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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
VATT'A TTENÉ LE MANO
Marta, h Marta! — Ch’edè?1 — Mmarta. — Che vvòi? —
Porteme ggiù er tigame de la colla. —
Venite sù a ppijjavvelo2 da voi,
Ch’io sto ar foco a ssuffrigge la scipolla. —
Io nun posso lassà, cchè cciò una folla
De cose da finì. — Sse3 ffanno poi. —
Vedi, Marta? Eppoi dichi uno te bbolla!.4 —
Oh ccanta. — Marta, dico: ànimo, a nnoi. —
C’avete, padron Peppe,5 che strillate? —
Ôh, mmastro Checco:6 l’ho cco cquela strega
Che mme porti la colla. — Ebbè, aspettate.
Èccheve7 er callarello der padrone:
Tanto noi mó sserramo la bbottega. —
Grazzie, e cco bbona ristituzzione.
16 settembre 1835
- ↑ Cos’è?
- ↑ A pigliarselo.
- ↑ Si.
- ↑ E poi dici, e poi ti lamenti se uno ti segna.
- ↑ Giuseppe.
- ↑ Francesco.
- ↑ Eccovi.
Note
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