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CAPO TERZO
ANTICHITÀ CRISTIANE
Non senza grand’errore chi dell’erudite antichità si compiace, d’altre non suol andare in cerca, che delle gentilesche, senza punto curar le Cristiane. La santità della religione dovrebbe bastare a far goder di queste ancor più, alla rozezza del disegno, ben supplendo i documenti che se ne posson ritrarre, non meno per gli antichi instituti e riti, che per la sacra Istoria; poichè essendosi nella ristaurazion dell’arti, che singolarmente cominciò nel secolo del 1300, trasformate più cose, parte per volgari opinioni invalse, e parte per cercare attitudini graziose e gentili espressioni; negli antichi benchè deformi e sparuti avanzi tanto più verità trovar si suole, quanto men arte. Grata in oltre riesce ancor talvolta la diversità de i pensieri di quegli antichi artefici; lasciando l’uso universale, benchè regolato, che vi si riconosce delle sacre Immagini, e del culto della Madonna e de’ Santi, e lasciando l’impararsi dall’uniformità nel rappresentare che si osserva per tanti secoli, e in così diversi paesi, come non erano questi lavori rimessi all’arbitrio degli artefici, ma diretti da i sacri Pastori, onde vien ad apparirne l’unità dello spirito nella Chiesa. Venendo al fatto presente, delle Romane anticaglie di Verona parlano cento libri, e bene o male si rappresentano in cento stampe: delle Cristiane, benchè questa città non ne sia forse men ricca, non c’è chi abbia fatto parola, nè chi si sia pensato mai di publicarne veruna: tanto più però anderemo con diligenza additando quelle che meritano esser più dell’altre osservate. Chi avesse curiosità di vedere come fossero lavorate le mura, quali ampliando la città fece inalzar Teodorico primo Re d’Italia, camminando lungo l’Adigetto, ne troverà tratti grandi in più luoghi, ed altri presso il Monastero di S. Maria in Organo, come abbiam nell’Istoria distintamente indicato.
S. Nazario.
Facendo principio dal lato orientale della città, antichissima si fa conoscere una reliquia di Chiesa de’ SS. Nazario e Celso; non già presso la presente, ma incavata tutta con gli scarpelli nella gialliccia e non dura pietra, o sia tufo del colle, sopra il quale hanno i Padri benedettini non so se orto o tenuta. Si può veder quivi, salendo pochi passi, una stanza quadrata, tutta lavorata nel masso, con soffitto spianato; indi entrando, quasi in piccola grotta, conservato ancora si riconoscerà il piccolo Presbiterio, vedendosi la linea di pietra in terra; e nel tufo, che fa parete, l’incavo del cancello che lo serrava. In faccia è una nicchia, e laterali due ricetti, l’uno de’ quali però è stato distrutto. Dal Presbiterio in giù si dilata, e si prolungava ancor più, ma ne fu buona parte tagliata per far luogo a fabriche. Leggesi negli Atti de’ SS. Fermo e Rustico, come in tempo di quella persecuzione S. Procolo nostro Vescovo stava con pochi Cristiani nascosto in luogo solitario, poco lontano dalle mura della città. Congettura molto ragionevole può far creder questa spelonca, che allora era fuori, e che dovea restar coperta da bosco, il suo nascondiglio. Anche l’averla fatta servir di Chiesa, verisimil cosa è, incominciasse prima che la fede fosse trionfante, e il Cristiano culto permesso.
Ogni parete si vede pitturata, smaltato prima a tal fine il tufo per ragguagliarlo. La maniera è roza, e sotto la prima stabilitura altra anteriore se ne scuopre in alcuni luoghi, ch’era dipinta parimente, ma peggio ancora, vedendosi faccia col fondo di bianco di calcina tratteggiato a tocchi, e quasi a macchie. La parte di sopra, che vien discendendo e quasi secondando il monte, è occupata da una figura del Salvatore, sedente sopra un trono con la mano in benedizione, e con suppedaneo: di qua e di là son due piccoli tondi con entro figura umana, che secondo l’uso antico rappresentano il sole e la luna. In fronte della piccola tribuna; o sia nicchia, si vede S. Michele in piedi con due grand’ali, e pallio e tunica, e con la diadema o sia nimbo in capo, sottile e dritto baston nella destra, e grossa palla su la sinistra: vi è scritto S̅C̑S̅ MICHΛЄL. Qualch’altro nome o parola si vede presso le figure sempre col punto alto, e a mezo della lettera, secondo l’uso delle lapide antiche. Sopra la nicchia è dipinta una città, che dee intendersi per Gerusalemme: dalle parti Angelo e Vergine Annunziata in piedi. Sotto S. Nazario e S. Celso con nimbo, e laureola nell’una, e corona nell’altra mano. Nelle pareti i dodici Apostoli, sei per parte, senza simboli: il primo a dritta è S. Pietro col nome sotto. Nell’incavatura o ricetto, che sussiste a dritta, si vede in alto una gran mano, per la quale uso era di figurar Dio Padre, che non si rappresentava in figura d’uomo, e nel muro il battesimo del Salvatore: Angelo tien lo sciugatoio; due piccole figure d’uomini sedenti versano acqua da’ vasi nel fiume. In giù dove la Chiesa da una parte s’allarga, par sia figurato il monte Horeb, donde Mosè fece scaturir l’acqua, e uomini che la guardino con maraviglia, e vadano a prenderne; ma poco si distingue. Il pavimento era a musaico, e ne rimane gran parte, ma senza cosa notabile. Tutte le figure hanno sandali in piedi: gli Angeli son del tutto vestiti; così si fecero fin nel 1400, e così fecegli anche Giovan Bellini. Sovvienmi che dice Pausania nel libro nono, come così eransi fatte dagli antichi Gentili le Grazie, quali gli artefici avean poi preso a far nude.
Nel partire diasi un’occhiata al masso del colle, dove si posson nel tufo osservar con piacere folte macchie, e suoli interi di cappe varie, e d’altri testacei. Salendo sopra alla punta che riguarda la collina di S. Pietro, si troverà un bel punto di veduta.
S. Giovanni in valle.
Procedendo sempre per diritta via verso sera, troverà il forastiero l’antica Chiesa di S. Giovanni in valle. Nel sotterraneo di essa son due arche, o casse sepolcrali di marmo Greco, chiamate sarcofagi da gli antichi, molto hen conservate, e niente inferiori alle più belle, che nella Roma Sotterranea si veggano effigiate. Servirono per Cristiani di gran condizione e di tempo ancora Romano, o poco inferiore; ma il non esserci scolpita parola alcuna ci toglie la notizia de’ nomi loro. In fronte alla più grande, ch’è istoriata tutta, e che abbiam poc’anzi premessa (V. Tav. II, n. 1), sta nel mezo il Salvatore con volume spiegato in mano sopra un monte, da cui sgorgano quattro capi d’acqua, che figurano i quattro fiumi del Paradiso terrestre. A man dritta è S. Pietro indicato dal gallo, eli’è dietro lui sopra una colonna: a sinistra è S. Paolo con Croce in mano appoggiata su la spalla. Si rappresenta poi da una parte il fatto della Samaritana, indi un de’ miracoli del Salvatore, forse del fanciullo indemoniato; poichè se bene anche gli uomini risanati si sogliono veder di piccola statura in così fatti bassi rilevi, la clamide, ch’era abito puerile, mostra come questo era veramente fanciullo. Dall’altra parte è la risanata dai flusso di sangue, indi Giuda che dà il bacio al Salvatore. Tutte le figure hanno pallio e sandali. Dietro son colonne e ornamenti d’architettura. Le storie sono espresse senza divisione alcuna fra loro secondo l’uso antico, di che abbiam l’esempio nella colonna Traiana e nell’Antonina. Su i fianchi è da una parte Adamo ed Eva col Serpe, dall’altra uomo sedente, e due che paiono portargli doni; sarà Giuseppe co’ fratelli.
Ma in fronte sopra la descritta è un’altra fascia metà più bassa, parimente figurata. Nel mezo è quadro liscio, dentro il quale Croce dorata: dalle parti son due uomini nudi ed alati, che mostrali tenerlo; e simili a’ quali non ini sovviene avere osservato in altre anticaglie Cristiane: parrebbe potersene arguire che venga dall’antico il parlar Rabbinico, secondo il quale si nominan dagli Ebrei gli Angeli della morte. Il nostro artefice per altro è credibile prendesse tali figure da i monumenti de’ Gentili, ne’ quali veggonsi sovente simili figure alate con face travolta. Le storie poi son del Testamento vecchio; come l’altre del nuovo. Da una parte è Daniele nel lago de’ Leoni, indi uomo e cane, che può credersi quel di Tobia dinanzi a casa, o portico: le storie qui si separano per un albero. Di là è Mosè che riceve dall’alto le tavole della Legge: indi ara con foco acceso, e innanzi a un edilizio Serpe che s’alza col capo fin sopra della fiamma, e uomo di qua che gli porge qualche cosa alla bocca. Non so che simil cosa si sia osservata, se non unicamente in un pilo di Roma, dato dall’Arringhi, dove però il Serpente è avviticchiato a un albero. Disse l’Arringhi di esso, non saper pensare che si rappresenti, e volervi Apollo a penetrarlo (Rom. subt. t. 1, p. 288). Per verità a primo aspetto si crederebbe cosa di Gentili, quasi un Genio in forma di Serpe venisse ad assaggiar le oblazioni all’ara, come descrisse Virgilio (Æn. l. 4: libavitque dapes), e si vede in una Medaglia di Nerone: ma io ho per certo rappresentarsi qui il fatto di Daniele (XIV, 26: et dedit in os draconis), quando per far morire il Serpente adorato da quei di Babilonia, gli diede in bocca certa pasta da lui composta. L’ara accesa indica il culto a quella bestia, e l’esser tenuta per Deità; in quel di Roma disse l’Arringhi, parer che l’uomo le porga cinque pani, perchè secondo il parlar del testo furon più masse. Il vedersi così di rado ne’ monumenti antichi la rappresentazione di questo fatto, nasce dall’aver gli Ebrei computato bensì Daniele tra’ Scrittori sacri, ma non tra’ Profeti, come Cassiodoro avverte nelle Divine Lezioni; e ancor più dal non aver avuto i testi Ebraici di Daniele l’istoria di questo Serpente, sopra di che veggasi S. Girolamo nella Prefazione.
Sopra questo monumento è stata posta un’altra pietra con le figure di due corpi, che hanno nimbo dietro il capo, abito monastico e libro sotto le mani. Vi fu forse posta quando nella fine del decimoquarlo secolo popolar grido nacque di conservarsi qui le reliquie di due Apostoli; non fu per altro scolpita con tale intento la pietra, perchè mostra un vecchio con barba, un giovane senza, e nel fondo un fanciullo.
L’altro pilo per la maniera alquanto migliore, e men lontana da quella de’ buoni antichi, si fa credere anterior di tempo (V. Tav. II, n. 2). Ha nel mezo un tondo quasi in figura di conchiglia, e dentro esso due busti; a dritta d’uomo con volume in mano, e con toga in quel modo sinuata , che suol prendersi erroneamente per lato clavo; a sinistra di donna, che sarà la moglie. Sotto si veggon pecore con due Pastori, il che anche in altre antichità Cristiane figurasi: l’uno di essi è disegnato assai bene, e ritien la grazia delle attitudini antiche. Dalle parti son canalature ondeggiate, e su l’estremità S. Pietro e S. Paolo palliati Con le mani accostate al petto l’uno tien le chiavi, l’altro la spada: son di ferro, e non è certo che sieno antiche quanto il marmo; ma s’anche fossero state rinovate, il modo con cui lo Scultore fece, e situò all’uno ed all’altro la man dritta, mostra che fin dalla prima costruttura l’abbian tenute. I simboli nelle immagini degli Apostoli non sogliono veramente vedersi se non di tempo assai basso, ma le chiavi a S. Pietro in segno d’autorità si veggono fino in un mosaico del quinto secolo presso Ciampini; e il Salvatore che gliele consegna, si vede in arca non dissimil da questa presso il Bosio e l’Arringhi.
Sovvienmi d’una lucerna antica di metallo, osservata da me più volte nella Galleria del gran Duca, e lavorata quando l’arti erano ancora in ragionevol grado: è in forma di barca, con S. Paolo in atto di predicar dalla prora, e S. Pietro che siede in poppa, e sia reggendo il timone. Quel monumento parla più d’un libro.
S. Pietro in Castello.
Questa Chiesa lu detta da Liutprando di prezioso lavoro (l. 2, c. 11: pretiosi operis). La nomina nella sua Storia, per essere in essa stato preso da’ soldati di Berengario l’Imperador Lodovico terzo, come si è detto innanzi. I guastamenti fattivi non lasciano più riconoscere nè l’antichità del Tempio, nè la preziosità del lavoro da Liutprando commendata. Delle navate la meridionale è larga quindici piedi e mezo, la settentrionale cresce di dieciotto. Osservasi tale inegualità in più Chiese antiche, di che veggasi Monsignor Ciampini (cap. 2), ove tratta de’ Mosaici antichi. Dice Amalario (l. 3, c. 2) che nella parte settentrionale stavan le donne, e conferma l’Ordine Romano, che stessero gli uomini nella meridionale, onde parrebbe assegnato alle donne spazio maggiore; ma forse non in ogni paese era l’uso istesso, perchè in altre si trova all’incontro più larga la meridionale. Osservinsi in questa Chiesa due rare iscrizioni sopra lastre di marmo Greco, poste già alle sepolture di due santi Vescovi, e veggasi quanto se n’è detto nell’Istoria. Le cassette di marmo, ch’or vi son sopra, fur poste modernamente. Non ha gran tempo, che sopra un’arca antica di pietra fuor della Chiesa fu scritto giacervi sepolto il Re Berengario: chi vorrà crederlo, farà con piacere un’osservazion di più. Quell’Imperatore fu ucciso in Verona, ma non si ricava da Liutprando il luogo nè della morte, nè del sepolcro.
Ben dice (c. 20) che una pietra posta avanti alla porta di certa Chiesa ritenea le macchie del suo sangue, onde scrisse poscia il Sigonio, come non potè tal sasso lavarsi mai; ma convien dire sia poi riuscito di trovare miglior acqua, mentre a dì nostri tal maraviglia più non si vede. In questa Chiesa fu coronato il sommo Pontefice Urbano III novamente eletto, il che si ha nel Cronico di Radolfo, e in questa egli cantò messa l’anno 1186 a 14 d’Aprile, come da membrana veduta nel suo Archivio dal Panvinio (Ant. Ver. p. 186). Fuori nel canto è osservabile una pietra usata nella muraglia, in cui si ha iscrizione del 1239, per memoria della venuta a Verona dell’Imperador Federico.
Santo Stefano.
Questa Chiesa era in essere fin nel quinto secolo, benchè in altra forma, avendola fatta atterrare il Re Teodorico, come nell’Istoria si è ragionato. Grand’argomenti ci sono per credere che fosse un tempo la Cattedrale. Preziosa e molto vecchia lapida è in essa, da cui s’impara quanti de’ nostri antichi e santi Vescovi fossero qui sepolti, e quante altre reliquie riposte. Son da vedere nel sotterraneo alquante colonne di marmi stranieri, con capitelli di pietra nostrale variamente e barbaramente lavorati, e alcune arche grandissime, quali serviron prima per Gentili, come qualche avanzo d’iscrizione manifesta, e saranno poi state adoprate per li nostri Santi.
Sopra tutto è degna d’osservazione la gran cattedra roza e schietta di pietra, che quivi si conserva ancora, e sopra la quale avranno seduto i nostri antichi Pastori. Con singolar cura e venerazione conservavano già i Cristiani le sedi de’ lor primi Vescovi, sopra di che veggasi il Senator Bonarroti nelle Osservazioni a’ Vetri Cimiteriali (p. 101). Nelle pietre della facciata furono scolpite quantità di memorie per lo più del secolo del 1200.
Il Duomo.
Dall’antica passando alla Cattedral moderna, è da osservar prima la porta grande del nostro marmo rosso, innanzi alla quale alquanto di sito è coperto: tal uso sottentrò ne’ secoli inferiori a gli antichi vestiboli e portici che innanzi le Basiliche si faceano, principalmente per li publici penitenti, quali stavan fuori assai tempo prima che venissero ammessi. Non era forse differente cosa quell’Arco altissimo sopra due colonne, che per testimonio di Procopio (lib. 1, c. 4 ) vedeasi fuor del tempio de’ SS. Sergio e Bacco; nè l’Arco del vestibolo d’altra Chiesa, di cui parla Leone Ostiese (l. 3, c. 27). Li due Grifi alati, sopra quali posan le colonne che sostentano lo sporto, vengono da costume antichissimo preso fin dagli Egizj; i quali Leoni, Sfingi ed altri animali e mostri figuravano avanti le porte de i Tempj, quasi a custodia, per testimonio di Strabone, di Plutarco e di Clemente Alessandrino. Bizarre son le figure lavorate a basso rilevo in dura pietra da i lati, perchè le più grandi rappresentano due Paladini di Carlo magno; Orlando, che si riconosce dal nome scolpito della sua spada (Durindarda, non Durlindana), e Oliviero, che suole accompagnarsi con lui (V. Tav. II, n. 3). Questi in vece di spada tiene una mazza ferrata con catena, in fondo alla quale non è veramente un pomo granato, com’altri ha scritto, ma palla di ferro piena di punte, da che impariamo la forma di quest’arme: quegli ha scudo cuneato, ed è vestito di maglia, della quale è coperta anche la sinistra gamba, ma non la dritta. Mirabil cosa è, come la stessissima armatura descriva Livio (lib. 9) negli antichi Sanniti: scudo acuto in fondo, spugna per difendere il corpo, e armata di gambiera la gamba sinistra (sinistrum crus ocrea tectum)1. Col nome di spongia usato quivi dall’Istorico, e non ancora spiegato, nè registrato in questo senso, ho per certo, non altro significarsi che maglia per la similitudine di spugna, che i cerchielli concatenati vengono a rappresentare: l’osservar questo marmo me n’ha risvegliata la congettura. Le figure d’Orlando e d’Oliviero dovean essere anche alla Chiesa di Sant’Apostolo in Firenze, per lo che fu poi chi credette essere stata consecrata dall’Arcivescovo Turpino con la presenza di que’ due Paladini, come si legge nel Vasari (Proem. p. 78).
Varj pezzi d’antiche pietre furon usate in questa fabrica, e di porfido e di granito. Sotta l’altare nella Capella della Madonna è un’arca sepolcrale con iscrizion Romana, fattone poscia uso per un de’ nostri Vescovi, cioè per l’ossa di S. Teodoro. Fra le memorie che in questo Tempio si conservano, veggasi prima l’insigne e lunga Iscrizione, scolpita nell’846, di Pacifico nostro Arcidiacono, publicata da noi nelle premesse alle Complessioni di Cassiodorio. Veggansi poi quelle de’ Vescovi, Notkerio del 928, e Bonincontro sepolto in terra presso la porta grande nel 1298.
In questa Chiesa fu tenuto un Concilio nel 1185, con intervento del sommo Pontefice Lucio ILI e dell’Imperador Federigo I. Morì poi il Papa, e fu sepolto in area di pietra a canto l’altar maggiore; ma riuscendo questa d’impedimento,’ quando a tempo del Vescovo Giberti si fabricò in più nobil forma il Coro e la Tribuna, fu levata, e in vece di collocarla altrove cospicuamente, fu cacciata sotto terra dinanzi all’altare, figurate sopra del pavimento le chiavi Pontificie, con l’iscrizione che fedelmente fu stampata nelle Antichità Veronesi del Panvinio (p. 184)- Ma quella ch’era su l’arca, e che variamente è stata publicata, e nella quale credette il Pagi (ad an. 1185, n. 12) non trovarsi altro che i due Distici, fu ricopiata con tutta diligenza da Agostino Caprini notaio l’istesso giorno che fu sotterrata; riportandola sopra un codice, che si conserva presso il sig. Canonico Bianchini, e notandovi appresso, come il nome del mese e alcuni numeri non gli avea potuti rilevare per esser corrosi: ma appare dalla tabella degli anniversarj del Duomo, come quel di Lucio III cade a 20 di Novembre.
Ob. Sctimns Pater DD. Lucius PP. III. MCLX... V ... Kalendas....
Luca dedit lucem tibi Luci. Pontificatum
Ostia, Papatum Roma, Verona mori.
Immo Verona dedit lucis tibi gaudia, Roma
Exilium, curas Ostia, Luca mori.
Ha in oltre questa Chiesa il pregio d’essere stata a 13 Settembre del 1187 dedicata personalmente dal sommo Pontefice Urbano III, che a Verona, e probabilmente in essa fu eletto.
Uscendo per la porticella ch’è verso l’Altar grande, si trova un avanzo della Chiesa anteriore aila presente Basilica, che avea il pavimento assai più basso, e se ne veggono ancora alquante piccole colonne. Di questa è da credere intendessero l’Anonimo ritmico, e l’autor dell’epitaffio di Pacifico, quando nominan la Chiesa della Madre di Dio, onde fu poi detto il Duomo Santa Maria matricolare. Uscendo a dritta su la strada, osservisi sopra la piccola porta un antico Ambone di marmo Greco. Così chiamavasi con Greca voce il pulpito (da ἀναβαίνω) che stava a canto l’altare per salirvi il Diacono a legger l’Evangelio e l’Epistola. Vi è scolpita a grosso rilevo la Vergine annunziata dall’Angelo: è senza nimbo, ed in piedi secondo l’antica verità, non essendo stato uso Ebraico d’inginocchiarsi.
Quinci passeremo nella Chiesa adiacente di S. Giovanni in fonte per osservar nel mezo il Battisterio antico: cioè sopra due gradini un recipiente ottangolo di marmo nostrale in circonferenza di piedi 28, che son palmi Romani architettonici 42, tutto d’un pezzo: in mezo ad esso è altro piccol recipiente a quattro nicchi rotondi. Le otto facce son lavorate a rilevo molto operosamente, e di non disprezzabil maniera. Su gli angoli tramezano separando colonne canalate, ma sempre variamente, con linee e figure diverse: i capitelli e le mensole che giran sopra dintorno danno qualche saggio d’architettura, e son pur tutte d’opera diversa. Il primo quadro ha la Vergine annunziata in piedi, levata da sedere col lavoro in mano e nimbo alla testa lavorato: l’Angelo ha giglio in mano e nimbo liscio: donne a due portiere in alto di maraviglia. Il secondo quadro ha la Visitazione, indi la Natività; culla e animali con S. Giuseppe a sedere; Vergine a letto, e bambino che vien lavato; il qual modo di rappresentar la nascita del Signore in più monumenti si vede, e venne da libri apocrifi, come tocca S. Girolamo contra Elvidio. Nel terzo l’Angelo dà l’avviso a Pastori, un de’ quali tien flauto doppio. Il quarto mostra la venuta de’ Magi, tutti e tre senza corona, non avendo preso piede l’opinione che fossero Re. In moneta Greca attribuita dal Cangio a Giovanni Zimisca, che morì nel 975 hanno berette Frigie in capo: i nostri le hanno tonde, e son vestiti più alla Romana o Italiana de’ mezani secoli, che all’Asiatica. Nel quinto Erode in trono dà l’ordine a’ soldati d’uccidere i bambini: un di essi lui la spada appesa dinanzi, come in monumenti Romani si osserva. Nel sesto è la strage con be’ pensieri rappresentata. Nel penultimo l’Angelo avvisa Giuseppe, e si vede il viaggio in Egitto: S. Giuseppe ha il bambin su le spalle, che tiene un volume. L’ultimo finalmente mostra il battesimo del Salvatore con due Angeli, e l’acqua sollevata al solito fino a meza vita, poichè mancaron di prospettiva gli Antichi; come si vede qui anche nel terzo spartimento, che ha le pecore una sopra l’altra. Questa Cristiana antichità è veramente delle nobili che si possali vedere. Notabil cosa è, come i battisteri antichi d’ordinario ci appariscano ottangolati, talchè anche gli Oratorj isolati, dentro quali presso le Chiese maggiori s’includeano, ove rimangono, osservansi per lo più di tal figura: così veggiamo in Roma essere stato il battisterio Lateranese: così a Ravenna, ottagono è il vaso, benchè non figurato, ed ottangono il ricetto con la cupola a mosaico: così in Firenze dcll’istessa forma è la Chiesa di S. Giovanni pur presso al Duomo, che serve di battisterio ancora. Ricordano, seguendo il volgar grido, disse che fu prima Tempio di Marte: ma i terrazzini in alto con le scale incavate nella muraglia si conoscon fatte nella prima costruzione, e mostrano uso Cristiano; e nel pavimento in mezo, dove manca il Mosaico, si conosce che vi fu già la piscina (come parla Sidonio Apollinare) pur in otto facce. Versi inseriti nella raccolta del Grutero (1166, 8), e attribuiti a Sant’Ambrogio, mostrano come da’ Cristiani de’ primi secoli tal modo venne, poichè il componitor di essi ottagono chiamò il sacro Fonte, e ottacoro il Tempio che lo conteneva. In Aquileia però, dove alto e spazioso edifizio è per tal uso dietro il Duomo, il recipiente, che ha tre gradini dentro, e nel fondo un buco, è in sei facce, e sei gran colonne isolate ha d’intorno, sopra le quali grandissima tavola di pietra che lo cuopre. Così a sei angoli ho veduto parimente l’antico battisterio in Parenzo. Del nostro S. Giovanni in fonte non è conservata l’antica forma.
Presso al chiostro canonicale è la Chiesa di Sant’Elena, ove dimora una Collegiata di Sacerdoti. Il suo titolo era di S. Giorgio, e sotto questo titolo fu nominata nell’epitaffio di Pacifico. Lunga iscrizione si vede in essa del 1140, quando per essere il suo altare stato profanato, fu riconsecrata da Peregrino Patriarca d’Aquileia in tempo del Vescovo Teobaldo. Altra lapida vi è con memoria di molte reliquie. Ma il curioso degli antichi lavori non lasci di farsi condurre nel sotterraneo, dove ora si fa cantina, poichè vi troverà nobilissimo pavimento a mosaico di bel disegno, variato secondo i siti: da una parte son queste parole in tabella quadrata: MARINUS COL. CVM SVIS P. X; dall’altra in un bel rotondo: HIMERIA CVM SVIS P. CXX. Se ne può dedurre quanto nobile fosse già questa Chiesa, mentre Marino co’ suoi di casa ne avea per divozione fatto lastricar dieci piedi, ed Imeria non meno di cento venti; che non intendo però in lunghezza, com’altri ha credulo, ma in quadratura. Simil lavoro e somiglianti iscrizioni si veggon ne’ pavimenti di più Chiese nell’Istria, e così nel Duomo di Grado, dove ancora otto grandi e bellissime colonne di bianco e nero antico sono impiegale.
Santo Zenone.
Nè di questa famosa Badia, mentovata singolarmente da Dante nel suo Poema, e che passò in Commenda solamento al principio del decimoquinto secolo, nè della Basilica per più capi famosa, sappiam con sicurezza il tempo della fondazione o della fabrica, non essendo ad antico e sincero monumento appoggiata la volgar voce che l’attribuisce a Longobardi o a Pipino. L’Anonimo Pipiniano Chiesa veruna di S. Zenone non nomina; ma ben tra le Chiese o fondate da Pacifico, o rinovate, la Zenoniana si annovera prima di tutte nella sua lapida; onde parrebbe potersi sospettare che della presente a lui si dovesse attribuir l’erezione.
Nel secol decimo la fabrica nera imperfetta ancora, perchè scrive il Vescovo Raterio nel libro Apologetico, come l’Imperadore partendo di qua, gli lasciò del denaro, perchè dovesse terminar la Basilica di Santo Zenone (ex quo perficere deberem Basil. S. Zen.). Nel 1045 l’Abate Alberigo feecominciare il campanile, qual fu poi proseguito, e nel 1178 alzato e perfezionato, essendo la Chiesa quarant’anni innanzi stata rinovata anch’essa e ingrandita: tanto si ha in due Iscrizioni, l’una incastrata nel basso del campanile, l’altra nel muro della Chiesa, che resta ora coperta dal ricetto fatto alla Coppa. Queste notizie necessario era di premettere, per isgombrar molti errori, e perchè si godano con profitto le cose più osservabili di questo Tempio, addottrinando l’occhio a non precipitare il giudizio del tempo in altri edifizj.
Tira a se gli occhi la parte inferiore della facciala, che è compartita in quadri di lucido marmo istoriati, e con varj adornamenti d’architettura distinti. Il disegno è foltissimo. Sei a man sinistra rappresentano la creazione e la cacciata dal Paradiso terrestre: ne’ due più bassi vedesi uomo a cavallo che va a caccia con clamide e staffe, quali non mi sovviene aver osservate in monumento più antico. Fu interpretato con versi sotto, che sia Teodorico, e si sia voluto alludere a opinion volgare che gli spiriti infernali gli somministrassero cavalli e cani. Dall’altra parte in otto compartimenti è la Storia di Gesù Cristo. La Vergine annunziata a sedere; il presepio co’ due animali; S. Giuseppe di meza età, non vecchio com’or lo fanno i pittori. Pastore con pedo ritorto nella cima; Erode sopra scanno fatto a modo delle sedi curuli de i Romani, i cui piè dinanzi allungati vengono a servire di suppedaneo; i Magi a parlamento seco, con corona in testa, e così ove vanno ad adorare il bambino; due sono con barba e uno senza. Nella cattura del Salvatore, Pietro, che taglia l’orecchio a Malco, ha una chiave pendente dal braccio. La Crocifissione con quattro chiodi, e con suppedaneo, e senza corona di spine. In fondo si veggon due abbattimenti, uno a cavallo con aste o lance, altro a piedi. Fuori da un lato è donna in piedi col nome sopra MATALIANA, forse persona illustre che concorse alla spesa. Sopra ogni quadro è la spiegazione, a sinistra co’ nomi, a dritta con esametro leonino, cioè rimato.
Sotto l’Arco che copre innanzi la porta, e le colonne del quale posano sopra due Leoni, è un basso rilevo che figura i Legati di quel Principe venuti a cercar di Zenone; indi in piccoli ripartimenti altri fatti e miracoli secondo le volgali tradizioni e leggende, come quello del non potersi cuocere il pesce rubato, che si racconta nella vita novamente publicata a piè dell’Istoria de Diplomi. Nel piè di questo sporto sono i dodici mesi bizarramentc figurati. Marzo è il primo. Maggio, per dinotar l’allegria della Primavera, si rappresenta per uomo coronato che dà fiato a due istrumenti, come spesso s’incontra nelle antichità Romane, e chiamasi in Apuleio (Flor I) animar due tibie con un fiato: qui però paiono più tosto due corni. Alla sommità di quest’arco si vede una gran mano in atto di benedizion Latina, come vien chiamata, quando le due ultime dita son ripiegate. Si continuò gran tempo a figurar Dio Padre non altramente che in questo modo, e non già in figura d’uomo (come si facea Cristo) se non per necessità d’istoriare ne’ fatti del Testamento vecchio: la licenza degli artefici, che guastò l’antico istituto, a molte improprietà ha poi dato luogo.
Non si lasci d’osservar le imposte di legno, ma coperte di pezzi di bronzo figurati; la maniera n’è affatto barbara, mostrandosi con fantocci strani storie del vecchio e nuovo Testamento in molti quadretti e anche miracoli di S. Zenone. Alla crocifissione si veggono di parte e d’altra il Sole e la Luna, per dinotar l’oscurazione che patirono, e sono in figura d’uomo e di donna, continuando gli artefici ancora l’uso antico preso da Gentili. D’assai miglior maniera Bonanno da Pisa lavorò nel 1186 le imposte di bronzo figurate al Tempio di Monreale presso Palermo. Subito dentro a man dritta vedesi gran vaso di pietra ottangolato, che servì già per uso de’ battesimi, col piccol recipiente in mezo a tre nicchie. Passando per piccol uscio si entra ove da pochi anni in qua con buona mente, ma con pessimo gusto, levata dal suo antico sito, ch’era un punto d’erudizione, è stata in angusta stanza rinserrata una bellissima vasca di porfido detta da noi la Coppa, attaccando alla Basilica le nuove muraglie. Pochi pezzi di porfido si veggono d’ugual grandezza, crescendo questo rotondo e grosso e ben incavato vaso d’otto piedi Veronesi di diametro. Il piedestallo è pure un altro gran pezzo di porfido. Lasciando le favole popolari, già che ogni paese ha le sue, questa gran conca stava lateralmente nella piazza ch’è innanzi la Basilica secondo l’uso antico2. Di tal uso scuopresi nell’Esodo (XXX, 18) la prima origine, dove comanda il Signore di collocare avanti il tabernacolo un gran vaso di bronzo, perchè si lavassero mani e piedi i Sacerdoti prima d’entrarvi. Così Salomone fece per uso del Tempio vasca rotonda, che per ampiezza si disse mare: Cassiodorio (ad VII, 4), esponendo la Cantica, scrive che le pose nel portico, perchè i Sacerdoti mondassero i corpi prima d’entrar dentro a sagrificare. Ma la prima e più antica descrizione che di Cristiano tempio si abbia, cioè quella del sontuoso di Tiro, che troviamo in Eusebio (l. 10, c. 4), ci mostra come dentro il primo recinto ed innanzi alla Chiesa, perchè altri non entrasse dentro senza nettarsi, era un portico quadrato con abbondanti fontane. S. Paolino (Ep. 32) delle conche poste avanti delle Basiliche fa menzion più volte, e parla in un’epistola di quella ch’era nell’atrio della sua di Nola, dove fece metter versi che indicavano, come serviva per lavar le mani di chi entrava. Continuò assai tempo l’uso di lavarsi leggermente le mani e ’l volto; però nell’orlo superiore d’un tal vaso espresso nel Grutero (1047, 9) erano queste parole in Greco: non lavar la faccia solamente, ma i peccati ancora. Succedettero però le pile dell’acqua benedetta, che riteniamo ancora, e possiamo imparar dalla nostra, quanto alle Basiliche si ponesser grandi e magnifiche, e come da principio si ponesser fuori nel sito dell’acque per lavarsi, in cui luogo sottentravano.
Osservisi l’interna forma della Chiesa col pavimento basso, e gradini per li quali entrando si scende, e dalla parte di là si sale «al luogo che dovea servir tutto di presbiterio. Singolare è la forma de’ pilastri e delle colonne, per le quali si distinguono le tre navate; le muraglie non ebbero intonicatura alcuna; le fenestre giravano intorno quasi in forma di balaustrata, ma con dar poco lume secondo l’uso antico, onde fu fatta posteriormente la rotonda fenestra sopra la porta. Non vi era che un altar solo, come nelle Chiese tutte avanti il secolo decimoterzo. La mensa dell’altare è d’un pezzo di marmo nostrale lungo piedi 13, largo 6: il tabernacolo è adorno di rare pietre. A man destra è sepolto in cassa di marmo il Cardinale Adelardo nostro famoso Vescovo, morto intorno al 1210. Conservasi da questa Chiesa una Croce Stazionale, com’altra n’è al Crocifisso ed altra a Sant’Anastasia. Così chiamavansi quelle ch’erano più grandi e più sontuose e ornate dell’altre, e si portavano in processione e per le stazioni. Calando per nobili scale nel sotterraneo, sostenuto da colonne, si vedrà la grand’Arca di marmo in cui son le reliquie del nostro Santo. Carta originale dell’anno 876 fa menzione del suo corpo, che in questo Monasterio sepolto riposa.
Entrando nel prossimo chiostro si vede a destra il sepolcro d’Ubertino Scaligero Prior del Monastero. Ravvisasi tosto l’antico delle colonnette, e del luogo da lavarsi per li Monaci. Vi si troverà un’iscrizione in versi dell’Abate Alberigo, che fece fare la sepoltura pe’ suoi Monaci; l’istesso che nel 1045 principiò il campanile. Altra lapida del 1123 fa memoria del chiostro ristaurato, e d’altre cose fatte da Gaudio (forse Gaudioso), che pare fosse Abate. Dietro un cortiletto vedesi nel muro pietra del 1212, con memoria in sette distici di varie opere fatte da Riprando Abate. Altra senza tempo già usata per gradino in un portichetto (levata ora e posta in sito non suo, dove può esser cagion a errore) insegna che Benfatto Monaco avea eretto una Chiesa a S. Benedetto. Entrisi in quell’oscuro luogo ch’è presso la porticella per cui siam passati dal Tempio nel Chiostro; e vedrassi un avanzo d’antichissima Chiesa, con quattro colonne che sostentano la volta, non compagne nè in grossezza, nè per lavoro, e con informi e disparatissimi capitelli. Parrebbe potersi credere che fosser presi qua e là, e fatti supplire alla meglio in tempo che la Fede non fosse ancora universale e del tutto trionfante, e però non molto dopo l’età del Santo. Quivi adunque ragionevolmente si può sospettare che riposasse da prima il corpo, e di questa Chiesa intenda S. Gregorio ne’ Dialoghi (l. 3, c. 19). Tutti i nostri hanno creduto sempre che tal Chiesa fosse quella presso il Castel vecchio che si chiamava S. Zeno in Oratorio: ma la sua struttura antichità non dimostra così rimota. Imparasi in oltre per l’istoria della traslazione novamente publicata, come l’antica Chiesa era quasi nell’istcssò sito della presente Basilica, poichè vi si legge che s’intraprese il nuovo edifizio per dilatar l’angustie del primo (Ist. Dipl. p. 330: et Ecclesiae angustiam dilatarent), e per collocar le reliquie più nobilmente: vi si legge ancora che nel far la traslazione si portaron prima l’ossa con sacra pompa, non per buon tratto di strada, come sarebbe stato necessario se si fosse portato da S. Zeno in Oratorio, ma intorno alla Chiesa (dum circa Ecclesiam gestaretur).
Uscendo fuori per passare nella prossima Chiesa di S. Procolo, diasi un’occhiata alla Torre che formava una buona parte del Palazzo, qual servì alcun tempo a i Vescovi, e dove poi soggiornaron più volte nell’undecimo e duodecimo secolo gl’Imperadori quando venivano a Verona. Più Diplomi però si trovano dati in tal luogo. Uno di Federigo I del 1184 se ne registra nelle Antichità Estensi (pag. 35), che incomincia: Curri Federicus Romanorum Imperator apud Veronam in Palatio S. Zenonis cum maxima Curia esset, ec. E nel fine: Actum in Verona in Palatio S. Zenonis. S. Procolo mostra antichità notabile nel suo prospetto, e si fa ricca di molte reliquie. Tra le statuette che sono all’altare, quella di S. Dionigi con pianeta Greca ha in mano un libro, non la testa, come si prese a far poi, per dimostrare il modo del martirio. I gradini son di marmo Greco servito già in altri usi. Facendo scoprire la gran mensa, si vedrà formata da una grossa tavola di bellissimo Verde antico lunga dodici palmi e larga quasi sei. Nella Confessione, cioè nel sotterraneo conservasi una bella ed antica lapida di marmo Greco, l’iscrizion della quale insegna, come fu quivi posto il corpo di Procolo nostro quarto Vescovo insieme con reliquie d’altri Santi. In lastra d’Africano è scritto che si scoprì il corpo di S. Procolo nel 1408.
Entrisi poi nel cimitero, e scendendo i molti scalini si passi ad osservare la sotterranea cameretta foderata di pietra, sostenuto il soffitto da quattro colonne disuguali. Cassa di pietra è nel mezo, che servì di sepolcro a persona di conto, ma in cui da gran tempo non è più cosa alcuna. Famosissimo è questo monumento per venir comunemente creduto del Re d’Italia Pipino. L’opinione ch’ei fabricasse la prossima Basilica, diè forse principio a tal credenza, autorizata poi da Scrittori, e ultimamente dal Coinzio (t. 6, an. 810) negli Annali dei Franchi, e dal Mabillone (t. 2, l. 27) negli Annali de’ Benedettini. Ma veramente non si ha di ciò verun fondamento, perchè Pipino morì a Milano, e l’arca nè ha, nè ebbe mai lettera o figura alcuna, per cui s’indicasse chi fosse quivi sepolto. L’iscrizione ch’or sopra l’uscio si vede fu posta non ha moli’ anni da certo buon Prete, il quale nel trasportarsi la coppa gettò ancora sotto di essa nel fondamento una lamina di piombo incisa d’alquante semplicità che potrebbero un giorno dar da fantasticare a i tardi ncpoli: il che può servir di documento per chi crede a tutto ciò che dalla terra si cava. Qual virtù abhia l’acqua che ne’ piovosi tempi cola, e gocciando dall alto trapassa nell’arca, il sapranno que’ stranieri che si son pensati di scrivere darsi essa a gli ammalali per medicina.
Non mancano altre Chiese per antichità rimarcabili. Lasciando quelle se ben mentovate d’antico, che furon trasformate allatto modernamente, e non essendo da ricordar qui tutte le iscrizioni o monumenti de bassi tempi, diremo ancora, come a dispetto degl’imbiancamenti e di tutti gl’insulti con buona mente in varj tempi fatti, si riconoscerà un gran vestigio dell’antica forma entrando in S. Lorenzo, nominala nel Ritmo e nell’iscrizion di Pacifico. Sant’Apostoli, ch’è pur nel Ritmo, mostra nelle muraglie l’istesso modo di S. Zenone in Oratorio. Degna singolarmente di visita è la Chiesa sotterranea di S. Fermo maggiore, dalla quale si denominò negli antichi tempi la porta della città ch’era prossima, e nella quale fin da’ tempi del Re Desiderio si custodisce e si venera il sacro deposito dell’ossa de’ SS. Martiri Ferino e Rustico. Finalmente un de’ luoghi da non dimenticar senza dubbio dal forasti ere, sarà S. Maria Antica. In questa Chiesa fu solennemente dedicato l’Altare dal sommo Pontefice Alessandro terzo l’anno 1177 con intervento di quindici Cardinali, e del Marchese che avea tutta la provincia, cioè la Marca Veronese in governo. Tanto si legge nella lapida che per memoria fu incisa3. Fu poi consecrata la Chiesa cent’anni dopo da Gotifredo Patriarca d’Aquileia, come per altra iscrizione. Fuor di questa Chiesa e nel cimiterio suo ebbero sepoltura la maggior parte degli Scaligeri, che di Verona e di molt’altre città fur Signori: ma de i superbi lor monumenti si parlerà nel seguente Capo.
- ↑ V. Orsino Familiae, ec., p. 268. — Cosi i Pelasgi, ec. — Veget. l. 1: ocreas in dextris tantum cruribus.
- ↑ Vedi Clerc in 3 Reg. p. 384.
- ↑ Questo periodo è cancellato con un tratto di penna, e dicontro in margine si legge: È falsa e ridicola. Vedi la critica che ne ho fatta. — (Gli Editori).