< Viaggio al centro della Terra
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Jules Verne - Viaggio al centro della Terra (1864)
Traduzione dal francese di Anonimo (1874)
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XIX XXI

XX.

Infatti, bisognò mettersi a razioni. La nostra provvigione non poteva durare più di tre giorni. Gli è ciò che io riconobbi alla sera durante il pasto e, disastrosa condizione, non avevamo alcuna speranza d’incontrare qualche sorgente viva in questi terreni dell’epoca di transizione.

Durante tutta la domane la galleria svolse innanzi a noi i suoi archi interminabili, Camminavamo quasi senza dir parola; il mutismo di Hans c’invadeva.

La strada non saliva, almeno in maniera sensibile; talvolta anzi pareva inchinarsi, ma questa lieve pendenza non doveva già rassicurare il professore, poichè la natura degli strati non si modificava e il periodo di transizione si affermava sempre più.

La luce elettrica faceva scintillare splendidamente gli schisti, i calcari e le vecchie pietre arenarie rosse delle pareti. Pareva d’essere in un canale aperto nel mezzo del Devonshire che diede il suo nome a questo genere di terreni. Magnifici marmi rivestivano le muraglie, gli uni d’un grigio-agata venati capricciosamente di bianco, altri di colore incarnato o d’un giallo macchiato di rosso; più oltre erano campioni di nischio, dalle tinte cupe, nei quali il calcare spiccava con vivi colori.

La maggior parte di questi marmi avevano impronte d’animali primitivi. Dalla «vigilia» la creazione aveva fatto un progresso evidente; invece dei trilobiti rudimentali, io vedeva gli avanzi di un ordine più perfetto; fra gli altri i pesci ganoidi e quei sauropteridi nei quali l’occhio del paleontologo seppe scoprire le prime forme del rettile. I mari devoniani erano abitati da gran numero d’animali di questa specie e li deponevano a migliaia sopra le roccie nuovamente formate.

Appariva mano mano evidente che noi risalivamo la scala della vita animale di cui l’uomo occupa la sommità. Ma il professore Lidenbrock non pareva porvi mente.

Egli aspettava due cose: o che un pozzo verticale venisse ad aprirsi sotto i suoi piedi e gli permettesse di ricominciare la discesa, o che un ostacolo gl’impedisse di continuare quella strada. Ma venne la sera senza che alcuna di tali speranze si fosse avverata.

Il venerdì, dopo una notte durante la quale incominciai a sentire i tormenti della sete, la nostra piccola comitiva si internò di nuovo nelle giravolte della galleria.

Dopo dieci di ore di viaggio, notai che la riflessione della lampada sulle pareti diminuiva singolarmente. Il marmo, lo schisto, il calcare e il gres delle muraglia cedevano ad un intonaco cupo e senza splendore. A un certo punto che il tunnel divenne strettissimo, m’appoggiai sulla parete sinistra e nel ritrarne la mano vidi che era interamente nera. Guardai più davvicino e conobbi che eravamo in pieno terreno carbonifero.

«Una miniera di carbone! sclamai.

— Una miniera senza minatori! rispose mio zio.

— Eh! chi sa?

— Io lo so, replicò il professore in tono reciso; io sono certo che questa galleria aperta attraverso gli strati di carbon fossile, non fu fatta dalle mani dell’uomo. Ma sia o no opera della natura, ciò importa assai poco. È l’ora della cena; ceniamo.»

Hans presentò alcuni alimenti; io mangiai appena e bevvi le poche goccie d’acqua che formavano la mia razione. La fiaschetta della guida a mezzo piena, era tutto ciò che ne rimaneva per dissetare tre uomini.

Dopo il pasto i miei due compagni si stesero sulle coperte e trovarono nel sonno un rimedio alle loro fatiche; io solo non potei dormire e contai le ore fino al mattino.

Il sabato alle sei si ripartì. Venti minuti dopo arrivammo ad una vasta cava; allora conobbi che la mano dell’uomo non poteva aver scavato questa miniera; le vôlte sarebbero state puntellate; esse non reggevano in fatti se non per un miracolo di equilibrio.

Questa specie di caverna era larga cento piedi e alta cinquanta. Il terreno era stato violentemente aperto da una commozione sotterreanea, e la massa terrestre, cedendo a qualche spinta poderosa, aveva lasciato quel largo vuoto in cui gli abitanti della terra penetravano per la prima volta.

Tutta la storia del terreno carbonifero era scritta su quelle cupe pareti, e un geologo ne poteva seguire facilmente le diverse fasi. Gli strati di carbone erano separati da strati di gres o di argilla compatta e come schiacciati dagli strati superiori.

A quest’età del mondo che precedette l’epoca secondaria, la terra si ricoprì d’immense vegetazioni dovute alla doppia azione d’un calore tropicale e d’un’umidità persistente. Un’atmosfera di vapori involgeva il globo d’ogni parte, nascondendogli ancora i raggi del sole.

D’onde questa conclusione, che le alte temperature non provenivano da quel nuovo focolare. Fors’anche l’astro del giorno non era ancora pronto a rappresentare la sua splendida parte. I «climi» non esistevano ancora, ed un calore torrido si spandeva sopra tutta la superficie del globo, uguale all’equatore e ai poli. D’onde veniva? Dall’interno della Terra.

A dispetto delle teoriche del professore Lidenbrock, un fuoco violento covava nelle viscere dello sferoide; la sua azione si faceva sentire fino agli ultimi strati della scorza terrestre; le pianta prive dei benefici effluvi del sole, non davano fiori nè profumi, ma le loro radici attingevano una vita vigorosa nei terreni ardenti dei primi giorni.

Vi erano pochi alberi e solo piante erbacee e immense piote, felci, licopodi, sigillarie, asterofilliti – famiglie rare le cui specie allora si contavano a migliaia.

Ora è appunto a siffatta esuberante vegetazione che il carbon fossile deve la sua origine. La scorza tuttavia elastica del globo, obbediva ai movimenti della massa liquida che conteneva; d’onde fessure e avvallamenti numerosi. Le piante trascinate sotto le acque formavano a poco a poco masse considerevoli.

Allora intervenne l’azione della chimica naturale; in fondo ai mari le masse vegetali divennero dapprima torba, poi sotto l’influenza dei gas e al fuoco della fermentazione si mineralizzarono affatto.

Così si formarono gli immensi strati di carbone che il consumo di tutti i popoli per lungi secoli ancora non giungerà ad esaurire.

Queste riflessioni mi venivano alla mente mentre consideravo le ricchezze carbonifere accumulate in quella parte della massa terrestre, Senza dubbio non saranno mai poste allo scoperto, chè la coltivazione di miniere così profonde richiederebbe sacrifici enormi; e a qual pro d’altra parte, se il carbon fossile è ancora sparso per così dire alla superficie della Terra in molte contrade? Tal quale io li vedeva, così quegli strati rimarrebbero fino a che fosse suonata l’ultima ora del mondo.

Frattanto andavamo innanzi. Io solo, fra i miei compagni, dimenticava la lunghezza della strada per smarrirmi nelle considerazioni geologiche. La temperatura rimaneva qual’era stata durante il nostro passaggio in mezzo alle lave ed agli schisti.

Solo il mio odorato era offeso da un odore assai acuto di proto-carburo d’idrogeno. Riconobbi immediatamente nella galleria la presenza di gran quantità di questo fluido pericoloso, al quale i minatori hanno dato nome di grisou e la cui esplosione ha così di frequente cagionato spaventevoli catastrofi. Per buona sorte noi eravamo rischiarati dagli ingegnosi apparecchi di Ruhmkorff; ma se avessimo esplorato imprudentemente la galleria colle torcie, uno scoppio terribile avrebbe posto termine al viaggio, sopprimendo i viaggiatori.

Questa escursione nella miniera durò fino a sera. Mio zio tratteneva appena l’impazienza cagionatagli dal vedere che il sentiero si manteneva orizzontale. Le tenebre sempre, profonde a venti passi, impedivano di calcolare la lunghezza della galleria ed io cominciava già a crederla interminabile, quando all’improvviso, alle sei, ci si rizzò innanzi un muro. A diritta, a mancina, in alto, in basso non era alcuna uscita.

Eravamo giunti al fondo d’un chiasso.

«Ebbene! tanto meglio! esclamò mio zio; ora so almeno il fatto mio. Noi non siamo sulla strada di Saknussemm e non ci rimane più che ritornare indietro. Riposiamo una notte e prima di tre giorni avremo riguadagnato il punto in cui le due gallerie si bipartiscono.

— Sì, diss’io, se ne avremo la forza.

— E perchè no?

— Perchè domani l’acqua mancherà del tutto.

— E il coraggio mancherà egli del pari? domandò il professore guardandomi con occhio severo.»

Io non osai rispondergli.

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