< Versi del conte Giacomo Leopardi
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Elegia I Sonetti in persona di ser Pecora
E L E G I A   II



Dove son? dove fui? che m’addolora?
     Ahimè ch’io la rividi, e che giammai
     Non avrò pace al mondo insin ch’io mora.
Che vidi, o Ciel, che vidi, e che bramai!
     5Perchè vacillo? e che spavento è questo?
     Io non so quel ch’io fo né quel ch’oprai.
Fugge la luce, e ’l suolo ch’i’ calpesto
     Ondeggia e balza, in guisa tal ch’io spero
     Ch’egli sia sogno e ch’i’ non sia ben desto.
10Ahimè ch’io veglio, e quel che sento è il vero;
     Vero è ch’anzi morrò ch’al guardo mio
     Sorga sereno un dì su l’emispero.
Meglio era ch’i’ morissi avanti ch’io
     Rivedessi colei che in cor m’ha posto
     15Di morire un asprissimo desio
Ch’allor le membra in pace avrei composto;
     Or fia con pianto il fin de la mia vita,
     Or con affanno al mio passar m’accosto.
O Cielo o Cielo, io ti domando aita.
     20Che far debb’io? conforto altro non vedo
     Al mio dolor, che l’ultima partita.

Ahi ahi, chi l’avria detto? appena il credo:
     Quel ch’io la notte e ’l dì pregar soleva
     E sospirar, m’è dato, e morte chiedo.
25Quanto sperar, quanto gioir mi leva
     E spegne un punto sol! com’egli è scuro
     Questo dì che sì vago io mi fingeva!
Amore, io ti credetti assai men duro
     Allor che desiai quel che m’ha fatto
     30Miser fra quanti mai saranno o furo.
Già t’ebbi in seno; ed in error m’ha tratto
     La rimembranza: indarno oggi mi pento,
     E meco indarno e teco, amor, combatto.
Ma lieve a comportar quello ch’io sento
     35Fora, sol ch’anco un poco io di quel volto
     Dissetar mi potessi a mio talento.
Ora il più rivederla oggi m’è tolto,
     Ella si parte; e m’ha per sempre un giorno
     In miseria amarissima sepolto.
40Intanto io grido, e qui vagando intorno,
     Invan la pioggia invoco e la tempesta
     Acciò che la ritenga al mio soggiorno.
Pure il vento muggia ne la foresta,
     E muggia tra le nubi il tuono errante,
     45In sul dì, poi che l’alba erasi desta.

O care nubi, o cielo, o terra, o piante,
     Parte la donna mia; pietà, se trova
     Pietate al mondo un infelice amante.
Or prorompi o procella, or fate prova
     50Di sommergermi o nembi, insino a tanto
     Che ’l sole ad altre terre il dì rinnova.
S’apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto
     Posan l’erbe e le frondi, e m’abbarbaglia
     Le luci il crudo Sol pregne di pianto.
55Io veggio ben ch’a quel che mi travaglia
     Nessuno ha cura; io veggio che negletto,
     Ignoto, il mio dolor mi fiede e taglia.
Segui, m’ardi, mi strazia, a tuo diletto
     Spegnimi o Ciel; se già non prima il core
     60Di propria mano io sterpomi dal petto.
O donna, e tu mi lasci; e questo amore
     Ch’io ti porto, non sai, né te n’avvisa
     L’angoscia di mia fronte e lo stupore.
Così pur sempre; e non sia mai divisa
     65Teco mia doglia; e tu d’amor lontana
     Vivi beata sempre ad una guisa.
Deh giammai questa cruda e questa insana
     Angoscia non la tocchi: a me si dia
     Sempre doglia infinita e soprumana.

70Intanto io per te piango, o donna mia,
     Che m’abbandoni, ed io solo rimango
     Del mio spietato affetto in compagnia.
Che penso? che farò? di chi mi lagno?
     Poi che seguir nè ritener ti posso,
     75Io disperatamente anelo e piagno.
E piangerò quando lucente e rosso
     Apparrà l’oriente e quando bruno,
     Fin che ’l peso carnal non avrò scosso.
Nè tu saprai ch’io piango, e che digiuno
     80De la tua vista, io mi disfaccio; e morto,
     Da te non avrò mai pianto nessuno.
Così vivo e morrò senza conforto.

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