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Cap. IX. Proseguimento di viaggi. Russia, Prussia di bel nuovo, Spa, Olanda, e Inghilterra
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1770

CAPITOLO NONO.

Proseguimento di viaggi. Russia, Prussia di bel nuovo, Spa, Olanda, e Inghilterra.



Io sempre incalzato dalla smania dell’andare benché mi trovassi assai bene in Stockolm, volli partirne verso il mezzo Maggio per la Finlandia alla volfa di Pietroborgo. Nel fin d’Aprile aveva fatto un giretto sino ad Upsala, famosa Università, e camrain facendo aveva visitate alcune cave del ferro, dove vidi varie cose curiosissime; ma avendole poco osservate, e molto meno notate, fu come se non le avessi mai vedute. Giunto a Grisselhamna, porticello della Svezia su la spiaggia orientale, posto a rimpetto dell’entrata del golfo di Botnia, trovai da capo l’inverno, dietro cui pareva ch’io avessi appostato di correre. Era gelato gran parte di mare, e il tragitto dal continente nella prima isoletta, ( che per cinque isolette si varca quest’entratura del sudetto golfo ) attesa l’immobilità totale dell’acque, riusciva per allora impossibile ad ogni specie di barca. Mi convenne dunque aspettare in
quel tristo luogo tre giorni, finché spirando 1770 altri venti cominciò quella densissima crostona a screpolarsi quà e là, e far crich, come dice il Poeta nostro; quindi a poco a poco a disgiungersi in tavoloni galleggianti,che alcuna viuzza pure dischiudevano a chi si fosse arrischiato d’intromettervi una barcuccia. Ed in fatti il giorno dopo approdò a Grisselhamna un pescatore venente in un battelletto da quella prima isola a cui doveva approdar io, la prima; e disseci il pescatore che si passerebbe, ma con qualche stento. Io subito volli tentare, benché / avendo una barca assai piò spaziosa di quella peschereccia, poiché in essa vi trasportava la carrozza, l’ostacolo veniva ad essere raaggioxe; ma però era assai minore il pericolo, poiché ai colpi di quei massi nuotanti di ghiaccio dovea piò robustamente far fronte un legno grosso che non un piccolo. E così per l’appunto accadde. Quelle tante galleggianti isolette rendevano stranissimo l’aspetto di quell’orrido mare che parea piuttosto una terra scompaginata e disciolta, che non un volume di acque: ma il vento essendo, la Dio mercè, tenuissimo, le percosse di quei tavoloni nella mia barca riuscivano piuttosto carezze che urti; tuttavia la loro gran copia e mobilità
1770 spesso li facea da parti opposte incontrarsi davanti alla mia prora, e combaciandosi, tosto ne impedivano il solco; e subito altri ed altri vi concorreano, ed ammontandosi facean cenno di rimandarmi nel continente. Rimedio ef* ficace ed unico, veniva allora ad essere l’ascia; castigatrice d’ogni insolente. Più d’una volta i marinari miei, ed anche io stesso scendemmo dalla barca sovra quei massi,e con delle scuri si andavano partendo, e staccando dalle pareti del legno, tanto che desser luogo ai remi fe alla prora; poi risaltati noi dentro coll’impulso della risorta nave si andavano cacciando dalla via quegli insistenti accompagnatori; e in tal modo si navigò il tragitto primo di sètte miglia Srezzesi in dieci e più ore. La hovità di un tal viaggio mi diverti moltissimo; ma fote troppo fastidiosamente sminuzzandolo io nel raccontarlo, non avrò egualmente divertito il lettore. La descrizione di cosa insolita per gl’Italiani, mi vi ha indotto. Fatto in tal guisa il primo tragitto, gli altri sei passi molto più brevi, ed oltre ciò oramai fatti più liberi dai ghiacci, riuscirono assai più facili. Nella sua salvaticaruvidezza quello è un dei paesi d’Europa che mi siano andati più a genio, e destate più idee fantastiche, malincohiche, ed
anche grandiose, per un certo vasto indefinibile 1770 silenzio che regna in quell’atmosfera, ove ti parrebbe quasi di essere fuor del globo.

Sbarcato per l’ultima volta in Abo, capitale della Finlandia Svezzese, continuai per ottime strade e con velocissimi cavalli il mio viaggio sino a Pietroborgo, dove giunsi verso gli ultimi di Maggio; e non saprei dire se di giorno vi giungessi o di notte; perchè sendo in quella stagione annullate quasi le tenebre della notte in quel clima tanto boreale, e ritrovandomi assai stanco del non aver per piò notti riposato se non se disagiatamente in carrozza, mi si era talmente confuso il capo, ed entrata una tal noja del veder sempre quella trista luce, ch’io non sapea più nè qual di della settitnana,nè qual ora del giorno, nè in qual parte del mondo mi fossi in quel puntò; tanto più che i costumi, abiti, e barbe dei Moscoviti mi rappresentavano assai più Tartari che non Europèi.

Io aveva letta la storia di Pietro il Grande nel Voltaire; mi era trovato nell’Accademia di Torino con varj Moscoviti, ed avea udito magnificare assai quella nascente nazione. Onde, queste cose tutte, ingrandite poi anchè dalla mia fantasia che sempre mi andava
1770 accattando nuovi disinganni, mi tenevano al mio arrivo in Pietroborgo in una certa straordinaria palpitazione dall’espettativa.. Ma, oimè, che appena io posi il piede in quell’Asiatico accampamento di allineate trabacche, ricordatomi allora di Roma, di Genova, di Venezia, e di Firenze, mi posi a ridere. E da quant’altro poi ho visto in quel paese, ho sempre più ricevuta la conferma di quella prima impressione; e ne ho riportato la preziosa notizia ch’egli non meritava d’esser visto. E tanto mi vi andò a contragenio ogni cosa, (fuorché le barbe e i cavalli ) che in quasi sei settimane ch’io stetti fra quei barbari mascherati da Europèi, ch’io non vi volli conoscere chi che sia, neppure rivedervi due o tre giovani dei primi del paese, con cui era stato in Accademia a Torino, e neppure mi volli far presentare a quella famosa Autocratrice Caterina Seconda: ed in fine neppure vidi materialmente il viso di codesta Regnante, che tanto ha stancata a’giorni nostri la Fama. Esaminatomi poi dopo,per ritrovare il vero perché di una così inutilmente selvaggia condotta, mi son ben convinto in me stesso che ciò fu una mera intolleranza di inflessibil carattere, ed un odio purissimo della tirannide in astratto, appiccicato poi sopra una
persona giustamente tacciata del più orrendo 1770 delitto, la mandataria e proditoria uccisione dell’inerme marito. E mi ricordava benissimo di aver udito narrare, che tra i molti pretesti addotti dai difensori di un tal delitto, si adduceva anche questo; che Caterina Seconda nel subentrare all’impero, voleva, oltre i tanti altri danni fatti dal marito allo Stato, risarcire anche in parte i diritti dell’umanità lesa si crudelmente dalla schiavitù universale e totale del popolo in Russia, col dare una giusta costituzione. Ora. trovandoli io in una servitù cosi intera dopo cinque o sei anni di regno di codesta CHtennestra filosofessa; e vedendo la maladetta genia soldatesca sedersi sul trono di Pietroborgo più forse ancora che su quel di Berlino; questa fu senza dubbio la ragione che mi fe’pur tanto-dispregiale quei popoli, e si furiosamente abborrirne gli scellerati reggitori. Spiaciutami dunque ogni Moscoviteria, non volli altrimenti portarmi a Mosca, come avea disegnato di fare, e mi sapea niill’anni di rientrare in Europa. Partii nel finir di Giugno, alla volta di Riga per Narva, e Rewel; nei di cui plani arenosi ignudi ed orribili scontai largamente i diletti che mi aveano dati le epiche selve immense della Svezia scoscesa. 1770 Proseguii per Konisberga e Damica; questa città, fin allora libera e ricca, in quell’anno per l’appunto cominciava ad essere straziata dal mal vicino Despota Prussiano, che già vi avea intrusi a viva forza i suoi vili sgherri. Onde io bestemmiando e Russi e Prussi, e quanti altri sotto mentita faccia di uomini si lasciano più che bruti malmenare in tal guisa dai loro tiranni; e sforzatamente seminando il mio nome, età, qualità, e carattere, ed intenzioni, (che tutte queste cose in ogni villaggiuzzo ti son domandate da un sergente all’entrare, al trapassare, allo stare, e ali’uscire) mi ritrovai finalmente esser giunto una seconda volta in Berlino, dopo circa un mese di viaggio,il più spiacevole tedioso e oppressivo di quanti mai se ne possano fare; inclusive lo scéndere all’orco, che più bujo e sgradito ed inospitO non può esser mai. Passando per Zorendorff, visitai il campo di battaglia tra’ Russi e Prussiani, dove tante migliaja dell’uno e dell’altro armento rimasero liberate dal loro giogo lasciandovi l’ossa. Le fosse sepolcrali vastissime, vi erano manifestamente accennate dalla folta e verdissima bellezza del grano, il quale nel rimanente terreno arido per se stesso ed ingrato vi era cresciuto e misero e rado. dovei fare allora una trista ma pur troppo certa 1770 riflessione; che gli schiavi son veramente nati a far concio. Tutte queste Prussianerie mi faceaiio sempre più e conoscere e desiderare la beata Inghilterra..

Mi sgabellai dunque in tre giorni di questa mia Berlinata seconda; nè per altra ragione mi vi trattenni che per riposannivi un poco di un si disagiato viaggio. Partii sul finir di Luglio per Magdehourg, Brunòtrkh, Gottinga, Cassel e Francfort. Nell’entrare in Gottinga, città come tutti sanno di Università fioritissima, mi abbattei in un asinello ch’io moltissimo festeggiai per non averne più visti da circa un anno dacchè m’era ingolfato nel Settentrione estremo dove quell’animale non può nè generare, nè campare. Di codesto incontro di un asino Italiano con un asinelio Tedesco in una così famosa Università, ne avrei fatto allora una qualche lieta e bizzarra poesia se la lingua e la penna avessero in me potuto servire alla mente, ma la mia impotenza scrittoria era ogni di più assoluta. Mi contentai dunque di fantasticarvi su fra me stesso, e passai così una festevolissima giornata, soletto sempre, con me e il mio asino. E le giornate festive per me eran rare, passandomele io di continuo solo
1770 solissimo, per lo più anche senza leggere nè far nulla, e senza mai schiuder bocca.

Stufo oramai di ogni qualunque Tedescheria, lasciai dopo due giorni Francfort, e avviatomi verso Magonza mi v’imbarcai sopra il Reno, e disceso con quell’epico fiumone sino a Colonia, un qualche diletto lo ebbi navigando fra quelle amenissime sponde. Di Colonia per Aquisgrana ritornai a Spa, dove due anni prima aveva passato qualche settimane; e quel luogo mi avea sempre lasciato un qualche desiderio di rivederlo a cuor libero; parendomi quella essere una vita adattata al mio umore, perchè riunisce rumore e solitudine, onde vi si può stare inosservato ed ignoto infra le pubbliche veglie e festini. Ed in fatti talmente mi vi compiacqui, che ci stetti sin quasi al fin dì Settembre dal mezzo Agosto: spazio lunghissimo di tempo per me che in nessun luogo mi potea posar mai. Comprai due cavalli da un Irlandese, dei quali l’uno era di non comune bellezza, e vi posi veramente il cuore. Onde cavalcando mattina e giorno e sera, pranzando in compagnia di otto 0 dieci altri forestieri d’ogni paese, e vedendo seralmente ballare gentili donne e donzelle, io passava (o per dir meglio,
logorava) il mio tempo benissimo. Ma guastatasi 1770 la stagione, ed i più dei bagnanti cominciando ad andarsene, partii anch’io e volli ritornare in Olanda per rivedervi l’amico d’Acunha, e ben certo di non rivedervi la già tanto amata donna, la quale sapeva non essere più all’Haja, ma da più d’un anno essere stabilita con il marito in Parigi. Non mi potendo staccare dai miei due ottimi cavalli, avviai innanzi Elia con il legno, ed io parte a piedi parte a cavallo mi avviai verso Liegi. In codesta città, presentandomisi l’occabione di un Ministro di Francia mio conoscenre, mi lasciai da esso introdurre al Principe Vescovo di Liegi, per condiscendenza e stranezza; che se non avea veduta la famosa Caterina Seconda, avessi almeno vista la Corte del Principe di Liegi. E nel soggiorno di Spa era anche stato introdotto ad un altro Principe Ecclesiastico, assai più microscopico ancora, l’Abate di Stavelò nell’Ardenna. Lo stesso Ministro di Francia a Liegi mi avea presentato alla Corte di Stavelò, dove allegrissimamente si pranzò, ed anche assai bene. E meno mi ripugnavano le Corti del Pastorale che quelle dello schioppo e tamburo, perchè di questi due flagelli degli uomini non se ne può
1770 mai rider veramente di cuore. Di Liegi proseguii in compagnia dei, miei cavalli a Bruxelles, Anversa, e varcato il passo del Mordick, a Roterdarao, ed all’Haja. L’amico, col quale io sempre avea carteggiato dappoi, mi ricevè a braccia aperte; e trovandomi un pocolin migliorato di senno egli sempre più mi andò assistendo de’suoi anlorevoli caldi e luminosi consigli. Stetti con esso circa due mesi, ma poi infiammato come io era della «mania di riveder l’Inghilterra, e stringendo anche la stagione, ci separammo verso il fin di Novembre. Per la stessa via fatta da me due e più anni prima giunsi, felicemente sbarcato in Hariwch, in pochi giorni a Londra. Ci ritrovai quasi tutti quei pochi amici che io avea praticati nel primo viaggio; tra i quali il Principe di Masserano Ambasciator di Spagna, ed il Marchese Caraccioli Ministro di Napoli, uomo di alto sagace e fiiceto ingegno. Queste due persone mi furono più che padre in amore nel secondo soggiorno ch’io feci in Londra di circa sette mesi, nel quale mi trovai in alcuni frangenti straordinari 6 scabrosi, come si vedrà.

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