Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870)

VITA DI DOMENICO CIRILLO


scritta


DA MARIANO D’ATALA




(Vedi fascicolo precedente a pag. 107).



I Francesi mal giudicando degl’Italiani di Napoli, poichè malamente ordinati e comandati dall’austriaco Mack, ebbero a incontrare una resistenza nel popolo, che non potevano ne sapevano immaginare; non ostante che fossero aiutati potentemente dalla parte eletta della gioventù, e da’ giovani massimamente dell’ospedale degl’Incurabili, in mezzo a’ quali era viva la voce del maestro a conforto della dignità umana e anche quella del Pagano; talmentechè la plebe sfrenata corse a fare un primo saccheggio e una prima distruzione alla casa del Cirillo. Poi fra i decreti del governo dell’ospedale dopo l’entrata del cardinale Ruffo fu quello del 7 di luglio 1799 col quale si scioglieva appunto il collegio medico con parole faziose dettate da Ippolito Porcinari e dal duca di Terranova, siccome governatori. E ne’ giorni de’ tumulti, molti cittadini, fra’ quali il Cirillo, l’Albanese, il Rotondo, il marchese Michelangelo Lagreca si raccolsero nella villa de’ Fasulo sopra i così detti Pirozzoli a Capodimonte, per convenire del come frenare quelle orde fameliche e sanguinarie, capitanate da quel certo Bruno soprannominato il Cristallaro, e impossessarsi delle castella, massime di Castel Sant’Elmo.

Appena gridata la repubblica, fra’ pochi che avevano a rappresentare la nazione fu chiamato Domenico Cirillo.

Il quale per questa nobiltà di popolo non volle saperne sulle prime, e diede la rinuncia, forse sdegnato anche degli atti imperativi del conquistatore forestiero: in sua vece fu posto il Logoteta, siccome leggevasi nel primo numero del Monitore della Repubblica del 2 di febbraio 1799, che fu per l’appunto il numero primo del giornale diretto e compilato dalla celebre Eleonora Fonseca Pimentel, sublime donna, amica degnissima del Cirillo.

Ma dopo alcun tempo, ne’ bisogni maggiori, quando si seppe che il Direttorio di Francia negava il formalo riconoscimento e la lega, ei fu chiamato dalla voce pubblica e da’ privati comizi cittadini a sedere nella Rappresentanza. Nè si negò, per il suo coraggio civile, e anche perchè il nuovo commessario francese, sostituito al Faypoult, parvegli probo, amante di libertà, dotto delle ragioni de’popoli.

Al 15 di febbraio accettò la nomina di socio dell’Istituto nazionale che facevasi succedere all’antica Accademia di fisica, chimica e storia naturale, insieme col Laubert.

Mi figuro qual dolore avesse egli patito nel vedere il villaggio Nevano del suo paese natio ribellarsi, e cedere alle mene de’ nemici della libertà. Vi fu mandato il commessario di campagna Lelio Parisi, cui fu segretario il cittadino Michelangelo Novi di Grumo.

«Con onore e sorprendimento, dicevasi ai cittadini del Comune, ha preinteso questo tribunale che cedendo alle inique e vane voci de’ nemici della vostra tranquillità, abbiate sconosciuta la potestà costituita, con toglier l’albero della libertà e prender le armi contro la repubblica, commettendo delle rapine, saccheggi ed altri esecrabili eccessi».

Di quei giorni sostenne e pubblicò con generoso intendimento il suo «Progetto di carità cittadina». Ne scrisse il Cantù nel suo libro pubblicato in Napoli nel 1864:

«Il medico Cirillo, uno de’ pochissimi che nelle rivoluzioni mirano solo al pubblico bene, idea manifestata egregiamente dal Cuoco, suggerì una casa di soccorso, nella quale versò quanto avea guadagnato nel lungo esercizio».

Fu grande incitamento a tutte le persone più virtuose, e in ogni quartiere si scelsero un cittadino e una donna, che godessero di stima pubblica e col nome onorevole di padri e madri de’ poveri e della patria andassero accattando per le case.

Il commessario francese Abrial, dice il Botta, creò un Direttorio, imitazione servile, ma ciò che l’ordine aveva in sè di cattivo, correggeva con le persone, uomini tutti migliori de’ tempi e di non ordinarie virtù.

E davvero il Cirillo fu superiore a’ tempi, sì per dottrina e sì per probità; talmentechè i suoi colleghi, i quali lo tenevano in tanto pregio, lo vollero presidente della Giunta legislativa.

Fu assai notevole la sua risposta all’Abrial nell’accettare il grave officio, riportata anche dal Colletta:

«È grande il pericolo, e più grande l’onore: io dedico alla repubblica i miei scarsi talenti, la mia scarsa fortuna, tutta la vita».

Ei fu l’ultimo presidente della repubblica, e col suo nome, a cui sottoscrisse il Segretario Di Tommaso, si pubblicarono varie leggi: «Su’ commissari del governo, a dì 21 di maggio; Su gli emigrati, del 28 di maggio; Su la sospensione dell’articolo VI della legge su’ tribunali per le 24 ore di arresto che si concedevano soltanto; Su la divisione de’ beni degl’insorti a favore dei danneggiati, del 29 di maggio; Su gli attentati, del 3 di giugno; Su la giunta rivoluzionaria, del 4».

La quale giunta fu preseduta da Domenico Pagano Vellone e composta di Rocco Lentini, Timoleone Bianchi, di Montrone, Francesco Rossi e Giambattista Manthonè. «E finalmente pubblicò l’altra legge per l’abolizione del dazio sul pesce in data del 10 giugno».

Suo fu l’indirizzo al popolo stampato il 21 di maggio. E per tradizione si narra, che mai disperando in quei giorni di gravissime apprensioni, egli col berrettino in testa dicesse al popolo, che si raccoglieva intorno alla sua casa in Pontenuovo, guardando a sinistra verso la marina: Mo viene la Gallo-ispana.

Non era poco animo il suo nel fidare in aiuti forestieri; era contrapporre ai soccorsi che gl’Inglesi insieme co’ Moscoviti e co’ camiciotti davano al Borbone e alla Santa Fede, quelli che doveano darsi alla libertà e alla repubblica, cui i Francesi medesimi avevano meglio sospinto.

La repubblica cadde, ma non cadde l’animo di Cirillo: si rinchiuse con gli altri amici politici in Castel Nuovo, e quindi, sotto la fede de’ trattati sottoscritli dal capitano inglese, fu condotto sopra una delle navi pronte a far vela per Tolone.

Ma il dì 28 di giugno alle sette del mattino lo passarono sul vascello inglese, dove si leggevano le sentenze, e il giorno dopo per l’appunto fu incominciata la strage con la morte dell’ammiraglio Caracciolo strangolato sull’antenna della vicina fregata Minerva, da lui medesimo per tanto tempo comandata con gloria.

Tutta la notte stette insieme col presidente della commissione esecutiva Ercole d’Agnese, co’ generali Manthonè, Massa e Bassetti, co’ cittadini Borgia e Piatti. Di là fu menato in Castel Nuovo, e propriamente nella fossa del Coccodrillo: ve n’erano altri diciotto, fra’ quali Pagano, Albanese, Logoteta, Baffi e Rotondo, oltre a quei due che non saprei chiamare che co’ nomi di disgraziati, poiché pensarono salvarsi, palesando al comandante vilissimo Duecce il disegno che avevano i prigionieri, di segare i cancelli con gli strumenti portati ai condannati dalla generosa donna Carmela Chiarizia, e calar giù alla marina. Aumentarono allora i rigori e le sevizie; sicché il Cirillo e i compagni furon divisi, portando lui su al castello Sant’Elmo. Ed allora, ai 3 di agosto, insieme con Pagano, secondo il cronista Marinelli, inedito nella biblioteca nazionale, Cirillo fu trascinato nelle segrete della Vicaria, dov’ebbe a presentarsi innanzi ai suoi carnefici.

Dice il Colletta, e forse fu tradizione de’ contemporanei, che «Domenico Cirillo domandato dell’età, rispose: sessant’anni; della condizione: medico sotto il principato, rappresentante del popolo sotto la repubblica. Di qual vanto il giudice Speciale (siciliano) dileggiandolo, disse: E che sei in mia presenza? In tua presenza, codardo, sono un eroe» E il Vannucci soggiunge quest’altra risposta: «Ho capitolato con le prime potenze d’Europa; se il diritto delle genti è rispettato, nulla v’è da rispondere, e voi non dovete far altroché eseguire il trattato; ma se si vuole violare i primi doveri della società, i miei carnefici possono condurmi al supplizio, che non ho nulla da rispondere».

Condannato sul capo, e consigliato da Hamilton e Nelson a cercar grazia, che di certo, secondo dicevano essi, avrebbe ottenuta, sdegnosamente tacque, facendo anche intravedere che allora avrebbe potuto accettarla, quando si fosse estesa a tutti i suoi compagni di causa. Ma egli amava morire; aveva perduto ogni maniera di consolazioni; e nel saccheggio s’eran presi quanto aveva di prezioso, anche il carteggio di Newton con suo zio Niccola, poiché quegli ch’era presidente della Società reale scriveva spesso a lui, diventato socio nell’anno 1718, per avere le osservazioni meteorologiche di Napoli e molte note di fisica e di altre scienze naturali. Nelle prigioni rimpiangeva i suoi scritti, fra’ quali i volumi preziosissimi de’ due erbarii innanzi citati; ed io seppi che il Cirilliano fu acquistato verso l’anno 1825 da un ufficiale inglese per ducati trentotto, per via di quel rivendugliolo di libri in piazza Trinità Maggiore sotto l’aguglia, per nome Pasquale, antico venditore di acqua ghiacciata. Ma questi morì, né il Vittorio, antico libraio o bibliografo, me ne seppe dir nulla. È falso, falsissimo poi ciò che riferiscono alcuni scrittori, della perdita di una nipote, giovinetta di bellissime forme e castissima, rapitagli brutalmente e scandalosamente. Ma già avanti io dissi che il solo Niccola Cirillo sposò ed ebbe figlie, Vittoria, Francesca e Maria Antonia, le quali nacquero dopo o eran bambine; ed oggi non è altra discendente ed erede che la figliuola dell’ultima nipote di lui, sposata in Niscia, la quale si maritò in Bartolomucci, figliuolo al segretario del Peccheneda, fratello a quell’ispettore di pubblica sicurezza tolto da Garibaldi per omaggio alla pubblica opinione.

Ed è loro proprietà il solo primo piano del palazzo Cirillo, dov’è lo stemma della testuggine col motto ΟΙΚΟΣ ΑΡΙΣΤΟΣ.

Pure io vidi il suggello delle due lettere del Cirillo, che si conserva pulitamente in ceralacca, ed è un cuore con fiamma, tutt’altro che testuggine.

E dura ancora la tradizione, massime nella famiglia de’ giardinieri di quei luoghi, avendo io medesimo voluto parlare col vecchio Giosuè de’ Parisi, che nell’orto eranvi moltissime piante per uso del popolo, sanatrici delle piaghe. E vedevasi su la fontana, giù in fondo nella nicchia, una statua di Linneo, barbaramente distrutta quando già era proprietà di Vincenzo Graziano, il quale non ostante la pace di Firenze, comprò all’asta pubblica, per diecimila e un ducato tutto l’altro stabile.

Pur tuttavolta il cronista de’ condannati, persona un po’ di parte avversa, lasciò, scritto che del palazzo Cirillo prendesse possesso uno delle masnade, ed io ne riporto qui fedelmente le parole:

«Don Domenico Cirillo di Grumo, medico accreditato, di anni 60. Stava preso sopra il castello di Sant’Erasmo, calò un giorno prima della giustizia al castello del Carmine, disse al Padre assistente che in tutto il tempo del suo arresto era stato ben trattato, e si vedeva , mentre era ben nutrito, e ogni mattina aveva un abbondante ed esquisito pranzo, per più di sei persone, senza mai aver potuto sapere chi gliel’avesse mandato.

«Si mostrò docile al Padre assistente, dicendo che si fosse figurato, lui essere una cera, onde quello che avrebbe detto, egli era prontissimo a fare. Si dispose a ben morire con buoni sentimenti e con coraggio. Prima di andare al patibolo volle farsi la barba e vestirsi pulitamente con scarpe nuove, calze di Francia ed abito di colore oscuro; ed in testa si pose un berrettino bianco con una gran fettuccia, ma stretto stretto, per paura che il boia nel gettarlo, il berrettino non cadesse, e restasse scoverto col capo. Andò raccolto e modesto, confessando il gran male fatto ed i molti iniqui attentati. Il suo bel palazzo sito a Pontenuovo, saccheggiato già prima dagl’insurgenti e calabresi, è stato dato in dono a Don Scipione Lamarra castellano del Carmine, per i suoi gran servigi e meriti».

E un altro storico intemerato lo narra in certe note a penna, Michele Torcia, il cui autografo si conserva nella casa del pronipote Vernau colonnello dello stato maggiore italiano.

Nè potrò averne dubbio, quando io medesimo ho letto la insolenza de’ decreti del 3 e 30 di agosto 1799 e dell’8 ottobre co’ quali il re concedeva tre provvisioni di mille ducati, all’anno su’ beni di Casteldelmonte, appartenenti ad Ettore Carafa, al signor Giambattista De Cesare fatto anche generale e barone; sul principato di Strongoli di Ferdinando Pignatelli al famigerato brigante Niccola Gualtieri, cui si dava il grado di maggiore; ed al capitano Alessandro Schipani e suoi discendenti sopra i beni dell’ammiraglio Caracciolo. Aggiungete la pensione di 2500 ducati all’anno in favore del brigadiere Don Giovanni Salomone e suoi legittimi eredi; e di 1200 al tenente colonnello Leone di Toro co’ decreti del 2 e del 9 novembre; e le altre minori a Paolo Espero agente in Viterbo; a Niccola Lamanna in data del primo febbraio 1800; a Tommaso Guarracino, Luigi Colabattista, Luigi Vallesa e Rocco Capazio in data del 26 e 28 di febbraio; e sino a quel Luigi Brandi popolano, cui fu dato il grado di capitano: pure la repubblica ne aveva rispettata la vita non ostante la sua resistenza sopra il Castello di Sant’Elmo. E un decreto della Carolina Borbone donava un quartiere della casa Cammarota, posta dietro la chiesa di Moutecalvario, a Gaetano Infante, altra birba.

Le afflitte donne del Cirillo, la mamma e la sorella, uscendo pel giardino ripararono prima in casa Bausi lì presso, poi nel borgo Sant’Antonio non lontano, forse in casa dell’egregio giovane artista e poi colonnello Calcedonio Casella, per prendere a nolo delle vesti, poichè erano state spogliate di tutto; e la piangente vecchia rimase così sbigottita degli avvenimenti, che dopo alcuni mesi morì, ignorando la sorte funesta del figlio, sì che nel testamento lo lasciò erede principale di un vasto podere nella terra di Arzano, poi venduto per strettezze a un tale Mezzanotte.

E a tanta empietà si giunse che vennero confiscati gli onorari di cui Cirillo era creditore1, cioè ducati 410 per l’annata che avanzava dalle monache di Santa Patrizia , ducati 80 per due annate dalle monache di San Gregorio Armeno e ducati 50 per l’onorario di un anno dal monastero di Santa Maddalena maggiore; lasciando forse in pace la gente patrizia di Santa Chiara.

Nè credo che vi fossero ragioni vere per pagare ducati 50 a Vincenzo Gatti e a Serafino de Felice per pitture ed altri lavori fatti nel palazzo a Pontenuovo, e altri ducati 29 e 15 a’ due dottori Bartolo Raiola e Felice Santoro che denunziarono, pare, le robe del Cirillo.

Nel giorno infausto del 29 di ottobre 1799 Domenico Cirillo morì glorioso sulle forche, e il carnefice di Montefusco Tommaso delle Vicinanze, lo fece anche crudelmente stentare a morire.

«La plebe spettatrice, come disse il Colletta, fu muta e rispettosa».


Ma questa plebe riverente, non fu punto mite e rispettosa nel devastare, distruggere e portar via sin anche i ferri delle scale di casa Cirillo; schiantando per rabbia tutte le piante che avea fatto venire di lontano, e saccheggiando in particolar modo il quartiere al secondo piano, dov’era lo studio dell’illustre maestro.

Si disse, per scemare la vergogna e il delitto dei Borboni, che se non fosse stato sollecito il morir di Cirillo, gli avrebbero fatto grazia; ma quella voce menzognera e servile non poteva avere nè durata nè credito; poichè c’era stato pur da pensare, e da pensare assai, insino ai 29 di ottobre.

Domenico Cirillo, come giustamente e tutti ripeterono, fu uno di quei nobili cittadini, pochissimi in ogni tempo, pochi in ogni luogo, che in mezzo ad una rivoluzione non cercano e non promuovono che il pubblico bene. Ei si segnalò per le immense doti dell’animo accompagnate dall’aspetto esteriore, sempre composto e azzimato. La civiltà del paese, e i tempi in cui visse, non erano fatti per lui, che sentiva tanto amore e sì puro per l’umanità e la sapienza: parve un Catone in mezzo alla feccia di Romolo.

Di statura giusta e svelto, avea i lineamenti regolari, e uno sguardo vivacissimo; nell’arte medica nessuno o pochi lo uguagliarono.

Il Cuoco lasciò scritto di lui: «La medicina formava la minor parte delle sue cognizioni; le sue cognizioni formavano la minor parte del suo merito». E il Lomonaco scrisse: «Egli non sapendo nè elevarsi nè abbassarsi dal suo livello, verificava la massima che i grandi cessano di esserlo quando non si sta ginocchioni innanzi a loro».

Nel Monitore francese del 17 frimario l’anno viii il cittadino Trouvè diceva «je fus l’ami du docteur Cyrillo, je pus apprecier son âme. C’est sa pitié filiale qui l’y retenait enchainé»2.

Pure, frugando sempre, mi venne fatto rinvenire fra i fratelli sacerdoti della giustizia, un diario compilato dal padre Castellamonte di Torino, il quale osava eruttare , senza serenità cristiana e sacerdotale, parole e note faziose, e fra le altro queste: Il famoso medico patriotta ostinatissimo.

Né il governo si contentò della morte: sequestrò e confiscò il secondo piano del palazzo e anche quattro stanze terrene, tre a sinistra dell’uscio di via ed una nel vicolo del teatro San Ferdinando; nè so come negli atti della confisca distesi dall’Olaj non si parlasse nè dell’orto botanico né del primo piano, dove erano altre due ampie sale, in cui il celebre uomo dettava le sue lezioni agli amorosi scolari3.

Nell’apoteosi che si voleva fare a quei grandi martiri della libertà, il Cirillo meritò il nome di Esculapio coll’epigrafe di Virgilio: .... Fleverunt saxa licei. Ed erano scorsi quasi venti anni quando nel 1818 Michele Tenore nella sua orazione inaugurale non potè, io credo, far punto menzione di Domenico Cirillo, tanto fu sempre il fare partigiano; e pure vi furono rammentati il Pinelli antichissimo, l’Imperato e il Maranta.

Ma dopo trentasei anni, quando pareva che Ferdinando II non si sdegnasse della memoria degli uomini politici, il professore Giuseppe Antonucci volle erigere a sue spese nella sala della clinica un monumento alla gloria di sette illustri professori che lo avevano preceduto, e vi inaugurò con solenne pompa i ritratti di Serao, Cotugno, Dolce, Cirillo, Giannelli, Villari e Sementini.

«Queste mute immagini, diceva il professore Benenedetto Vulpes, leggendo il discorso inaugurale nel novembre del 1835, ricordano. ... in Domenico Cirillo il medico forte che, con vigore e disinteresse, autorevolmente introduce nuovi metodi di curare e nuovi rimedi»4.

Questi ritratti e i manoscritti salvati, benchè pochissimi, e le ricordanze dimostrano evidentemente quale e quanto amore il Cirillo sapesse specialmente inspirare ne’ suoi discepoli, fra’ quali non furon pochi quelli che lo continuarono a venerare anche dopo morte e in mezzo ai pericoli, come il Ricca, il De Renzi, il Mauri, il Carusi, il Mancini, Giuseppe Antonio Ruffa di Ricadi nelle Calabrie, e molti altri.

Dopo sessant’anni sorgeva senza timori e pericoli un busto scolpito da giovane scultore, collocato con altri tredici grandi cittadini ne’ portici della università, San Tommaso, Telesio, Campanella, Giannone, Gravina e Vico degli antichi, poi Caracciolo, Manthonè, Pagano, Massa, Conforti e la Eleonora Fonseca Pimentel.

Il ministro Giuseppe Natoli con civil sapienza dava il nome di convitto Cirillo al liceo di Bari nell’anno 1865, e un convitto Cirillo fu dalla città di Napoli aggiunto ad uno de’suoi licei, chiamando l’altro col nome di Giannone.


Poi il municipio di Grumo Nevano nell’aprile del 1868 innalzò nella piazza accanto al quartiere della guardia nazionale un piccolo monumento, per iniziativa dell’egregio cittadino Salvadore Pacilio, composto di un basamento di travertino e di un piedistallo di marmo, su cui sta un busto di Domenico Cirillo, opera dei giovane scultore Niccola Avellino5.

Un terzo busto fu collocato nell’anno 1869 nell’orto botanico in fondo al ridente viale delie magnolie, avanti l’agave sempiterna, senz’altro che il nome.

Gran danno che gli artisti non abbian visto il magnifico ritratto che fece del Cirillo la bella e celebre Angelica Kauffmann, innamorata per lo meno dell’ingegno e delle virtù di lui, fortunatamente salvato, non so ancora il come, dalle devastazioni dell’incendio e del saccheggio.

Nella vita di un grand’uomo è immancabile, massime dopo della morte e degli anni, la parte di leggenda, che spesso è realtà; ed io che sono stato più e più volte in mezzo al minuto popolo di Grumo e di Fratta maggiore, come nell’ultimo anniversario del 29 di ottobre 1869,

dalla bocca di anziani, di vecchiarelle e anche di giovani raccolsi mille tradizioni, contentandomi raccontare ciò che intesi nella casa de’ figli del figlio di mastro Matteo Lanzilli di Fratta, che fu l’agente, e possiam dire l’amico di Domenico Cirillo, il quale su la buona fede gli aveva affidata tutta la sua amministrazione suburbana.

Raccontano che visitasse il parroco Siesti di Grumo che mandava catinelle di sangue: lo fissò, e senza scomporsi, nè spericolante, gli disse: Prendete dieci acini d’ipecacuana, e sarete salvo. Si guardarono in viso quei della famiglia, e pure obbedirono. Non passò il giorno dipoi, e l’ammalato fu sano.

La regina di Napoli, soggiungeva la vecchia madre del prete Matteo Lanzilli juniore, fu creduta idropica: il Cirillo, col suo cappello in testa e la sua mazza, senza i complimenti e quasi la tremerella di corte, la interrogò, le si sedette in contro, la vide, e subitamente disse: Rallegratevi; è un principe che darete alla luce.

Un terzo mi discorreva fin di una scommessa fatta a Parigi con altro medico su la efficacia di un antidoto; sicchè ebbe l’audacia di avvelenarsi e poi di neutralizzare e vincere il veleno.

E varie tradizioni raccattai in casa del medico Peretta che fu discepolo del Ricca, dov’erano molti scritti a penna e un altro gran ritratto del Cirillo; ma per le solite minaccie di ricerche fatte dal capo degli urbani certo Vincenzo Cimino, fu bruciata e distrutta ogni cosa. Giunse a tanto, ripetono ancor molti, la valentia del Cirillo nel fare, a prima vista, la diagnosi del morbo, che negl’Incurabili, veduto un infermo pallido e smunto, senza tastargli il polso, gli prescrisse brodo di pollo e vino: era fame di tre giorni: e guardandone un altro, cui il chirurgo voleva incidere un bubbone; no, disse, è ernia, non altro.

Nè più la finirei, se tutte volessi narrare le meraviglie che dopo settantanni si narrano ancora di quest’uomo che fu e sarà sempre una gloria dell’Italia6.






APPENDICE





Opere di Domenico Cirillo
.



1. Ad botanicas institutiones introductio. Neapoli 1766.

Un’altra edizione fu fatta nel 1771: i bibliografi riportarono malamente la data del 1770.

Non ne ho visto che un solo esemplare nella Biblioteca dell’Università: non essendovi in nessun’altra biblioteca di Napoli e di Firenze.


2. Lettera (in inglese) a William Watson F. R. S. sulla manna di Calabria e sulla tarantola. Londra 4 febbraio 1770

Fu letta dal Cirillo medesimo nella tornata del 26 di aprile, ed inserita nell’opera periodica intitolata: «Philosophical transactions giving some account of the present undertakings studies and labours of the ingenious in many considerable parties of the world. Vol. IX for year 1770. London 1771 in 8vo grande, dalla pagina 233 a 239. Vol. LV, dalla pag. 216 a 270.


3. Formulae medicamentorum ex pharmacopra londinensi excerptae, in 8vo.

Quantunque non fossevi né anno né luogo, so di certo che fu stampata in Napoli nel 1774 per le critiche che ne riportò; ed egli distrusse tutta questa edizione per pubblicarne migliorata la seconda nel 1791, e ne ho visto anche una del 1796 ma col titolo: Formulae medicamentorum usitatiores editio altera.


4. Nosologiae motodicae rudimenta. Neapoli 1780. Ne fu fatta una versione italiana nell’anno 1827 con note. Classe I, Ordine I. -Febbri, fascicolo primo.


5. Oratio pro triennali studiorum instauratione. Neapoli 1780.


6. Avviso al pubblico intorno alla maniera di adoperare l’unguento di sublimato nelle malattie veneree. Napoli 1780.


7. Istruzioni al pubblico sul contagio della tisichezza. Napoli 1782.
Furon compilate insieme con altri medici famosi, Vairo, Dolce, Cotugno, Roberti e Pollio.


8. Osservazioni pratiche intorno alla lue venerea. Napoli 1783.

Fu dedicata alla spettabilissima Società letteraria italiana, in data 10 di ottobre. Non ho visto l’altra del 1786. Nel 18OO Luca Maretta ne fece a sue spese una ristampa che chiamò ultima edizione correttissima, di pagine 288 in 8vo.

La tradusse in tedesco con note e aggiunte S. G. Daehne. Lipsia 1790, in 8vo.

Fu tradotta dall’Auber: «Traité complet et observations pratiques sur les maladies vénériennes ou nouvelle méthode de guerir radicalement la siphilide la plus inveterée par le docteur Dominique Cirillo, premier medecin de S. M. le Roi de Naples, membre de plusieurs academies. Paris, an. XI».


9. De essentialibus nonnullurum piantarum characteribus commentarius. Neapoli 1784.
Nè questa nè la seguente sono nella Biblioteca Nazionale di Napoli.


10. Riflessioni intorno alla qualità delle acque adoperate per la concia dei cuoi. Napoli 1784. Una ristampa con leggerissime mutazioni fu fatta nel 1786, di pagine 80, sempre con la data del 13 settembre 1784.


11. Fundementa botanica sive philosophiae botanioao explicatio. Neapoli 1785 parte prima. La parte seconda, contenente la materia medica del regno vegetale, si pubblicò nel 1792.


12. Le virtù morali dell’Asino, (discorso accademico del sig. N. N. Nizza 1786. È data falsa di Napoli


13. La prigione e l’ospedale, discorsi accademici del sig. D C. Nizza 1787.
Sono il sesto e il settimo discorso di quella raccolta pubblicata nel 1780.


14. Entomologiae neapolitanae specimen primum. Neapoli, 1788
Vi sono 12 tavole maravigliosamente disegnate dall’autore.


15. Piantarum rariorum Regni Neapoletani fasciculus primus cum tabulis. Neapoli 1782, fasciculus secundus. Neapoli, 1792.
Lasciò anche il terzo, smarrito, il quale era sub praelo nel 1792, com’egli dice. Ne manca la biblioteca nazionale.


16. Discorsi accademici. Napoli 1789.
Ne fu fatta un’edizione seconda nel 1799.


17. Tabulae bolanicae elementares quatuor priores sive icones parlinm quae in fundamentis botanicis discribuntur.

Un manifesto del 1792 dice: Aliquae diverso tempore lucem videbunt


18. Materia medica regni mineralis. Neapoli 1792
All’ultima pagina vi è un annunzio in francese, e l’elenco delle opere del Cirillo pubblicate o sotto il torchio.


19. Caroli Linnaei claris universae medicinae cura Cyrilli Neapoli. 1793.


Non l’ho mai vi la: alcuni portano la edizione del 1787 in 8vo. La Nazionale non l’ha.
20. Metodo di amministraro le polveri antifebbrili, del dottor James, esposto da Domenico Cirillo. Napoli 1794 - Altra edizioni del 1709.


21. Cyperus papirus. Parniao 1796 in fol. in aedibus palatinis typis Bodonianis, cum tabulis duobus. Parmae 1796.


22. Prefazione al discorso sopra l’allattamento dei bambini di Antonio Fantini M. D. Napoli 179G, seconda edizione.


23. Tractatus de pulsibus. Neapoli 1802. Opera postuma, tradotto nel 1823 da Giuseppe de Nobili e da Bartolommeo Villani, e nel 1859 da Antonio Durante.


24. Materia medica regni animalis. Neapoli 1861, opera pubblicata per cura del professore in Salerno Giuseppe Carusi.


23. Osservazioni all’opera di Linneo, Genera plantarum. Ulma 1761.
Ho trovato in casa Ricca il libro del Linneo rilegato con molte carte bianche, e con le note alle pagine seguenti: 12, 17, 30, 33, 38, 52, 80, 86, 88, 119, 120, 163, 167, 200, 226, 231, 233, 278, 298, 304, 323, 350, 414, 503, 541, 571.
Ed a pag. 242 leggesi una postilla scritta da alieno carattere.


26. Analisi dell’acqua d’Ischia chiamata d’Orgitello.


27. Osservazioni cliniche volumi 3. Due volumi nella nazionale, l’altro dal Minieri.


Biografie.


1. Domenico Martuscelli nel volume II delle Biografie degli uomini illustri del regno di Napoli, Napoli 4814.


2. Salvatore de Renzi. Nel volume V della Storia della medicina in Italia.
3. Vincenzo de Ritis. Negli Annali civili.




  1. Negli Archivi nazionali si conserva un volume intitolato:
    «Conto di me sottoscritto D. Carlo Bianco, regio tesoriere, destinato da S. M (D. G.) pe’ beni de’ rei di Stato, per l’amministrazione tenuta dal giorno dell’istallazione (8 agosto 1799) a tutto maggio 1800».
    Dal quale io trascrissi queste note: «Confidenze minori affidate al razionale Don Nicola Onorato». Confidenza del reo D. Domenico Cirillo. - A 20 settembre 1799 (pag. 1").
    «Da Don Nicola Pagano ducati 131, 20 per prezzo dell’uva di pertinenza del suddetto reo Cirillo, ut fol. 2, Libro di cassa».
    A pagina 18: «Confidenza dei rei fratelli Cirillo» . 10 maggio 1799.
    «Mi fo introito di ducati 40 pervenuti in mio potere per mano del canonico D. Giacinto Pistilli di contanti, di pertinenza dei suddetti rei Cirillo, ut fol. 45».
    A pagina 85:
    «Mi fo esito di ducati 2124 per tanti erogali per conto della suddetta confidenza in virtù di mandati spediti dalla regia amministrazione nel tempo, cioè:
    A 24 settembre 1799 a Don Serafino Maria de Felice ducati 20 a conto delle fatiche dal medesimo fatte per la relazione de’ danni cagionati alla casa del detto reo Cirillo, giusta il mandato spedito dalla regia generale amministrazione per l’esecuzione del presente pagamento, ut fol. 11, Libro di cassa.
    A 27 settembre 1799 al capo maestro fabbricatore Antonio Campo duc. 50 a conto di lavori fatti nella casa del suddetto reo Cirillo, e poi altri duc. 350 sino al 18 di aprile 1800.
    A Pasquale Napolitano falegname, dal 27 di settembre 99 al 7 aprile 1800, ducati 750.
    « A 23 dicembre 1799 al piperniero (scalpellino) Gennaro Bondoce, duc. 100.
    «Dal 23 dicembre 1799 al vetraio Rallaele Radice, duc. 30.
    «A 23 di marzo 1800 al ferraio Andrea Ametrano, duc. 330.
    «Dal 23 dicembre 1799 all’ornamentista Lorenzo Gatti, duc. 280.
    «A 21 febbraio 1800 all’esattore Don Antonio di Domenico, duc. 18, e sono cioè duc. 12 per spese di calesse per andare nel casale di Grumo e Sant’Arpino a fare alcune esazioni di pertinenza del riferito reo Cirillo, e ducati sei per aver girato per Napoli per la stessa esazione.
    «A 22 maggio 1800 al mattonaio Francesco Barberio, duc. 60.
    «Dal 17 aprile 1800 allo stuccatore Giuseppe Lavino, duc. 100.
    «A 11 febbraio 1800 all’attitante D. Gaetano Atri, duc. a conto delle fatiche fatte per aver assistito a vari monasteri di monache per far pagare gli onorari dovuti al reo Cirillo, e infatti se ne esigè la somma di duc. 170.
    «A 20 aprile ducali 16».
  2. G. M. Carusi, Salerno, 1868, Tip. Nazionale.
  3. Notamento de’ beni confiscati ai rei di Stato, pubblicato in Napoli il 6 di maggio 1800. Le bozze originali furono scritte per mano del razionale della corte Francesco Olaj.
    « Domenico Cirillo - case - quattro bassi, tre a sinistra del portone, e l’ultimo nel vicolo del teatro San Ferdinando, col giardino in piano di detta casa, ed il secondo appartamento nobile del palazzo sito nella contrada di Pontenuovo, dalli quali membri per soli due bassi si nota l’affitto di annui ducati 14, 50.
    «Il dippiù tutto saccheggialo, anche le porte, finestre e ferri.
    «Una casa palaziata, sita nel casale di Grumo, consistente in un quartino matto; un appartamento nobile e una stanza superiore trovata saccheggiala, anche li pezzi d’opera e li ferramenti.
    «Il Casa conticua (così) alla suddetta casa palaziata, affittata a diversi per annui ducati 27».
  4. Ma recatomi nella sala clinica degl’Incurabili, con mia somma sorpresa e dolore non rinvenni punto il ritratto di Domenico Cirillo, e facendomi sperare quel direttore signor Orlale, che avesse potuto essere trasportato nel nuovo Ospedale clinico, quell’altro cittadino Tito Trisolini mi accompagnò nell’Archivio per farmi assicurare che quel ritratto non fu trovato, e non vi erano degli antichi ritratti che quello di grandissimo pregio artistico del sommo Marco Aurelio morto di peste nella metà del secolo XVI, e un altro mediocrissimo del Villari che pare anche più antico a quello inaugurato dall’Antonucci.
    Almeno ebbi la fortuna, dopo infinite ricerche, di ritrovare altri ritratti del Cirillo, uno in casa del signor Domenico Ricca in Santa Maria di Capua, proveniente dalla eredità dello zio Francesco Ricca fra’ discepoli prediletti del grande maestro, come accennai avanti, un altro in Napoli nella casa del medico signor Stefano Ricca, fratello al precedente, ed è il busto del Cirillo disegnato nel ritratto del medesimo Francesco. In Caserta presso Giuseppe Cirillo, discendente per retta linea dal giureconsulto Giuseppe Pasquale, poichè figlio di Luigi nato da un Giovanni avvocato, che nacque da quello, vidi un terzo ritratto che non è somigliante per le fogge esterne, ed anche un pochino per li fisonomia più vivace che non sia negli altri: pare uomo di 40 anni, veste siccome medico di corte, abito msso gallonato di argento, panciotto nero chiuso, con ricami d’oro, e sempre cravatta bianca, capelli incipriati, ma senza ricciolini alle tempie. Una finissima e simigliantissima miniatura è presso la onoranda Rosa Valletta ancora vivente (1870), vedova del medico Vincenzio de Renzis di Paterno, sopra una bella tabacchiera di tartaruga, del diametro di un decimetro, con due cerchiature di oro finissimo, la quale fu un dono che il maestro fece al chiaro e segnalato discepolo, che era anche il marito della figlia di un suo collega nella Università, giureconsulto e poeta Nicola Valletta. La quale miniatura dovett’essere l’opera del giovane italiano Zuccarelli che già incominciava a farsi conoscere fra’ miniaturisti, ovvero più probabilmente del francese così noto allora signor Dune.
    Questo ritratto fu guida agli scultori i quali han finora tentato il busto del Cirillo; e da esso il valente artista Ricca trasse una grande e una piccola fotografia, forse più felice questa che quella.
    È in abito rosso scuro, mezzo abbottonato, panciotto e cravatta bianca, capelli incipriati con le buccole, incarnato vivo. Altro ritratto scopersi presso il signor Pagano, dilettante paesista: trovai tanta cortesia in quella casa, e bella e pronta su di un cavalletto la vecchia tela rianimata. E quale fu la mia sorpresa nel vedere un ritratto simile, similissimo a quello che avevo già visto in Santa Maria nella casa Ricca, il medesimo ovale, le medesime dimensioni, l’uguale cornice, la cravatta medesima col merletto, l’uguale tuono di colore, insomma la medesima mano, non vedendovi nessuna correzione, nessuno sforzo, nessuna leccatura, che sono gl’indizii invero di una copia.
    E dimandato della provenienza e delle tradizioni dell’artista, mi fu risposto che il padre loro signor Raffaele Pagano l’ebbe in dono dal ministro Medici, col quale fu in grande dimestichezza, e forse il Medici potè averli da quella Agnese che visse molti anni in casa Cirillo, dove la conobbe quel venerando vecchio ancora vivente il cavaliere Golia che allora aveva 15 anni.
    Il pittore de’ due ritratti uguali vuolsi che fosse stato il Mozzillo da Nola, il quale fu frescante del tempo; e infatti v’è quella esagerazione di tinte, propria de’ pittori di affreschi, sebbene non si scorga poi quel fare scuro e quasi sudicio e incerto del Mozzillo.
    Imperocchè di quei tempi godevan fama di ritrattisti eccellenti Tommaso Crosta ed il Palumbo, ai quali seguivano il Mozzillo ed il Bombo, e potrebbesi fare un confronto con un ritratto che il Crosta certamente fece del direttore allora dell’Accademia, il signor Mondo di Marcianise.
    Nel volume II delle Biografie degli uomini illustri del regno di Napoli pubblicato nel 1814 vedesi il ritratto del Cirillo intorno al quale si legge: Augusto Nicodemo pinxit - G. Morghen sculpsit. E vidi la mediocre incisione di G. De Caro sul disegno di P. Raiola posto avanti alla vita ristrettissima del Cirillo, che un E. Ruggieri inserì nel giornale Il gran sasso d’Italia.
    E vi ha inoltre la litografia fatta nella officina del Bianchi cavata dal disegno su la pietra per mano del Forino, in grandezza maggiore delle comuni, e sopra di essa il signor Giuseppe Cirillo di Caserta, discendente in linea retta dal giureconsulto Giuseppe Pasquale, fece trarne dodici copie in più piccola dimensione per via fotografica dal Grillet nell’anno 1860.
    Posseggo eziandio la incisione ch’io feci compiere in Torino dal bulino del Parmiani romano, fattone il disegno dal Tommasini, come può vedersi nel volume primo del Panteon de’ martiri italiani, della quale opera fui secondo direttore dopo il mio egregio amico Giuseppe Del Re.
    Un altro ritratto sopra pietra è nelle mie mani, disegnato da A. di Lorenzo nella calcografia del Pace, con dimensioni piuttosto grandi in 4, e anche pessimamente colorito. Finalmente fui assicurato da quel venerando vecchio di Paolo Falciani di Sarno, poeta e pittore di conto, vivente ancora a novant’anni o freschissimo di memoria e d’intelletto come un giovinotto, che un altro ritratto del Cirillo debba esservi sicuramente in Mercogliano nella provincia di Avellino ch’egli medesimo vide nella casa di un pittore suo coetaneo Geremia Jacenti, il quale per non farlo riconoscre ne’ tempi delle persecuzioni cieche e feroci, gli fece turpemente i baffi.
  5. Su le facce leggonsi le iscrizioni:

    I.

    A DOMENICO CIRILLO
    il quale
    soffiante casa borbone
    nelle oscene e luride masse
    della santa fede
    espiò sulle forche nel mdccic


    II.

    La santità de' costumi
    l'ardore della scienza
    l'amore della patria
    quanto fra gli uomini

    in ogni età in ogni luogo
    è più augusto e più riverito
    il nobile vecchio
    infra le orgie ladre e folte
    delle regie plebi
    diserto de’ lunghi e severi
    lavori dell’ingegno
    e del sereno e residuo conforto
    della famiglia
    fastidito della codardia umana
    e sdegnoso di grazia
    cercò i riposi della morte
    e le giustizie della fama

    III.

    Parteciparono
    fra altri parecchi
    a guesto tardo piacolo italiano
    i consigli provinciali
    di Napoli e di Siracusa
    i comitati medici
    di Napoli Cotrone
    Como Bergamo Brescia
    ned ultimi
    i medicanti della Venezia
    serva ancora di Austria.

  6. Anche la scena s’impossessò de’ fatti tragici del 1794 e 1799; e vi furono i drammi su De Deo, sulla Fonseca, sulla Sanfelice, e l’Emma Liona.
    Federico Riccio scrisse il dramma storico in cinque atti Domenico Cirillo, nel quale sono interlocutori cinque de’ suoi compagni al patibolo, Pagano, Russo, Ciaia, Pigliacelli e Manthonè, personaggi storici, come storica è la sorella Zenobia; ma non punto la nipote Elena, alla quale vorrebbesi dare per marito il giovine e dotto cittadino Russo, e per amante un Lorenzo Tanfano figliuolo del famigerato Gennaro, capo de’ lazzari del mercato. Il carattere di Domenico fu studiato bene; fra’ pericoli della repubblica abbandonata da’ Francesi, egli mostra tutta l’anima sua nobilissima e secura, in mezzo all’Assemblea legislativa.
    Nè perde mai la sua fronte serena insino all’ultitmo giorno che lo scrittore credette il 28 invece del 29 di ottobre 1799.

Note

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