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Capitolo I
CRITERI FONDAMENTALI
Un’edizione critica della Vita Nuova deve avere questi fondamenti:
1) I Mss. che contengono l’opera intera;
2) I Mss. che contendono tutte o parte delle rime in essa accolte, e che offrano indizi sicuri di derivare, per quelle rime, da testi della Vita Nuova;
3) Le edizioni che rappresentino qualche Ms. perduto.
Potrà servire a fissare la lezione di qualche passo anche la testimonianza di uno o più Mss. di rime che non resultino derivati dalla Vita Nuova ma per riscontro e conferma, non come fondamento: perchè essendo ancora incerto se Dante raccogliendo e illustrando nella sua opera giovanile le rime già scritte e divulgate in onore di Beatrice abbia introdotto qualche varietà nella lezione di esse, non sarebbe prudente affidarsi a Mss. che possono risalire a testi anteriori alla composizione della Vita Nuova, mentre rimangono del testo di questa tradizioni varie ed autorevoli. E sarà inoltre da aver riguardo a ciò che, scegliendo, deducendo, congetturando, fu fatto dagli altri editori, quando anche si conservino i codici posti a fondamento delle loro stampe: può essere che l’esame più compiuto e più metodico che faremo di tutte le tradizioni manoscritte renda vana in certi luoghi qualsiasi discussione; ma in altri il dubbio rimarrà, e quivi il parere altrui, anche se fondato su dati meno precisi, può esserci utile.
Non poche sono le questioni che si agitano ancora attorno alla Vita Nuova; ma fortunatamente molte di esse colla critica del testo non hanno relazione di sorta. La questione stessa della data dell’opera non ha importanza per noi: quantunque siamo in un periodo in cui la lingua letteraria va fissandosi, e si tratti d’un autore che ebbe gran parte nella formazione di essa, tanto poca è la differenza degli anni anche fra le estreme opinioni, che, rispetto allo svolgimento storico della lingua e all’uso di Dante, l’una data val l’altra.
Più importante è chiarire un dubbio circa l’organismo dell’opera, al quale può dar luogo l’esame delle varie edizioni, e anche degli stessi Mss., perchè così nelle une come negli altri le divisioni o chiose delle varie poesie ora sono incluse nel contesto dell’opera, ora sono riferite nei margini, ed ora mancano affatto. È cosa sicura che nell’intenzione dell’autore le divisioni fanno parte integrante dell’opera, onde senza alcuna discontinuità si passa ad esse dalle narrazioni e dalle poesie. Nel § XXVI, dopo il riferimento del son. Tanto gentile si passa alla ‘ragione’ del sonetto seguente con siffatta dichiarazione: «Questo sonetto è sì piano ad intendere per quello che narrato è dinanzi, che non abisogna d’alcuna divisione; e però lassando lui, dico che questa mia donna venne in tanta grazia, ecc.». E nel § XXXI, volendo Dante mostrare il suo dolore anche con uno di quelli espedienti formali coi quali a lui piaceva accompagnare la espressione del suo sentimento, dopo aver narrato il suo proposito di sfogare il pianto dell’anima per la morte di Beatrice in una canzone, continua: «E cominciai allora una canzone, la qual comincia: Li occhi dolenti per pietà del core. Ed acciò che questa canzone paia rimanere più vedova dopo lo suo fine, la dividerò prima ch’io la scriva; e cotal modo terrò da qui innanzi»: prima e dopo non avrebbero significato se le divisioni dovessero incorniciare, dai margini, il testo delle poesie.
Ma a Giovanni Boccaccio essendo pervenuta la voce che Dante nell’età matura si fosse pentito d’avere così incluso nel testo le chiose o divisioni, parve opportuno, avendo preso a trascrivere la Vita Nuova, di ridurre l’opera conforme all’ultima volontà dell’autore. Difatti in un Ms. Laurenziano (XC sup. 136) che si dice scripto per lo modo che llo scripse messere Giovanni Boccaccio da Certaldo è attestato che «Dante le chiose che ci sono mise nel testo, e messere Giovanni ne lle cavò», assegnandone la cagione in una nota che comincia Maraviglierannosi. E questa nota, che ci vien conservata in questo stesso Ms. e in alcuni altri, riconferma espressamente che le divisioni o chiose erano state poste dall’autore nel testo e non nei margini («le divisioni de’ sonetti non ò nel testo poste come l’autore del presente libretto»), e che il Boccaccio le tolse sia perchè non gli pareva che stessero bene così mescolate col testo, sia perchè sapeva che Dante in età matura «si rammaricava d’aver inchiuse le divisioni nel testo»1 Il trasporto delle divisioni dal testo nei margini (giova notar la cosa fin d’ora) non riuscì perfettamente, nè senza alterazioni nella lezione. Nel § XXXIII la divisione è rimasta a suo posto; e così il § XII 17 (Potrebbe già l’uomo, ecc.); mentre il resto della divisione è stata rimossa; e così pure tutto il § XXV che, come soluzione di dubbi sorti per certa personificazione d'Amore fatta nella poesia precedente, ha natura di chiosa e non di narrazione. Dichiarazione e giustificazione del contenuto di un sonetto sono i capi 5 e 6 del § XXXVIII, ma anch’essi son rimasti nel testo, mentre il capo 7, che contiene più propriamente la divisione, è passato nei margini. Quanto alla lezione, basteranno alcuni esempi a mostrare quali mutamenti abbia ricevuto. Nel § XXVI dopo il son. Tanto gentile, invece di quel passaggio così naturale che abbiamo veduto («questo sonetto è sì piano ad intendere per quello che narrato è dinanzi, che non abisogna d'alcuna divisione; e però lassando lui, dico che questa mia donna....»), si ha una chiosa marginale così concepita: «Questo sonetto non si divide, però che per se medesimo è assai chiaro». - Nel § XXXIV invece della lezione «dissi allora questo sonetto, lo quale comincia: Era venuta; lo quale à due cominciamenti, e però lo dividerò....», si ha, nel testo: «dissi allora q. s. il quale comincia
Era venuta 7c., lo quale à due cominciamenti. L’uno è:», e in margine: «Era venuta 7c. Questo sonetto à due cominciamenti, e però si dividerà....». - Nel § XXXV invece di «.... in questa ragione. E però che per questa ragione è assai manifesto, sì nollo dividerò. Lo sonetto comincia : Videro li occhi miei», si legge, nel testo: «.... in questa ragione, e comincia il sonetto Videro 7c.» e in margine: «Videro gli occhi 7c. Questo sonetto è chiaro, perciò non si divide». - E finalmente nel § XXXVI invece di «e dissi questo sonetto, lo quale comincia: Color d’amore, ed è piano sanza dividerlo per la sua precedente ragione», si legge nel testo «e dissi questo sonetto Color d'amore.», e in margine: «Color d'Amore 7c. Questo sonetto è chiaro, perciò non si divide».
Da questa trasposizione delle divisioni derivò anche il fatto, che alcuni copisti, avendo le chiose per superflue, e giudicandole forse di altro autore, le omisero nelle loro trascrizioni. Ed avvenne pure che alcuni altri, non avendo margine sufficiente, rimettessero le chiose nel testo, mantenendo naturalmente le alterazioni da esse sofferte sotto la penna del Boccaccio, e collocandole, per non aver atteso alla riferita dichiarazione di XXXI 2, sempre dopo le poesie, anche nella sezione delle rime dolorose.
Questo stato di cose è necessario aver presente per la descrizione e lo studio dei Mss. e delle stampe della Vita Nuova.
Occasione a divergenze fra gli editori e i commentatori della Vita Nuova ha dato anche la divisione dell’opera in paragrafi. Una vera distinzione di tal genere Dante non fece, tanto più che per ogni poesia pause spontanee s’avevano, ordinariamente, alla fine sia della narrazione, sia dei versi, sia delle divisioni; ma anche dove il racconto si svolge senza riferimento di poesie, pause e capoversi doverono all’autore venir fatte, anche se non ebbe una premeditata disposizione della materia. Un’edizione moderna non può far a meno di una più accurata distinzione in paragrafi e sottoparagrafi, e sebbene sia cosa esteriore, deve adattarsi quanto più strettamente è possibile allo svolgimento del trattato: onde l’opportunità di attendere alle divisioni date dai vari Mss. e di verificare se ci sia una tradizione costante.
Lo studio nostro sarà prima rivolto a cercare e riconoscere i Mss. e le edizioni che debbono esser poste a fondamento dell’edizione; quindi a determinare quali relazioni corrano fra i varii testi e quale sia il valore di ciascun testo o famiglia di testi per l’accertamento critico della lezione genuina nei luoghi dubbi; infine a fissare col sussidio dei più antichi Mss. un sistema ortografico che riesca, quanto è possibile, a rappresentarci fedelmente la lingua di Dante e dei suoi tempi coi segni grafici oggi in uso.
- ↑ Riferisco il testo completo della nota dal codice Laur. XC sup. 136, correggendolo nei luoghi errati col sussidio degli altri Mss. che la contengono: «Maraviglierannosi molti, per quello ch’io advisi, perchè io le divisioni de’ sonetti non ho nel testo poste, come l’autore del presente libretto le puose; ma a ciò rispondo due essere state le cagioni. La prima, per ciò che le divisioni de’ sonetti manifestamente sono dichiarazioni di quegli: per che più tosto chiosa appaiono dovere essere che testo; e però chiosa l’ho posto, non testo, non stando l’uno con l'altre bene mescolato. Se qui forse dicesse alcuno - e le teme de' sonetti e canzoni scritte da lui similmente si potrebbero dire chiosa, con ciò sia cosa che esso sieno non minore dichiarazione di quegli che le divisioni -, dico che, quantunque sieno dichiarazioni, non sono dichiarazioni per dichiarare, ma dimostrazioni delle cagioni che a fare lo 'ndussero i sonetti e le canzoni. E appare ancora queste dimostrazioni essere dello intento principale; per che meritamente testo sono, e non chiose. La seconda ragione è che, secondo che io ho già più volte udito ragionare a persone degne di fede, avendo Dante nella sua giovanezza composto questo libello, e poi essendo col tempo nella scienza e nelle operazioni cresciuto, si vergognava avere fatto questo, parendogli opera troppo puerile; e tra l'altre cose di che si dolea d’averlo fatto, si ramaricava d’avere inchiuse le divisioni nel testo, forse per quella medesima ragione che muove me; là ond’io non potendolo negli altri emendare, in questo che scritto ho, n'ho voluto sodisfare l’appetito de l'autore». Una conferma dell’appartenenza al Boccaccio di questa nota si ha nella Vita che egli scrisse del sommo poota, perchè ivi pure (§ 13°, ed, Macrì-Leone, p. 63) s’afferma che Dante negli anni più maturi si vergognava molto di avere scritto la Vita Nuova, e delle narrazioni premesse alle singole poesie s'indica il fine quasi colle medesime parole («di sopra da ciascuna partitamente e ordinatamente scrivendo le cagioni che a quella fare l'avevano mosso»).