Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1897
Questo testo fa parte della serie Annotazioni numismatiche italiane

ANNOTAZIONI


NUMISMATICHE ITALIANE




III.


DEZANA.




  D/ — + FERDI· D : G· RO·VNG·BOE- DAL ·CROA ZC" REX Busto corazzato a sin. con corona imperiale, scettro nella sin., e colla destra sulla impugnatura della spada.
  R/ — + NVMVS ARG IMP COMITIS DECIANE Aquila spiegata, collo scudo dei Tizzoni in petto.

Argento, peso gr. 27,96. — Cons. buona. Raccolta Principe di Napoli.

Dal Promis abbiamo notizia di una deposizione dell'assaggiatore Prevostino fatta nel 1585, relativa alle monete coniate prima di quell'anno in questa officina1, nella quale son citati alcuni talleri di denari 8 di fine {666), e del peso di den. 22,14 corrispondente a poco meno di gr. 29. A pag. 37, ritornando su quel documento, troviamo che questi talleri avevano l’effigie di re ed imperatori, ma che il teste non ricordava bene quali fossero. L’illustre A. dichiara di non conoscere altre monete che possano corrispondere a quella descrizione, all’infuori di quelle che portano il busto di un guerriero armato ed a capo scoperto, come si trova sui talleri di Casale di Messerano e Tassarolo, coll’aquila al rovescio. Ma la deposizione del teste precisava l’effigie in modo, da lasciar qualche dubbio sulla ipotesi del Promis.

Il magnifico tallero, che ho disegnato dal calco che me ne ha favorito S. A. R. il Principe di Napoli, fortunato possessore di questo pezzo insigne, viene a colmare una lacuna, palesandosi anche nel peso, per una di quelle monete citate nel documento. D’altronde non è probabile che questa venisse coniata dopo di quell’anno, anzi nemmeno dopo del 1583, sia perchè ci allontaneremmo di troppo dall’epoca di Ferdinando I: sia perchè allora si coniavano già altri talleri coll’effigie del successore Massimiliano II, che rimangono ancora a noi sconosciuti (V. pag. 38, Op. cit.).

Il dritto della moneta non ha nulla che riveli la zecca di origine, essendo, salvo qualche particolare insignificante, eguale a quello dei talleri ungheresi dell’Imperatore, colla stessa leggenda di quelli. E questo era più che sufficiente per la circolazione della moneta fino a che non venisse scoperta la frode. Il rovescio invece, Imperiale per l’aquila, si mostra di Dezana allo stemma ed alla leggenda: particolari questi, sui quali non si fermava certamente l’attenzione del pubblico, digiuno in gran parte di lettere e maggiormente di araldica.

Non si è assaggiato il titolo, ma al semplice aspetto si dimostra non inferiore di certo, a quello indicato sul documento più volte citato.

MODENA od URBINO?



  D/ — A L · D X · Bomba accesa, sopra una base fatta a guisa di un monticello.
  R/ — DI || MIDI || VM Traccie di una ghirlanda attorno.
Lega bassissima, peso gr. 0,57. — Cons. mediocre. Presso lo scrivente.


La bomba di questa monetina, ci richiama alla mente per analogia due serie monetarie, quella di Modena e quella di Urbino. Infatti, nella prima si coniarono quelle monete del Duca Cesare col titolo di Principe della Garfagnana, le quali portano una bomba eguale alla presente meno che nella base2; dalla seconda, uscirono certe monetine di Guidubaldo II portanti le granate a mano, oggetti guerreschi, che già prima dei Dalla Rovere si trovavano scolpiti negh ornati di quel palazzo Ducale3.

Prima di tutto devo avvertire il lettore, che la terza lettera al dritto è un po’ difettosa, e si presta egualmente bene tanto per una D come per una P. Converrà tener conto di questo fatto per la interpretazione della leggenda nelle due ipotesi sopra accennate.

Nella prima, cioè per Modena, la moneta sarebbe coniata dal Duca Alfonso I, e si dovrebbe leggere, ALfonsus . DuX . Questa lezione troverebbe una giustificazione nel numero e nella posizione dei due punti: ma è strano quel DVX segnato colle sole lettere estreme, forse per non rompere la simmetria delle quattro lettere, e credendosi più decisiva la X che non l’V, per l’interpretazione della parola. Il valore della moneta non sconcorderebbe colle altre della serie Modenese, perchè data la differenza del titolo e del peso, tornerebbe per l’appunto alla metà del valore del quattrino. Sarebbe tuttavia questo, l’unico esempio in quella zecca, dell’uso di questo infimo spezzato.

Passiamo ora alla seconda ipotesi, quella della pertinenza alla serie Urbinate. In questo caso leggeremo la terza lettera per una P, ed assegneremo la moneta all’epoca della spogliazione del Della Rovere, fatta da. Papa Leone X in favore del nipote, cioè al 15 16. Nel quale anno, Urbino prima e Pesaro poco dopo, aprirono le porte al condottiero delle schiere papaline Renzo di Cere, non avendo Francesco Maria neppur tentato di opporre difesa alcuna, anzi avendole abbandonate in tempo utile per la propria salvezza. La moneta sarebbe stata coniata in quell’intervallo di tempo, trascorso tra l’occupazione del Ducato e la bolla papale contro firmata da tutti i Cardinali meno uno, che ne investiva Lorenzo de’ Medici. Onde la leggenda dovrebbe interpretarsi, Auspice Leone . Papa X .

In questa ipotesi, noi avremmo l’appoggio di due indizi favorevoli. La disposizione della leggenda di più linee in mezzo ad una ghirlanda, foggia usitatissima in quelle zecche, è il primo. L’altro ci vien dato dalla indicazione del valore di mezzo quattrino, che si trova pure, ma in italiano perchè di epoca posteriore, sopra una monetina di Francesco Maria II4; dunque è evidente, che quel valore era usato nella monetazione Urbinate. Confrontando il pezzo con i quattrini di quell’epoca, e specialmente con quelli di Lorenzo de’ Medici coniati subito dopo, troviamo dal calcolo approssimativo del peso e della lega delle due monete, che l.’una è doppia dell’altra, e che il nostro mezzo quattrino corrisponde al picciolo.

Nella speranza di qualche nuovo esemplare che tolga il dubbio circa la terza lettera, purché il difetto non esista nel conio, ne aspetteremo la soluzione definitiva della questione tra le due ipotesi che ci tengono incerti. Meglio ancora, se prima d’allora altri più competenti in materia, ne troverà una migliore.


CORREGGIO?



  D/ — SANT · ANTONIVS Busto mitrato e nimbato; ai lati Ṡ Å
  R/ — Aquila bicipite, con corona chiusa.
Quasi rame, peso gr. 0,93, — Cons. buona. Presso lo scrivente.


Questa monetina non è inedita a rigor di termini, avendone il Kunz fino dal 1869 constatata l’esistenza nella nota a pag. 111 del volume II del Periodico dello Strozzi. Al n. 8 tav. V dello stesso volume, egli pubblicava il disegno di una consimile, che in luogo dell’intero nome del Santo ha l’abbreviazione di SANCTVS · ANT, la quale si presta a doppia interpretazione. Ed è per questo che nella nota citata, egli rilevava come venisse spesso attribuito a Piacenza quel quattrino, fatto ad imitazione di taluni dell’Imperatore Carlo V per Milano, perchè nel Santo si voleva raffigurare S. Antonino sebbene sotto parvenze che non gli corrispondono. E, notata l’esistenza di altro esemplare con SAN · ANTONIVS che infirmava l’ipotesi dell’attribuzione a Piacenza, finiva coll’invocare un ammaestramento su tale proposito.

Comincierò dall’accentuar meglio la conclusione del Kunz, dicendo: che l’ipotesi accennata, già infirmata dalle parvenze del busto, vien distrutta totalmente da questo esemplare con SAN · ANTONIVS. La zecca Piacentina non ha mai improntato questo Santo sulle sue monete, ne ha mai contraffatto moneta altrui.

Non intendo risolvere la questione mancandoci gli elementi di prova. Ma non rinunzio a formulare una ipotesi che lascio alla discrezione del lettore fino a prova in contrario. Ma questi problemi numismatici non avranno mai una soluzione, se manchino i Kunz che li propongano, e gli altri che comincino a studiarli.

Le due iniziali furono il punto di partenza per il ragionamento, semplice di molto, ma non saprei se egualmente convincente. Volendo considerarle come iniziali del nome del Santo, si avrebbe una ripetizione. Se si trattasse di moneta la cui origine fosse designata da una leggenda o da altri caratteri, questa ripetizione costituirebbe solamente un pleonasmo. Ma in questa nostra dove mancano assolutamente leggenda e caratteri relativi alla zecca, questa ripetizione mi pare veramente fuor di luogo e perciò inammessibile. In massima, gli autori di contraffazioni hanno sempre lasciato sulla moneta, qualche traccia più o meno larvata relativa alla zecca. Ecco dunque i motivi per cui le due iniziali dovevano, secondo me, tener la chiave dell’enigma, e mi fermai alla zecca dei Correggeschi leggendovi Sirus Austriacus; pronto, beninteso, a fare onorevole ammenda in caso di prova contraria.

Gli altri caratteri della moneta, non presenterebbero incompatibilità. L’aquila bicipite è quasi l’unica usata sopra le diverse specie di monete di Correggio, non trovandosi improntata quella ad una testa che eccezionalmente sui sesini e su qualche altra piccola moneta. Circa al Santo, non è questa la sola volta che S. Quirino avrebbe ceduto il posto ad altri5. E non è poi così strano che il protettore della città, abituato a cangiare costume ed attributi quasi per ogni specie di moneta, ceda anche una volta il suo posto ad un nuovo Santo, messo, perchè i Milanesi vi raffigurassero il loro Ambrogio. Si capisce poi, che col nome di S. Quirino si correva rischio di fallir l’intento, facilitato invece da un nome che cominciasse per AM o almeno per AN. Notisi ancora, che S. Antonio aveva un culto speciale in Correggio, per un altare molto venerato nel Duomo.

Dunque non si avrebbe nulla sin qui, in contrario a questa attribuzione, anzi parrebbe che ogni indizio concorresse a confermarla. Nè voglio trascurare quello del peso, il quale sebbene non costituisca mai da solo un argomento valido, pur tuttavia può concorrere alla prova in unione agli altri.

Questa monetina pesa gr. 0,93 ed è quasi di puro rame; avrebbe dunque presentato le condizioni di un buon guadagno correndo frammista alle trilline di Carlo V6, le quali al titolo di 60, pesavano gr. 1,160. Ora, si veda il documento portato dal Bigi7 che prescrive per i sesini di Correggio il peso di grani 20 di libbra Bolognese, ed il titolo di circa 120. La libbra Bolognese essendo eguale a gr. 361,851, divisibile in 12 oncie di 160 carati di 4 grani, ne risulta che i sesini vengono a pesare gr. 0,94, che è il peso della nostra monetina più un centigrammo. Ecco dunque come il contraffattore avrebbe creato in parte le prove a dimostrare che quella moneta gli apparteneva, sia per le iniziali che per il peso, ed era un vero sesino di Correggio; se poi qualcuno si fosse ingannato scambiandolo per una trillina di Carlo V, quod erat in votis, tanto peggio per lui. Ed avrebbe potuto aggiungere che volendo contraffare trilline, avrebbe prese a modello quelle contemporanee dei Filippi, e non quelle più antiche, sebbene a quei tempi queste circolassero ancora.

Avendo dovuto toccare la questione dei Santi menzionati sulle monete, non sarà male di consultare i principali elenchi che ne trattano, e che si trovano abitualmente tra le mani dei numismatici. Per non cercarne altri, basterà vedere il Tonini, il Muoni e l’Ambrosoli. Nel primo8, ricopiato poi nel vademecum del Bazzi e Santoni9, non abbiamo che un solo S. Antonio, quello abbate, ma in compenso vien prodigato a sei zecche, cioè Mirandola, Padova, Parma, Piacenza, Pesaro ed ai Laudi. Dunque questo elenco non si raccomanda per esattezza. Il Muoni10, non fa un elenco a parte, ma nota i Santi protettori per ogni zecca: egli non nomina che un solo S. Antonio per Padova, ma nel supplemento a pag. 68, assegna S. Antonio abbate a Massa Lombarda. L’A. cita ingenuamente il Catalogo Rossi11 a proposito di una monetina portata in Massa Lombarda al n, 2193, senza avvedersi dell’errore: infatti nello stesso catalogo, la detta moneta è ripetuta al n. 3459 in Pesaro, zecca alla quale vien data dal Zanetti, Vol. III, Tav. XXIV, n. 34. Finalmente l’elenco dell’Ambrosoli12 che è il più esatto di tutti, distingue i diversi Santi che hanno il nome di Antonio. Non mette in Piacenza che il solo S. Antonino che le spetta; ma assegna dubitativamente un S. Antonio a Dezana.

In conclusione, questi elenchi sono una buonissima cosa massime per i principianti, quando son fatti e tenuti a corrente colla scorta delle monete o dei documenti; ma chi volesse poi tenerli per guida nella classificazione di monete nuove, correrebbe rischio di allontanarsi dal vero.


Firenze, Ottobre 1897.


Giuseppe Ruggero.               







  1. Monete della Zecca di Dezana. Torino, 1863, a pag. 33.
  2. Vedi Promis, Monete di zecche Italiane inedite, Memoria I. Torino, 1867, al n. 26 — Crespellani, La Zecca di Modena. Modena, 1884, Tav. IX, n. 75.
  3. Vedi Giuseppe Castellani, Quattrino inedito, etc, in Riv. N. It. Anno VII, pag. 91-97.
  4. Vedi Zanetti, Nuova raccolta, etc. Vol. I, pag. 136, n. 53.
  5. Vedi Q. Bigi, Di Camillo e Siro da Correggio e lor zecca. Modena, 1870; tav. III, n. 23 e tav. IX, n. 74 e 75 — Kunz, in Archeografo triestino, Vol. VIII, n. 16 delle tavole.
  6. Vedi Gnecchi, Le Monete di Milano, ivi 1884, tav. XXV, p. 14.
  7. Op. cit, pag. 53.
  8. Topografia delle Zecche Italiane. Firenze, 1869.
  9. Vade-mecum del raccoglitore di monete ital., etc. Camerino, i886.
  10. Elenco delle zecche d’Italia, seconda edizione in Gazzetta Numismatica dell’Ambrosoli, anno V, 1885.
  11. Catalogo del Sambon per la Collezione Rossi. Roma, 1880.
  12. Manuale di Numismatica, Serie Hoepli, seconda edizione. Milano, 1895.
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