< Alessandro Manzoni - studio biografico
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Capitolo IV Capitolo VI

V.


Il Manzoni ed il Parini.


Nella sua prima maniera satirica il Manzoni parineggia; il Parini, egli non avea conosciuto di persona, se bene lo potesse per le relazioni che il poeta di Bosisio avea avute con la famiglia Beccaria. Quando il Parini morì, il Manzoni, quattordicenne, incominciava già a sentire la poesia e ad ammirare veramente i poeti; si narra anzi ch’egli leggesse per l’appunto la celebre Ode La caduta, quando gli venne annunciato che il Parini era morto1 Il Manzoni vecchio dolevasi con Giovanni Rizzi di non averlo cercato, e scusavasi malamente col dire che allora egli era «un ragazzaccio che non sapeva nulla di nulla.» Il vero è che non ci avrà pensato, che non avrà, come accade, creduto il Parini già così vicino a morire, e che la vita di collegio gli avrà pure diminuite le occasioni d’incontrarlo. Chè se, al dire di Giulio Carcano, quando, nel Collegio de’ Nobili, il giovinetto Manzoni fu, la prima volta, presentato al Monti come nipote di Cesare Beccaria, il Monti gli parve un Dio, è probabile che il vecchio Parini, quantunque non bello, gli avrebbe lasciata nell’animo una impressione più soave e più durevole. Ricordano gli amici del Manzoni che egli sapeva a memoria tutto il Giorno e che, sul fine della propria vita, quando sentiva affievolirsi la memoria, per assicurarsi di non averla perduta tutta, soleva trascrivere a mente qualche verso del suo Parini.2

Quando, nel settembre dell’anno 1803, il diciottenne Manzoni mandava al suo maestro Monti un Idillio allegorico intitolato: L’Adda, egli lo accompagnava con una lettera, di cui, perchè si vegga quanta destrezza e causticità d’ingegno era già nel giovine Poeta, riporterò qui le prime parole: «Voi mi avete più volte ripreso di poltrone, e lodato di buon poeta. Per farvi vedere che non sono nè l’uno nè l’altro, vi mando questi versi.»3 Il discepolo domanda al maestro un parere sopra i suoi nuovi versi, per limarli, ed, intanto, invita il Monti alla propria villa. nell’Idillio, il fiume Adda personificato in una Dea si volge così al Monti:

   Te, come piacque al ciel, nato a le grandi
     De l’Eridano sponde, a questi ameni
     Cheti recessi e a tacit’ombra invito.

L’Adda sa bene di non poter contendere col Po, presso il quale il Monti è nato, e prima di lui Lodovico Ariosto ed il Guarini, ma pur si gloria che presso le sue rive abbia cantato un giorno Giuseppe Parini, l’Orazio lombardo. L’Adda dice:

   Quivi sovente il buon cantor vid’io
        Venir trattando con la man secura
        Il plettro di Venosa e il suo flagello,
        O traendo l’inerte fianco a stento,
        Invocar la salute e la ritrosa
        Erato bella, che di lui temea
        L’irato ciglio e il satiresco ghigno;
        Ma alfin seguïalo e su le tempie antiche
        Fêa di sua mano rinverdire il mirto.
        Qui spesso udillo rammentar piangendo,
        Come si fa di cosa amata e tolta,
        Il dolce tempo della prima etade,
        O de’ potenti maledir l’orgoglio,
        Come il genio natìo movealo al canto
        E l’indomata gioventù dell’alma.
        Or tace il plettro arguto e ne’ miei boschi
        È silenzio ed orror. Te dunque invito,
        Canoro spirto, a risvegliar col canto
        Novo rumor Cirreo. A te concesse
        Euterpe il cinto, ove gli eletti sensi
        E le imagini e l’estro e il furor sacro
        E l’estasi soavi e l’auree voci
        Già di sua man rinchiuse. A te venturo
        Fiorisce il dorso brïanteo; le poma

        Mostra Vertunno e con la man ti chiama,
        Ed io, più ch’altri di tuo canto vaga,
        Già mi preparo a salutar da lunge
        L’alto Eridano tuo, che, al nuovo suono,
        Trarrà meravigliando il capo algoso,
        E tra gl’invidi plausi de le Ninfe,
        Bella d’un inno tuo corrergli in seno.


Nonostante la grazia di questo voluttuoso invito, il Monti non può muoversi, e se ne scusa con una lettera, la quale incomincia cerimoniosamente col voi e prosegue affettuosamente col tu. Loda moltissimo i versi, e conchiude: «Dopo tutto, sempre più mi confermo che in breve, seguitando di questo passo, tu sarai grande in questa carriera; e se al bello e vigoroso colorito che già possiedi, mischierai un po’ più di virgiliana mollezza, parmi che il tuo stile acquisterà tutti i caratteri originali.»

Nell’amore del Parini fu ancora confermato il Manzoni dall’affetto che lo legò poco dopo alla memoria del più caro discepolo dell’Autore del Giorno, l’Imbonati, dall’ombra del quale, nel noto Carme, ei si fa dire:

     . . . . . . Quei che sul plettro immacolato
     Cantò per me: torna a fiorir la rosa,

4

     Cui, di maestro a me poi fatto amico,
     Con reverente affetto ammirai sempre,
     Scola e palestra di virtù.

E i consigli dell’Imbonati non sono altro, in somma, se non quelli che si trovano già espressi nei versi sentenziosi del Parini. Il Manzoni sentì che erano veri, e li fece suoi proprii, per seguirne i precetti. Scegliere il vero per farne argomento e fondamento di alta poesia è virtù di pochi ingegni potenti. Il Manzoni non solamente sceglie bene, ma quello ch’egli ha scelto, perfeziona e migliora. Spoglia, a poco a poco, di una parte del loro apparato classico e mitologico i nobili pensieri del Parini e li rifeconda col proprio sentimento, per esprimerli con un linguaggio più caldo e più semplice.

  1. Tutti ricordano il principio commovente dell’Ode pariniana:

           Quando Orïon dal cielo
                  Declinando imperversa,
                  E pioggia e nevi e gelo
                  Sopra la terra ottenebrata versa,
           Me, spinto nella iniqua
                  Stagione, infermo il piede,
                  Tra il fango e tra l’obliqua
                  Furia de’ carri la città gir vede;
           E per avverso sasso
                  Mal fra gli altri sorgente
                  O per lubrico passo
                  Lungo il cammino stramazzar sovente, ec.

    Il Manzoni vecchio che, per timore di cadere, soleva sempre, quando usciva, farsi accompagnare, dovette spesso pensare al suo Parini. «Una volta (mi scrive il Rizzi), quando egli andava a passeggio, una carrozza signorile passò così accosto a una povera donna che quasi la schiacciava. Avessi veduto che occhi fece, in quel momento! E pazienza gli occhi! Gli scappò nientemeno che questa frase: porchi de sciori! (porci signori!). E tutti intorno la sentirono.»

  2. Le ultime parole trascritte dal Manzoni, per quanto me ne assicura il professor Giovanni Rizzi, furono versi del Giorno.
  3. Cfr. il libro del signor Romussi, Il Trionfo della libertà.
  4. Allude all’Ode La educazione, che il Parini scrisse pel giorno natalizio del suo allievo undicenne Carlo Imbonati all’uscire da una malattia, e che incomincia:

           Torna a fiorir la rosa
                Che pur dianzi languia
                E molle si riposa
                Sopra i gigli di pria.
                Brillano le pupille
                Di vivaci scintille.

    Questi versi sentenziosi del Parini dovettero far pensar molto il Manzoni, e persuaderlo; il Carme In morte dell’Imbonati ha perfetto riscontro di pensieri ed anche di parole con essi:

          Dall’alma origin solo
             Han le lodevol opre.
             Mal giova illustre sangue
             Ad animo che langue. —
             — Chi della gloria è vago
             Sol di virtù sia pago.
     — Giustizia entro il tuo seno
             Sieda e sul labbro il vero.—
             — Perchè sì pronti affetti
             Nel core il ciel ti pose?
             Questi a Ragion commetti,
             E tu vedrai gran cose.
     — Sì bei doni del cielo,
             No, non celar, garzone,
             Con ipocrito velo,
             Che alla virtù si oppone.
             Il marchio, ond’è il cor scolto,
             Lascia apparir nel volto.
          Dalla lor mèta han lode,
             Figlio, gli affetti umani.

    Si può, si deve combattere per la patria, ma chi vince

                    Pietà non nieghi
             Al debole che cade.

    Soccorriamo il povero, e l’uomo si mostri fido amante e indomabile amico.

    Il Giusti, nell’Elogio del Parini, scriveva: «La Lombardia perdè il suo poeta e non poteva cadere in mente ai cittadini, che lo piangevano, di consolarsene nel caro aspetto di un fanciullo di tredici anni ch’era allora in Milano e che di lì a poco fu quell’uomo che tutti sanno.» Il Manzoni avrebbe pure potuto far propria la famosa strofa dell’Ode pariniana, La vita rustica:

           Me non nato a percotere
                Le dure illustri porte,
                Nudo accorrà, ma libero,
                Il regno della morte.
           No, ricchezza nè onore
                Con frode o con viltà
                Il secol venditore
                Mercar non mi vedrà.

    Il Manzoni vide pure, come il Parini, nell’educazione un mezzo per rialzare non solo i costumi, ma la patria infelice ed oppressa. Nella Canzone: Per l’innesto del vaiuolo, il Parini intese anco a preparar fanciulli sani, perchè potessero un giorno dar prova

        D’industria in pace o di coraggio in guerra.

    Nell’Ode: L’educazione, facendo apostrofare da Chirone il giovinetto Achille

                                    Nato al soccorso
                    Di Grecia,

    il Parini rammenta al giovine Conte lombardo che può intraprendere ogni più ardua impresa per la patria

                         Un’alma ardita,
         Se in forti membra ha vita.

    Così la poesia pariniana non è un vano giuoco, come non saranno mai pel Manzoni le lettore; tutta la sua letteratura è civile, anche dove scopre meno direttamente il suo intento educativo.

Note

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