piaccia di prendere impegni: quando io vengo a cercarvi nella vostra abitazione, che altro vuol dire questo, se non che io veggo sempre in voi la giovinetta che si chiamava Misavo?»

«E per questo, in luogo di una manciatella di pochi soldi, come avreste potuto convenientemente offrire a quella Misavo che domandava l’elemosina, voi, persuaso che per farne ogni vostra voglia bastasse spander oro a larga mano, voi l’avete saziata d’insulti; e vi proponete di venire a trattenervi con lei, di tempo in tempo, quand’anche ciò fosse con sua avversione. Ma poichè cotesto nobile divisamento di concederle la vostra benevolenza, è cosa che deve avere effetto solamente di quando in quando, sarà molto meglio che non l’abbia mai. — E dire che io, tutt’altro supponendo in voi che una simile perfidia di cuore, oggi, proprio oggi, sono andata a fare per voi cento genuflessioni ad Aizen. Guardate qui questo foglio.»

E in così dire gli porgeva uno scritto vergato con bella agilità di mano.

Lo scritto diceva:

«Devote supplicazioni per sapere dove si trovi un giovane nato l’anno della costellazione del cinghiale.»

Risposta dell’oracolo:

«Chicci,1 trentesimosesto discendente. Felicità al termine

«Quale inganno!» esclamò Comaz, «che faceva io mai, scegliendo nel segreto del mio cuore a compagno di tutta la mia vita un tal uomo!»

«E se invece fossi anch’io sincero e fedele?»

«Oh, no no! Parole a fior di labbro per consolarmi. Avete dichiarato di volervene stare con me in tali termini che vi esimano da qualsiasi impegno per l’avvenire. Or bene, si tronchi subito ogni legame fra noi; e non insistete neppure a volere che io mi lasci guardare in viso da voi. — Anche quell’oracolo d’Aizen, esprimersi così oscuramente! Che parole eran quelle: Felicità al termine? Ma ora che il vostro cuore mi si è dato a conoscere, non me ne faccio più alcuna meraviglia, e so ben io quel che vogliono dire quelle parole.»

Mentre in preda alla sua collera Comaz metteva in brani lo scritto, un terribile schianto di tuono la fece balzare da terra: e per paura s’accostò involontariamente a Sachicci.

Così di nuovo incontratisi i loro sguardi, il giovane si fece a ripetere: «Se io fossi veramente sincero e fedele, allora voi che fareste?»

«Allora!... corpo ed anima sarei vostra.»

«E se io vi domandassi la vita, voi la dareste per me?»

«Sì!» fu la risposta, data più con un sospiro che con la voce.

E fin da quel punto si strinse fra loro un vincolo indissolubile.



  1. Chicci, ultima parte del nome Sachicci, è anche una parola giapponese che significa felicità. L’autore fa qui probabilmente un giuoco di parole, reso oscurissimo da quel trentesimosesto discendente, che non sappiamo se veramente debba esser tradotto così. Avvertiamo che le edizioni originali non vanno d’accordo.


Note

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