Questo testo è incompleto.

Egli [il Quadrio] con ammirabile sicurezza, ma senza citarne alcun fondamento, racconta , che la Canzon del Testi, che comincia: Ruscelletto orgoglioso, fu la cagione di sua rovina; perciocché coloro ch’egli avea preteso di tacciare sotto quell’allegorico componimento fattine accorti dagli emoli di esso Conte, per contraccambiarlo palesarono la sua infedeltà al Duca di lui Sovrano. Ciò condusse questo povero Poeta a lasciar la testa sotto il Carnefice, il che accadde privatamente in Rubbiera a’ 28 di Agosto del 1646. Io non credo certo, che il Quadrio, quando così scriveva, sapesse contro chi fosse diretta quella celebre Canzone del Testi, il cui soggetto è stato finora un mistero.


A me è riuscito fortunatamente di scoprirlo nella Poscritta di una lettera del più volte citato Francesco Mantovani al Testi medesimo, a cui scrivendo egli da Roma a’ 28. di Ottobre del 1645. Fu Profezia, dice, non Canzone quella di V. S. Illustrissima, quando sotto nome di Ruscelletto pronosticava a Barberino il fine amaro, che havrebbe la sua gran superbia. Ove riflettasi, che in quell’anno medesimo a’ 27. di Settembre il Card. Antonio Barberini, temendo lo sdegno del Pontefice Innocenzo X., era fuggito segretamente da Roma, ed era ito a ricoverarsi in Francia. Contro questo Cardinale adunque, e non come credesi comunemente contro qualche Ministro del Duca di Modena, fu scritta questa Canzone del Testi, e il vederla diretta al Sig. Conte Raimondo Montecuccoli Maestro di Campo generale del Serenissimo di Modena mi fa conoscere, ch’essa fu scritta nel 1643 in tempo della guerra trai Papalini e i Principi Collegati d’Italia, nella qual occasione il Conte Montecuccoli, che fu poi sì celebre nelle Storie di quel secolo, fu dal Duca Francesco I. suo natural Sovrano richiamato in Italia, e onorato del titolo riferito. Se il Cardinal Barberini, che era allora in gran favore della Corte di Francia, avesse qualche parte nello scoprire i disegni del Testi, che furon l’origine della sua sventura, io non ardirei nè di affermarlo nè di negarlo. Certo ei non potè accusarlo d’infedeltà, di cui il Testi non fu veramente reo; e certo è falsissimo, ch’ei morisse decapitato in Rubbiera, come tra poco vedremo.

Il P. Franchini nelle sue Memorie MSS. degli Scrittori Modenesi si è accostato più al vero che tutti i suddetti Scrittori. Egli racconta, che il Testi, essendo Segretario del Duca, cercò ed ottenne di esser fatto Segretario di Francia in Roma; che di Francia ne fu spedito il Brevetto, il quale insieme col piego delle lettere avrebbe dovuto portarsi, secondo il solito, al Testi, che per ragion del suo impiego soleva aprirle; ma che essendo egli infermo, fu portato al Duca, il quale in tal modo scoperse il disegno del Testi; e sdegnato, che un suo Ministro volesse lasciare il suo servigio per passare a quello d’altra Corona, il fece chiudere nella Fortezza di Modena, donde avendo il Testi cercato poi di fuggire, ed essendo stato perciò rinchiuso più strettamente, oppresso dal dolore cadde infermo e morì.

Nella medesima maniera si racconta il fatto dal Muratori1, se non che egli alla infermità del Testi sostituisce una gita da lui fatta in campagna, e senza parlare del tentativo di fuggire, dice solo ch’ei finì di vivere per malattia, quando il Duca avea già determinato di liberarnelo. Così tutti finor gli Scrittori o ci narran fole sulla disgrazia del Testi, o se danno qualche indicio del vero motivo di essa, ne parlano con poca certezza, e senza recarne alcun fondamento. E nondimeno essi poteano aver tralle mani uno Storico non solo contemporaneo, ma informatissimo delle cose di Modena, amico del Testi, e che qualche parte avea avuta in ciò che fece caderlo in disgrazia al suo Principe. Questi è il celebre Vittorio Siri, che era allora in Venezia, e che aveva frequente carteggio con questa Corte, come ci mostrano molte lettere di nuove, e d’avvisi di colà da lui scritte in quest’anno 1646, le quali si conservano in questo Ducale Archivio. Se si fosse letto il Mercurio di questo Storico si sarebbon veduti i veri motivi della disgrazia del Testi, e si sarebbe conosciuto, ch’ei non fu così reo, come comunemente si crede. Ma quel Mercurio è un magazzino sì disordinato insieme e sì vasto, che non è maraviglia, che pochi abbian coraggio d’ingolfarvisi entro per ricercarvi ciò, che possono ancor dubitare di non trovarvi. Il desiderio di rischiarar questo punto di Storia mi ha fatto soffrir con pazienza la noja di scorrere que’ vasti volumi; e ho avuto finalmente il piacere di veder soddisfatte le mie brame. E maggiore ancora è stato il piacere, che ho provato nel rinvenire altri autentici documenti, co’ quali la narrazione del Siri confermasi viemaggiormente, e in qualche parte ancor si corregge.

Era già qualche tempo che il Duca Francesco I. mal soddisfatto degli Spagnuoli, da’ quali parevagli che non gli fossero attenute le promesse già fatte, pensava di

  1. Antich. Est. T. II. p. 554.
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