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Capitolo I | ► |
PROEMIO.
Io Dinarco cittadino di Epidauro ho lungamente dubitato di scrivere quanto a mia notizia è pervenuto della vita e costumi di quel tristo, il quale stese la falce sacrilega al Santuario di Efeso. Perchè quella opinione prevale che egli sia stato furente, e da tale sembra in vero quella disperata risoluzione. Ma sendo io giovane quando il caso avvenne, ne intesi il romore in Atene, ove allora io soggiornava nel Foro; e prima di ridurmi in patria negli anni maturi, a’ quali son giunto, fui vago di raccorre per la Grecia le tradizioni di così illustre malvagio. Ragionai specialmente in Efeso con taluni, i quali lo aveano conosciuto ed udito quando aspettava in carcere il giudizio. In quella città non solo, ma da remote e molte vennero curiosi a vederlo, e favellare seco, mossi dalla stranezza del suo proponimento. Ed egli siccome in tutto ansioso di fama si compiaceva di narrare intrepido non tanto quella sua prova estrema, quanto le antecedenti avventure della sua vita. Appariva da quelle, che, sdegnando costui sempre il tenore della vita comune, dovea surgere ad una eccellente, o cadere in pessima. Io per fine non presumo di togliere al delitto la deformità sua, ma d’insinuare gran dubbio se uno smisurato e costante desiderio di fama possa infiammare l’animo di uno stolto. Disposero i Fati che in quella medesima notte in cui Erostrato arse il tempio, nascesse il Macedone Alessandro. Questi per divenir grande sconvolse l’Asia, empiè l’Orco di anime irate, lasciò i campi coperti di scheletri avanzi de’ corvi. L’altro con danni minori si procurò la fama. In ambi fu la stessa passione: in uno col sangue e il pianto di molte genti non saziata; nell’altro paga della fiamma di un tempio. E però se la smania di rinomanza è pazzia, converrà stimare dagli effetti maggiore quella di Alessandro come esempio incomparabile di quanto giunga a beffarsi di noi un audace usurpatore.