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Per vittorie avute contro i Pisani
(1362)
Volpe superba vizïosa e falsa,
Ingrata disdegnosa et ignorante,
Come ti vedi avante
Venir in contro il iudicio superno!
5Il tuo poder che già fu in acqua salsa
Perdesti, per voler signoreggiante
Essere al soprastante.
In mar comun, se ben nel cor discerno,
Tu non temevi a pena il re eterno,
10Sì ti parea sovr’ogn’altra esser grande:
Ma alla Meloria avesti tal vivande,
Che mai non fosti più in acqua donna.
Volevi esser colonna,
Per ristorarti poi, di terra ferma;
15E non considerando alla tua possa
Nè quanto eri inferma,
Se’ giunta in parte con la tua arroganza,
Che tu non potrà’ dir quel che t’avanza.
Una due volte e tre e quattro offesi,
20Essendo più possenti, hanno sofferto
I tuo’ nemici; certo,
Siccome saggi, per aver ragione,
E per non essere al tuo mal accesi,
E per non dare a te quel ch’era merto,
25Il lor pensier coverto
È stato in sino all’ultima cagione.
Per fuggir di ciascun la riprensione,
Mossi si sono allor che l’alto regno
In verso te ha dato fermo segno.
30Però che tu se’ peggio che pagana,
Fuor di natura umana
Invidïosa rea di mal talento;
Che per vedere il secol tutto a fondo
Sofresti aver tormento;
35Scacciando ognun che t’ha tenuto in pace
E ritenendo qual più ti disface.
In fiero orgoglio già ti fe venire
Vittoria alcuna che avesti in terra;
E, volendo far guerra,
40Contr’al dovere ogn’ora ti movesti.
Ingrata a Dio, sanza umiltà sentire,
Non conoscendo, al ben facesti serra:
Ma ’l mal che ’n te s’afferra
T’ha pur guidato a far che tu ti desti.
45Gli spirti tuo’ crudeli e tanto infesti
Contro a color che ti facean possente
Ti faranno tornare ancor a mente
Per che più ch’altri amar dovevi loro:
Tu sai ch’ogni tesoro,
50O misera, per loro a te venìa.
Sanza occhi sanza mente se’ venuta
Al mal che in te si cria,
Sempre rompendo lealtate e fede,
Fera diversa e fuor d’ogni merzede.
55 Quel che t’avvenne pensa che non move
Se non d’alta giustizia che t’infonde.
Deh sâmi tu dir onde
Quel da Postierla mandasti a Melano?
Come di sopra a te fuoco non piove!
60Ugolin Conte ancora non s’asconde
E l’altre vite immonde
Pargole ed innocenti, che con vano
Pensier di tradimento sì tostàno
Festi con crudeltà venire a morte,
65Ed altre cose ancor ch’io non t’ho scorte
Sì come quella che di Tolomeo
Nascesti, o Gan ti feo.
Ma s’tu conosci l’aspra disciplina
La qual ti dà colui che tutto regge,
70E la mortal ruina,
Tu può’ veder venirti a piggior punto
Che Troia Tebe Corinto o Sagunto.
Non credevi già mai che tuo terreno
Dagli nimici fosse sì percosso,
75Che l’Arnonico fosso
Da tutti ti faceva star sicura:
Ma tal fortezza ben si venne meno.
Quando vedesti l’esercito mosso
Già per correrti a dosso,
80Quel trapassando, verso le tue mura,
Per non voler aver piggior ventura,
Tua gente arse fortezze e rifuggiro.
Po’ ti seguì maggior doglia e martìro:
In su le porte i palii ti fur corsi.
85Assaggia questi morsi;
Spècchiati alquanto verso la Valdera
Nell’alte ville ancora attorno attorno;
E vattene a rivera,
E guarda le galee quel che le fanno,
90E come le catene al porto stanno.
Levar ti dèi dalla mente superba,
Imaginando te esser su ’l lito;
Et al tempo già ito,
Et a quel ch’è, e qual tuo legno vedi.
95Chi t’ha su ’l mare or dato doglia acerba,
Tal che navilio alcun non ha suo sito?
Con quale ha’ tu ferito
O con qual dimostrato hai tuo’ rimedi?
Fama risuona che rifar ti credi
100Avendo appoggio di signor lombardo.
Ma s’è colui che io credo e riguardo,
Egli ha più che non vuol can alla coda
Che ’l tengon su la proda
A far difesa di sua signorìa:
105E se pur fosse, egli è tal qual bisogna
A domar tua follìa.
Disfar credendo altrui te disfarai,
E te istessa con te punirai.
Ma le due chiavi nel campo vermiglio
110Con l’aquila col carro e con la scala
Fan che tua speme cala
In quel disïo che più ti nutrica.
Stringer ti credi, e non haï artiglio;
E volar vuogli sanza nessuna ala.
115Questo a fine mala
Te metterà e qualunque t’amica:
Tal fa il laccio che spesso l’intrica.
I’ ti dico: Tapina, guarda, guarda!
Esce di pietra buona la bombarda,
120Che t’ha menato e mena a scuro calle.
Tu non se’ ancora a valle
Là dove deggi andar vie più amara.
Non è discordia a struggerti alcuna
Nell’alta città cara:
125Ma tutti in uno animo e talento
Vuol ch’ogni nome tuo divenga spento.
Canzon, tu puo’ cantar per l’universo
Che di Fiorenza valorosa parli,
La qual contro al diverso
130Popol di Pisa nel sessantadue
Si mosse per punir l’opere sue.
(Dalla citata Miscellanea di cose inedite o rare per F. Corazzini.)