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Questo testo fa parte della raccolta Versi di Giacomo Zanella


nel 1867.

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     O nell’ora del nembo e del periglio
Sempre invocato, che più grande appari
Quanto più gonfi il trepido naviglio
                         4Battono i mari;

     Chiuse son l’Alpi allo stranier: clemente
Rise una volta a’ popoli fortuna:
Tutte al suo desco le città redente
                         8Italia aduna.

     Più non cercar. Delle battaglie il nome
Oh non chiedere a’ tuoi: sovra qual onda,
Sovra qual campo; e se le nostre chiome
                         12Lauro circonda.

A’ vincenti terribile il vessillo
Parve d’Italia: i giovani guerrieri
Volâr sull’ erta, ma con noi, Cammillo,
                         16Tu più non eri.

     Invan crebber le file: invan da’ porti
Più possente navil sciolse il nocchiero;
Non valser tante prue, tante coorti
                             20Il tuo pensiero.

     In picciol nido l’aure interrogando,
Con poco stame a lunga tela assiso,
E l’ovra della mente ardua velando
                             24Di facil riso,

     Gli occhi alzasti; e di fanti e di cavalli
Alla muta parola obbedïenti
Dal Cenisio sull’itale convalli
                             28Sceser torrenti.

     E pria sul lido del remoto Eusino
Fra le pugne agitata e fra le nevi
La morta face del valor latino
                             32Raccesa avevi.

     A’ cupi genî del Tirren custodi
Serti offrivi non visto, e taciturna
La partenza pregavi e fida ai prodi
                             36L’aura notturna,

     Quando dell’Etna alla fremente riva
I Mille veleggiavano; portavi,
Celando sotto il mar la man furtiva,
                             40Le balde navi.


     Sparver gli avversi troni; e del tuo spiro
Che percorrea de’ novi abissi il seno,
La possa irresistibile sentiro
                             44Adria e Tirreno.

     Itali fummo. Ed esultavi allato
Del Re più degno in Campidoglio atteso,
Quando cadevi, e dell’Italia il fato
                             48Parve sospeso.

     Ansio cadevi dell’Olimpo al piede,
Indomato Titano. Orfana ancora
Sull’orma tua, cui pari altra non vede,
                             52Italia plora.

     Ode di pugne inauspicate il foro
Risonar tempestoso; ed ella intanto
A’ suoi mali non trova altro ristoro
                             56Che sdegno e pianto.

     Dell’indugio si sdegna e de’ consigli
Con gioco assiduo sul fiorir recisi;
D’altre barriere, che di monti, i figli
                             60Piange divisi.

     O nata a non perir, stirpe fatale!
O risorgente dalle tue ruine
Popolo, che ricigni or l’immortale
                             64Infula al crine;


     De’ secoli più grande e de’ tuoi guai,
Se come in altro dì non ti è concesso
Reggere il mondo, mostra almen che sai
                             68Regger te stesso.

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