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CAPITOLO DECIMO.
Secondo fierissimo intoppo amoroso in Londra.
Fin in dal primo mio viaggio erami in Londra 1771, andata sommamente a genio una bellissima Signora delle primarie, la di cui immagine tacitamente forse nel cuore mio introdottasi mi avea fatto in gran parte trovare si bello e piacevole quel paese, ed anche accresciutami ora Ja voglia di rivederlo. Con tutto ciò, ancorché quella bellezza mi sì fosse mostrata fin d’allora piuttosto benigna, la mia ritrosa e selvaggia indole mi avea preservato dai di lei lacci. Ma in questo ritorno, ingehtilitomi io d’alquanto, ed essendo in età più suscettibil d’amore, e non abbastanza rinsavito dal primo accesso di quell’infausto morbo,,che sì male imi era riuscito nell’Haja, caddi allora in quest’altra rete, e con si indicibil furore mi appassionai, che ancora rabbrividisco pensandovi adesso che lo sto descrivendo nel primo gelo del nono mio lustro. Mi si presentava pessissimo l’occasione di veder quella bella
1771 Inglese, massimamente in casadel Princip® di Masserano, con la di cui moglie essa era compagna di palco al Teatro dell’Opera Italiana. Non la vedeva in casa sua, perchè allora le Dame Inglesi non usavano ricevere visite, e principalmente di forestieri. Oltre ciò, il marito ne era gelosissimo, per quanto il possa e sappia essere un oltramontano. Questi ostacolettl vieppiù mi accendevano; onde 10 ogni mattina ora all’Hyde-parck, ora in qualche altro passeggio mi incontrava con essa; ogni sera in quelle affollate veglie, o al Teatro, la vedea parimente; eia cosa si andava sempre più ristringendo. E venne finalmentt a tale, che io, felicissimo dell’essere o credermi riamato, mi teneva pure infelicissimo, ed era, dal non vedere modo con cui si potesse con securità continuare gran tempo quella pratica. Passavano, volavano i giorni, inoltratasi la primavera, il fin di Giugno al più al più era 11 termine, in cui attesa la partenza per la campagna dove ella solea stare sette e più mesi, diveniva assolutamente impossibile il vederla nè punto nè poco. Io quindi vedeva arrivare quel Giugno come l’ultimo termine indubitabilmente della mia vita; non ammettendo io mai nel mio cuore, nè nella mente mia inferma, la possibilità fisica di sopravvivere a un tale distacco 1771, sendosi in tanto più lungo spazio di tempo rinforzata questa mia seconda passione tanto superiormente alla prima. In questo funesto pensiere del dover senza dubbio perire quando la dovrei lasciare, mi si era talmente inferocito l’animo, ch’io non procedeva in quella mia pratica altrimenti che come chi non ha oramai più nulla che perdere. Ed a ciò contribuiva parimente non poco il carattere dell’amata donna, la quale pareva non gustar punto nè intendere i partiti di mezzo. Essendo le cose in tal termine, e raddoppiandosi ogni giorno le imprudenze sì mie che sue, il di lei marito avvistosene già da qualche tempo avea più volte accennato di volermene fare un qualche risentimento; ed io nessun’altra cosa al mondo bramava quanto questa, poichè dal solo uscir esso dei gangheri potea nascere per me o alcuna via di salvamento, ovvero una total perdizione. In tale orribile stato io vissi circa cinque mesi, finchè finalmente scoppiò la bomba nel modo seguente. Più volte già in diverse ore del giorno con grave rischio d’ambedue noi io era stato da essa stessa introdotto in casa; inosservato sempre, attesa la piccolezza delle case di Londra, e il tenersi le porte chiuse, e la servitù
1771 stare per lo più nel piano sotterraneo, il che dà campo di aprirsi la porta di strada da chi è dentro, e facilmente introdursi l’estraneo ad una qualche camera terrena contigua immediatamente alla porta. Quindi quelle mie introduzioni di contrabbando erano tutte francamente riuscite; tanto più ch’era in ore ove il marito era fuor di casa, e per lo più la gente di servizio a mangiare. Questo prospero esito ci inanimi a tentare maggiori rischj. Onde, venuto il Maggio, avendola il marito condotta in una villa vicina, 16 miglia di Londra, per starci Otto o dieci giorni e non più, subito si appuntò • il giorno e l’ora in cui parimente nella villa verrei introdotto di furto; e si colse il giorno d’una rivista delle truppe a cui il marito, essendo uffiziale delle guardie, dovea intervenir senza fallo, e dormire in Londra, lo dunque mi ci avviai quella sera stessa, soletto, a cavallo; ed avendo avuto da essa l’esatta topografia del luogo, lasciato il mio cavallo ad un’osteria distante circa un miglio dalla villa, proseguii a piedi, sendo già notte,fino alla porticella del Parco, di dove introdotto da essa stessa passai nella casa, non essendo, o credendomi tuttavia non essere stato osservato da chi che fosse. Ma cotali visite erano zolfo sul fuoco, e nulla ci
bastava se non ci assicurava del sempre. Si presero 1771 dunque alcune misure per replicare e spesseggiar quelle gite, finché durasse la villeggiatura breve, disperatissimi poi se si pensava alla villeggiatura imminente e lunghissima, che. ei sovrastava. Ritornato io la mattina dopo in Londra,fremeva e impazziva pensando che altri due giorni dovrei stare senza vederla, e annoverava Tore e i momenti. Io viveva in un continuo delirio, inesprimibile quanto incredibile da chi provato non l’abbia,e pochi certamente l’avranno provato a un tal segno. Non ritrovava mai pace se non se andando sempre, e senza saper dove; ma appena quetatomi o per riposarmi, o per nutrirmi, o per tentar di dormire, tosto con grida ed urli orribili era costretto di ribalzare in piedi, e come un forsennato mi dibatteva almeno per la camera, se l’ora non permetteva di uscire. Aveva più cavalli, e tra gli altri quel bellissimo comprato a Spa, e fatto poi trasportare in Inghilterra. E su quello io andava facendo le più pazze cose, da atterrire i più temerari cavalcatori di quel paese, saltando le più alte e larghe siepi di slancio, e fossi stralarghi, e barriere quante mi si affacciavano. Una di quelle mattine intermedie tra una e l’altra mia gita in
1771 quella sospirata villa, cavalcando io col Marchese Caraccioli, volli fargli vedere quanto bene saltava quel roio stupendo cavallo, e adocchiata una delle più alte barriere che separava un vasto prato dalla pubblica strada, ve lo cacciai di carriera; ma essendo io mezzo alienato, e poco badando a dare in tempo i debiti ajuti e la mano al cavallo, egli toccò coi piè (lavanti la sbarra, ed entrambi in un fascio precipitati sul prato, ribalzò egli primo in piedi, io poi; nè mi parve di essermi fatto male alcuno. Del resto il mio pazzo amore mi avea quadruplicato il coraggio, e pareva ch’io a bella posta mendicassi ogni occasione di rompermi il collo. Onde, per quanto il Caraccioli, rimasto su la strada di là dalla mal per me saltata barriera, gridassemi di non far altro, e di andar cercare l’uscita naturale del prato per riunirmi a lui, io che poco sapeva quel che mi facessi, correndo dietro il cavallo che accennava di voler fuggire pel prato, ne afferrai in tempo le redini, e saltatovi su di bel nuovo, lo rispinsi spronando contro la stessa barriera, e ristorando egli ampiamente il mio onore ed il suo la passò di volo. La giovenile superbia mia non godè lungamente di quel trionfo, che dopo
fatti alcuni passi adagino, freddandomisi a 1771 poco a poco la mente ed il corpo, cominciai a provare un fiero dolore nella sinistra spalla, che era in fatti slogata, e rotto un ossuccio che collega la punta di essa col collo. ILdc»lore andava crescendo, e le poche miglia che mi trovava esser distante da casa mi parvero fieramente lunghe prima di ricondurmivi a cavallo ad oncia ad oncia. Venuto il Chirurgo, e straziatomi per assai tempo, disse di aver riallogato ogni cosa, e fasciatomi, ordinò ch’io stessi in letto. Chi intende d’amore si rappresenti le mie smanie e furore nel vedermi io così inchiodato in un letto, la vigilia per l’appunto di quel beato giorno ch’era prefisso alla mia seconda gita in villa. La slogatura del braccio era accaduta nella mattina del Sabato, pazientai per quel giorno, e la Domenica sino verso la sera, onde quel poco di riposo mi rendè alcuna forza nel braccio, e più ardire nell’animo. Onde verso le ore sei del giorno mi volli a ogni conto alzare, e per quanto mi dicesse il mio semi-ajo Elia, entrai alla meglio in un carrozzino di posta soletto, e mi avviai verso il mio destino. Il cavalcare mi si era fatto impossibile atteso il dolore del braccio, e l’impedimento della stringatisòiiiia
1771 fasciatura, onde non dovendo nè potendo attivare sino alla villa in quel carrozzino -col postiglione, mi determinai di lasciare ii legno alla distanza di circa due miglia, e feci il rimanente della strada a piedi con l’un braccio impedito, e l’altro sotto il pastrano con ia spada impugnata, andando solo di nowe in casa d’altri, non come amico. La scossa del legno mi avea frattanto rinnovato e raddoppiato il dolore della spalla, e scompostane la fasciatura a tal segno che la spalla in fatti nòn si riallogò poi in appresso mai più. Pareami por tuttavia di essere il più felice uomo del mondo avvicinandomi al sospirato oggetto. Arrivai finalmente, e con non poco stento ( non avendo l’ajuto di chi che sia, poiché dei confidenti non v’era) pervenni pure ad accavsdciare gli stecconi del parco per introdurmivi, poiché la porticella che la prima volta ritrovai socchiusa, in quella seconda mi riusci inapribile. Il marito, al solito per cagione della rivista dell’indomani Lunedi, era ito ancht quella sera a dormire in Londra. Pervenni dunque alla casa, trovai chi mi vi aspettava, e senza molto riflettere nè essa nè io all’accidente dell’essersi ritrovata chiusa da porticella ch’essa pure avea già più ore prima aperta da
se, mi vi trattenni fino all’alba nascente. Uscitone 1771 poi nello stesso modo, e tenendo per fermo di non essere stato veduto da anima vivente, per la stessa via fino al mio legno, e poi •alito in esso mi ricondussi in Londra verso la sette della mattina assai mal concio fra i due cocentissimi dolori dell’averla lasciata, e di trovarmi assai peggiorata la spalla. Ma lo «tato dell’animo mio era si pazzo e frenetico, ch’io nulla curava qualunque cosa potesse accadere, prevedendole pure tutte. Mi feci dal Chirurgo ristringere di nuovo la fasciatura senza altrimenti toccare al riallogamento o slogamento che fosse. Il Martedì sera, trovatomi alquanto meglio, non volli neppur pifi stare in casa, e andai al Teatro Italiano nej solita palco del Principe di Masserano, che vi era con la sua moglie, e,che credendomi mezzo stroppi® ed in letto, molto si maravigliarono di vedermi col solo braccio al collo.
Frattanto io me ne istava, in apparenza tranquillo, ascoltando la musica, che mille tempeste teriiibili mi rinnovava nel cuore; ma il mio viso era, come suol essere, di vero marmo, Quand’ecco ad un tratto io sentiva o pareami, pronunziato il mio nome da qualcuno, cb® sembrava,contrastare cpn pp altro
1771 alla porta del chiuso palco. Io, per un semplice moto machinale, balzo alla porta, l’apro, e richiudola dietro me in un attimo, e agli occhi mi si presenta il marito della mia donna, che stava aspettando che di fuori gli venisse aperto il palco chiuso a chiave da quegli usati custodi dei palchi, che nei teatri Inglesi sì trattengono a tal effetto nei corridori. Io già più e più volte mi era’ aspettato a quest’incontro, e non potendolo onoratamente provocare io primo, l’avea pure desiderato più che ogni ’cosa al mondo. Presentatomi dunque in un baleno fuori del palco, le parole furon queste brevissime. Eccomi quà, gridai io;chi mi cerca? Io, mi rspos’egli, la cerco, che ho qualche cosa da dirle. Usciamo, io replico; sono ad udirla. Nè altro aggiungendovi, uscimmo immediatamente dal teatro. Erano circa le ore ventitré e mezza d’Italia; nei lunghissimi giorni di Maggio cominciando in Londra i teatri verso le ventidue. Dal teatro dell Haymarket per un assai buon tratto di strada andavamo al Parco di S. Giacomo, dove per un cancello si entra in un vasto prato, chiamato Greenpark. Quivi, già quasi annottando in un Cantuccio appartato si sguainò senza dir altro le spade. Era allor d’uso il portarla anch’essendo in
frack, onde io mi era trovato d’averla, ed egli 1771 appena tornato di villa era corso da uno spadajo a provvedersela. A mezzo la via di Pallmall, che ci guidava al Parco S. Giacomo, egli due i o tre volte mi andò rimproverando ch’io era stato piò volte in casa sua di nascosto, ed interrogavami del come. Ma io, malgrado la. frenesia che mi dominava,presentissimo a me, e sentendo neH’intimo del cuor mio quanto fosse giusto e sacrosanto lo sdegno dell’avversario, nuli’altro mai mi veniva fatto di rispondere; se non se: Non è vera tal cosa: ma quand’ella pure la crede son qui per dargliene buon conto. Ed egli ricominciava ad affermarlo, e massimamente di quella mia ultima gita in villa egli ne sminuzzava si bene ogni particolarità, ch’io rispondendo sempre. Non è vero, vedea pure benissimo ch’egli era informato a puntino di tutto. Finalmente egli terminava col dirmi: A che vuol ella negarmi quanto mi ha confessato e narrato la stessa mia moglie? Strasecolai di un si fatto discoiso, e risposi: (benché feci male, e me ne pentii poi dopo) Quand’ella il confessi non Io negherò io. Ma queste parole articolai, perchè oramai era stufo di stare si lungamente sul negare; una cosa patente e verissima; parte che
1771 troppo mi ripugnava in Taccia ad un nemico offeso da me; ma pure violentandomi, lo faceva per salvare, se era possibile, la donna. Questo era stato il discorso tra noi prima di arrivar sul luogo ch’io accennai. Ma allorché nell’atto di sguainar la spada, egli osservò ch’io aveva il manco braccio sospeso al collo, egli ebbe la generosità di domandarmi se questo non m’impedirebbe di battermi. Risposi ringraziandolo, ch’io sperava di no, e subito Io attaccai. Io sempre sono stato un pessimo schennidore; mi ci buttai dunque fuori d’ogni regola d’arte come un disperato; e a dir vero io non cercava altro che di farmi ammazzare, Poco saprei descrivere quel ch’io mi facessi, ma convien pure che assai gagliardamente lo investissi, poiché io al principiare mi trovava aver il Sole, che stava per tramontare, direttamente negli occhi a segno che quasi non ci vedeva; c in forse sette o otto minuti di tempo io mi era talmente spinto innanzi, ed eglixitrattossi, e nel ritrarsi descritta’una curva si fatta, ch’io mi ritrovai col Sole direttamcnt© alle spalle. Cosi martellando gran tempo, io iserapre portandogli colpi, ed egli sempre ribattendoli, giudico che egli non mi uccise perchè non volle, e ch’io non l’uccisi perchè non
seppi. Finalmente egli nel parare nna botta 1771 me ne allongò un’altra e mi colse nel braccio destro tra l’impugnatura ed il gomito, e tosto avvisommi ch’io era ferito; io non me n’era punto avvisto, nè la ferita era in fatti gran cosa. Allora abbassando egli primo la punta in terra, mi disse ch’egli era soddisfatto, e domandavami se lo era anch’io. Risposi, che io non era l’offeso, e che la cosa era in lui. Ringuainò egli allora, ed io pure. Tosto egli se n’andò; ed io, rimasto unaltro poco sul luogo voleva appurare cosa fosse quella mia ferita; ma osservando l’abito essere squarciato per lo lungo, é non sentendo gran dolore, nè sentendomi sgocciolare gran sangue la giudicai una scalfittura piò che una piaga. Del resto non mi potendo ajutare del braccio sinistro, non mi sarebbe stato possibile di Cavarmi l’abito da me solo. Ajutandomi dunque co’denti mi ’contentai di avvoltolarmi alla peggio un ffizzoletto e annodarlo sul braccio destro per diminuire così la perdita del sangue. Quindi uscito dal parco, per la stessa strada di Pallmall, e ripassando davanti al teatro, di donde era uscito tre quarti d’ora innanzi, ed al lume di nlcune botteghe avendo veduto che non era insaiuinato nè l’abito, nè le mani, scioltomi
1771 co’ denti il fazzoletto dal braccio, e non provatone più dolore, mi venne la pazza voglia puerile di rientrare al teatro, e nel palco donde avea preso le mosse. Tosto entrando fui interrogato dal Principe di Masserano, perchè io mi fossi scagliato così pazzaruente fuori del suo.palco, e dove fossi stato. Vedendo che non aveano udito nulla del breve diverbio seguito fuori del loro palco, dissi che mi era sovvenuto a un tratto di dover parlar con qualcuno, e che perciò era uscito cosi; nè altro dissi. Ma per quanto mi volessi far forza, il mio animo trovavasi pure in una estrema agitazione, pensando qual potesse essere il seguito di un tal affare, e tutti i danni che stavano per accadere affamata mìa donna. Onde dopo un qnarticello me n’andai, non sapendo quel che farei di me. Uscito del teatro mi venne in pensiero (già che quella ferita non m’impediva di camminare ) di portarmi in casa d’una cognata della mia donna, la quale ci secondava, e in casa di cui ci eramo anche vedùti qualche volta.
Opportunissimo riuscì quel mìo accidentale pensiero, poiché entrando in camera di quella Signor il primo oggetto che mi si presentò agli occhi, fu la stessa stessissima donna mia.
Ad una vista si inaspettata, ed in tanto e si 1771 diverso tumulto di affetti, io m’ebbi quasi a svenire. Tosto ebbi da lei pienissimo schiarimento del fatto, come pareva dover essere stato; ma non come egli era in effetto; che la verità poi mi era dal mio destino riserbata a sapersi per tutt’altro mezzo. Ella dunque mi disse, che il marito sin dal primo mio viaggio in villa n’avea avuta là certezza, dalla persona in fuori; avendo egli saputo soltanto che qualcun c’era stato, ma nessuno mi avea conosciuto. Egli avea appurato, che era stato lasciato un cavallo tutta la notte in tale albergo, " tal giorno, e ripigliato poi in tal ora da persona che largamente avea pagato, nò articolato nna sola parola. Perciò all’orcasione di questa seconda rivista, avea segretamente appostato alcun suo familiare perchè vegliasse, spiasse, ed a puntino poi Lunedi sera al siio ritorno gli desse buon conto d’ogni cosa. Egli era partito la Domenica il giorno, per Londra; ed io, come dissi, la Domenica al tardi di Londra per la villa sua, dove era giunto a piedi su rimbrunire. La spia, (o uno o piò ch’ei si fossero) mi vide traversare il Cimitero del luogo, accostarmi alla porticella del parco, e non potendola aprire, accavalciarne
1771 gli stecconi di cinta. Cosi poi m’avea visto uscire su l’alba, ed avviarmi a piedi su la strada maestra verso Londra. Nessuno si era attentato nè di mostrarmisi pure, non che dì dirmi nulla; forse perchè vedendomi venire in aria risoluta con la spada sotto il braccio, e non ci avendo essi interesse proprio, gli spasMonati non si pareggiando mai cogli innamorati, pensarono esser meglio di lasciarmi andare a buon viaggio. Ma ceqto si è, che se all’entrare o all’uscire a quel modo ladronesco dal parco, mi avessero voluto in due o in tre arrestare, la cosa si riducea per me a mal partito; poiché se tentava fuggire, avea aspetto di ladro, se attaccarli o difendermi, aveva aspetto di assassino: ed in me stesso io era ben risoluto di non mi lasciar prender vivo. Onde bisognava subito menar la spada, ed in quel paese di savie e non mai deluse leggi queste cose hanno immancabilmente severissimo gastigo. Inorridisco anche adesso, scrivendolo; ma punto non titubava io nell’atto di espormivi. Il marito dunque nel ritornare il Lunedi giorno in villa, già dallo stesso mio postiglione, che alle due miglia di là mi avea aspettato tutta notte, gli venne raccontato il fatto come cosa insolita, e dal ritratto che gli avea
fatto di mia statura, forme, c capelli, egli mi 1771 avea benissimo riconosciuto. Giunto poi a casa sua, ed avuto il referto della sua gente, ottenne al fine la tanto desiderata certezza dei danni suoi.
Ma qui, nel descrivere gli effetti stranissimi di una gelosia Inglese, la gelosia Italiana si vede costretta di ridere: cotanto son di-verse le passioni nei diversi caratteri e climi, e massime sotto diversissime leggi. Ogni lettore Italiano qui sta aspettando pugnali, veleni, battiture, o almeno carcerazion della moglie, e simili ben giuste smanie. Nulla di questo. LTnglese marito, ancorché assaissimo al modo suo adorasse la moglie, non perdè il tempo in invettive, in minacce, in querele. Subito la raffrontò con quei testiinonj di vista, che facilmente là convinsero del fatto innegabile. Venuta la mattina del Martedì, il marito non celò alla moglie, ch’egli già da quel pulito non la tenea più. per sua, e che ben tosto il divorzio legittimo Io libererebbe di lei. Aggiunse, che non gli bastando il divorzio, voleva anche che io scontassi amara-? mente l’oltraggio fattogli; ch’egli in quel giorno ripartirebbe per Londra, dove mi troverebbe senz’altro. Allora essa immediatamente per
1771 mezzo di un qualche suo affidato mi avea segretamente scritto, e spedito l’avviso di quanto seguiva. Il messaggiere, largamente pagato, avea quasi che ammazzato il cavallo venendo a tutt’andare in meno*di du’ore a Londra, e certamente vi giunse forse un’ora prima che non giungesse il marito. Ma per mia somma fortuna, non avendomi più trovato in casa nè il messaggiero, nè il marito, io non fui avvisato di nulla, ed il marito vedendomi uscito,. s’immaginò ed indovinò ch’io fossi al Teatro Italiano; e là, come io narrai, mi trovò. La Fortuna in quest’accidente mi fece due sonimi heneficj; che io non mi fossi slogato il braccio destro in vece del manco; e ch’io non ricevessi - quella lettera dell’amata donna, se non se do po l’incontro. Non so se non avrei in qualche parte forse operato men bene, ove l’una di queste due cose mi fosse accaduta. Ma intanto, partito appena il marito per Londra, per altra via era anche partita la moglie, e venuta direttamente a Londra in casa di quella sua cognata, che non molto lontana abitava dalla casa del suo marito; quivi già avea saputo che il marito meno d’un’ora prima era tornato a casa in un fiacre; dal quale slanciatosi dentro si era chiuso in camera,senza voler nè vedere nè
favellare con chi che si fosse di casa. Onde essa 1771 tenea per fermo ch’egli mi avesse incontrato, ed ucciso. Tutta questa narrazione a pezzi e bocconi mi veniva fatta da lei; interrotta, come si può credere, dall’immensa agitazione dei si diversi affetti che ambedue ci travagliavano. Ma per allora però, il fine di tutto questo schiarimento scioglievasi in una felicità per noi inaspettata e quasi incredibile; poiché, atteso r imminente inevitabil divorzio, io mi trovava nell’impegno (e nuli’altro bramava) di sottentrare ai lacci conjugali ch’ella stava per rompere. Ebro di untai pensiero, quasi non mi ricordava piò punto della mia ferituccia; ma in somma poi, alcune ore dopo, visitatomi il braccio in presenza dell’amata donna, si trovò la pelle scalfitta in lungo, e molto sangue raggrumato nei pieghi della camicia, senz’aitro danno. Medicato il braccio, ebbi la giovenile curiosità di visitare anche la mia spada, e la trovai, dalle gran ribattiture di colpi fatte dall’avversario, ridotta dai due terzi in giò della lama a guisa d’una sega addentellatissima; e la conservai poi quasi trofeo per piò anni in appresso. Separatomi finalmente in quella notte del Majrtedi assai inoltrata dalla mia donna, non volli tornare a casa mia senza
Alfieri, Vita. Vol. I