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Traduzione dal latino di Mauro Granata (1838)
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PROEMIO
Gli antichi pregevoli manoscritti, che si tengono nella biblioteca a me commessa del Monastero Benedettino-Cassinese di questa, mi ànno dato la bella opportunità di spendere alcun tempo a frugarvi per entro, sperando di potere una qualche opera inedita rinvenire, e poscia farne tesoro per la letteratura. Fra’ medesimi un codice ho letto, che le vite contiene di più uomini illustri dell’antichità, la cui biografia ne lasciò scritta Plutarco; e queste sono nella maggior parte dall’originale greco per vari autori volte in latina Tale è la vita di Dione, e di Marco Marcello tradotta per Guarini Veronese; quella di Camillo per Antonio Tudertino; quella di Senofonte, e di Pericle per Lapo, dedicata al chiarissimo Giovanni Vitellino Patriarca di Alessandria, e Arcivescovo di Firenze; tale è la vita di Catone per Francesco Barbaro, ed altre similmente.
E sebbene vi si contenga tutta di nuovo compilata la biografia di Marco Tullio Cicerone per Lionardo Aretino, e di Virgilio Marone per Donato Grammatico; pure le vite, che più anno richiamato mia attenzione, son quelle di Dante, di Petrarca, di Boccaccio nel suddetto codice comprese, e scritte da Giannozzo Manetti.
Il Manetti nacque in Firenze nel 1396, e morì in Napoli nel i45g. Egli venne in conto de’ più dotti del suo secolo, che molto per le sue opere si distinse; ed il Tiraboschi in una delie note a la vita di Dante lo ricorda come scrittor degno di molta fede. Il suo merito letterario vien contestato da Apostolo Zeno, dal Muratori, dal Cortese, e da altri, che lo vantano come autore di opere, e storie diverse, ed espertissimo conoscitore del latino, del greco, dell’ebraico idioma. Mosso dunque sì dalla rinomanza di questo scrittore, che dal vivo desiderio di rendere sempre più chiaro, ed illustre il nome dell’altissimo poeta, che primo siede sul Parnasso Italiano, e ogni altro: vantaggia in sapere, e leggiadria, mi sono adoperato ad interpretare, e volgarizzare la vita di Dante; non già perchè sia inedita, o chè ne manchino altri biografi, essendovi molti, che ne scrissero, come il Boccaccio, il Villani, il Bruni, il Filetta, ed altri del secolo XIV e XV; ma per le varianti, le quali in questo codice possono trovarsi; e per illustrare maggiormente lo storico racconto della vita di quel Sommo, mica non alterato, e fedelmente per me tradotta
Inoltre a questo lavoro mi sono accinto, per far chiaro serbarsi nelle nostre biblioteche manuscritti preziosi, qual’è questo, che la vita di Dante comprende, conformemente scritta ne’ principali aneddoti a ciò, che altri famosi storici mandarono a la memoria dei posteri, e scevera di quelle lunghe disacconce digressioni fatte da taluni de’ succennati biografi del nostro poeta. So bene, che di un consimile manoscritto trovatosi nella biblioteca Laurenziana, fecesi dal de-Meo la pubblicazione nel 1747; ma le varianti, che, siccome ho detto, potranno aversi, e la nuova italiana versione di biografici riscontri, e brevi annotazioni corredata, mi ànno inspirato dolce lusinga, che potesse gradevole a’ saputi cotal mio studio riescire. Nè mal mi apposi in questo divisamento; poichè come prima si ebbe conosciuta una parte del mio lavoro, inserta nel Giornale scientifico letterario per la Sicilia, dai più buoni cultori delle amene lettere, ei fecero buon viso, e vennero meco in sulle parole cortesi d’incoraggiamento, esternandomi sentimenti più forti, che una semplice approvazione. Onde di buon grado diedi opera a traslatare le altre due vite, quella cioè del Petrarca, e del Boccaccio; che assai mi cale ancor di nuova luce si accresca la memoria di sì valorosi padri della moderna letteratura. E quando tanto che il voglia, io per me non riesca a poterli gloriare, mi tornerà sempre ad onore il volerlo, e lo adoperarmene in parte; sendo che mi muove a un tanto laudevole desío ragion di riverenza, e gratitudine verso loro, che pur cospirarono a gloriosa fama de la nostra Sicilia. Perciocchè fu l’Alighieri il primo, seguito dal Petrarca, e da tutti quei, i quali ardentemente zelano per l’onor dell’Italia, che nel sno libro della volgare Eloquenza a noi Sicoli riferì l’epoca felice della fondazione del cortigiano volgare, ossia sermone italico, che nella nostra terra, pria che altrove, per la maestà di Federigo, e Manfredi, Principi d’alto cuore, e per l’opera de’ poeti prese in certo mode forza, gentilezza, armonia.
Oltre alle cose già dette, èvvi nell’antica scrittura, che ora per me viensi a pubblicare, un cenno critico sul merito di ciascheduno dei tre sommi nostri poeti. Il Manetti nel tramandare a la posterità le più veridiche contezze dei costumi, delle opere, della vita di quest’illustri Italiani, volle benanche lasciarne profferito suo particolare giudizio, vicendevolmente comparandoli fra loro. In guisa che a molto senno ei dimostra, essere l’Alighieri agli altri due preferibile per virtù cittadine, e per altezza di sapere: andar Petrarca al di sopra di lui nella perizia delle latine lettere, e della storia: rimaner superiore e all’uno, e all’altro il Boccaccio nella conoscenza del greco soltanto, e nella toscana prosa. Siffatto parere del Manetti ho riportato in fine del presente libro, e l’ò del pari in volgare ridotto.
All’ultimo mi corre debito di venire brevemente sponendo i distintivi del nostro Codice. È desso un volume in foglio con indice brevissimo, e senza numeri: la carta è doppia: i caratteri vari secondo le diverse vite, cioè ànno talvolta del semi-gotico, talvolta del latino tondo, e di questa specie sono le tre, onde parliamo. Frequentissime sono, e difficili le abbreviature: spesso si veggono due punti, senza che ne faccia mestieri nel corso de’ periodi, e non mai alcuna virgola, nè verun dittongo: i tratti di unione di una linea con l’altra, che segue, o retti, o trasversali; e di rado le linee vengono ugualmente terminate. Le lettere per lo più piccole ad ogni cominciamento di periodo; e nelle divisioni dei paragrafi, che pur sono rare, le iniziali veggonsi assai discoste dal rimanente delle parole. Tutte queste cose, e massime la brachigrafìa nel manuscritto di sovente usata, fanno rilevare, essere della stessa epoca del Manetti, o di poco appresso, sul declinare del secolo XV. Certo si è, che in fine di esso ms: leggesi, essere stato posseduto dai nostri Benedettini nel 1601. Il nome dell’amanuense non vi sta scritto. Ed io non posso in conto alcuno dissimulare, trovarvisi spesse scorrezioni, corse, siccome opino, per negligenza del copista, cioè parole addoppiate, alcune omesse, ed altre fuor di dubbio errate; onde ò stimato pregio dell’opera, queste mende correggere, e in fine di ciascuna delle Vite notarle. Gli errori di latina ortografia vedransi come si ànno nel testo; chè non curai torli, per dare a vedere tal qual’è il vetusto manoscritto.
In quanto a la versione ò dovuto talvolta con la cura, che ò potuto maggiore, attenermi al senso delle parole, e non a le parole. Conciossiachè sogliono di leggieri condonarsi al traduttore le metamorfosi, al dir di un moderno retore, purché egli conservi al pensiero il medesimo corpo, e la medesima vita. Così non ho servilmente tradotto, nè messo in dimenticanza lo avviso di Fiacco, che scrivea a’ Pisoni: Nec verbum verbo curabis recidere fidus.....Interpres. Mi lusingo del pari, non aver dato in fallo nel determinare la relazione di alcuna delle latine espressioni; il che, se fosse accaduto, potrebbesi, non a torto escusare per la deficienza, che àvvi nel manoscritto, di quasi tutti i segni ortografici. Certo che con maggior sicuranza sarei andato, e men di fatica, se avessi potuto riscontrare lo stesso ms: pubblicato dal de-Meo; ne avrei tutte le diversità nella leggenda rilevato, non che gli errori più spacciatamente corretto. Ma che fare? se molto di quel che abbisogna, non trovasi in queste nostre monche biblioteche? Altri potrà assumerne l’impegno; ed io gliene saprei grado, se rendessemi avvertitoci quanto per me stesso non mi è venuto fatto rinvenire. Ti prego in fine, amico lettore, che mi sii largo di cortesia, e compatimento.