< Alla scoperta dei letterati
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Giovanni Marradi
Giovanni Pascoli Camillo Antona-Traversi






















Livorno, settembre del ’94.


Una gioconda tavolata: Mascagni, Pascoli, Marradi, Camillo Antona-Traversi, Sabatino Lopez, Giacinto Stiavelli e parecchi altri amici. Si cenava alla Casetta Rossa fuori sul Molo. Il paesaggio che al lucor del tramonto si vedeva di là era strano per la rigidità sua: cinque striscie parallele, nitidissime: la costa ghiaiosa macchiata da qualche ciuffo d’erbe basse inaridite, la prima linea azzurra del mare vicino, la linea bianca del molo, poi ancora il mare pallidissimo vivo di vene d’oro, in ultimo il cielo rosso un po’ brumoso dove a pena si discernevano in basso i due lumi della Meloria. Mascagni, il più rumoroso della radunata, teneva strani propositi; al solito era roco per aver assistito la mattina a una qualche prova della Cavalleria (anche a Livorno) e al solito urlava contro la jettatura, i jettatori e i colleghi musicisti. Io credo che con l’andar degli anni confonderà questi e quelli in un solo cerchio di scongiuri.

Quando alla fine della cena la brigata numerosa cominciò a muoversi da torno alla mensa e a formare tanti capannelli intorno ai più acuti disquisitorì, Marradi ed io ci allontanammo e in un angolo del pergolato cominciammo il nostro colloquio.

— Voi mi parlate della odierna poesia italiana. Ora io non riesco a trovarle un carattere nitido, una prova chiara di vita e tanto meno di vitalità. Dove sta la poesia italiana? Ad essa manca l’ubi consistam. Guarda qua, guarda là, cerca un’inspirazione a destra e una a sinistra, muta cento volte all’anno interamente in uno stesso autore. Insomma ancora è bimba, debole, malferma, forse anche rachitica. Cerca il pubblico per tutte le vie e non lo trova quasi mai, perchè il pubblico stesso non la riconosce. Ma pensate un po’: con un volume come Fatalità, coi versi sbagliati e le inspirazioni più comuni, più scipite, più vecchie, Ada Negri non solo è riescita ad avere quattro o cinque edizioni, ma anche una pensione che l’ha resa agiata per tutta la vita! Poi ditemi se il pubblico sa quel che si fa.

— E anche nella produzione prosastica?

— Anche lì manca il punto fermo. Tutti brancolano nelle tenebre, e, come i bimbi che giocano a gattacieca, qualche volta senza saper perchè afferrano il pubblico. Ma è anche raro assai. Il romanzo sa quel che si fa? Con tutta quella terminologia scolastica che mai corrisponde alla realtà dell’opera, ostentando negli articoli o nelle prefazioni quel che si vorrebbe fare e non si sa fare, nulla di stabile resta: ed è giusto. In questo stato di aspettativa che potrà dar buoni e sani figli e anche potrà terminare con un aborto, le influenze straniere hanno un potere straordinario: guardate due ottimi tra gli scrittori nostri, Gabriele d’Annunzio e Matilde Serao che sono in balía del primo soffio potente che dal di fuori venga a dirigerli.

— E il teatro?

— Del teatro poi non mi parlate. Come forma d’arte rudimentale e inferiore, risente meglio di questa incertezza nebulosa, e in Italia è miserrimo. Non eccettuo nessuno.

— Non vi pare che un qualche pensiero di vita viva, una qualche preoccupazione delle passioni che commuovono il pubblico, potrebbe giovare all’arte?

— Socialismo? Nell’arte? Mai.1 Guardate in pochi anni che cosa è avvenuto degli scrittori patriottici di questo stesso secolo, dal Niccolini al Guerrazzi che appena qui a Livorno ancóra si nomina una volta all’anno. La tesi politica o — come ora si dice — sociale è dannosissima, mortale a ogni aspirazione estetica.

— Dunque nessuna speranza?

— Non vi dico questo, per carità! Dico che è difficile tra questa nebbia veder chiaro. Forse tra qualche anno sarà dissipata, e allora ne riparleremo. Intanto un segno mi conforta: ciò è che la lingua italiana ha col d’Annunzio fatto un altro passo innanzi altrettanto importante che con Giosuè Carducci. Un’ultima osservazione per non fraintenderci. Io ho detto che il socialismo nell’arte le sarebbe dannoso. Pensate che io sono socialista nell’animo, e sono stato socialista militante prima di essere un professore stipendiato dal governo.

Ma gli altri urlavano contro il sequestro che io facevo del Marradi. Così tornammo nel gruppo dove Mascagni con quel po’ di voce che gli era restata predicava la bellezza di un libretto musicale tratto dal Nanà dello Zola.



  1. Il volume Ballate moderne è escito nel gennaio del 1895.
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