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A la sora Teta che pijja marito Alle mano d'er sor Dimenico Cianca
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1818 al 1829

AR SOR LONGHI CHE PIJJA MOJJE.

SONETTO.

     Le donne, còcco1 mio, so’ certi ordegni,
Certi negozi, certi giucarelli,2
Che si sai maneggialli e sai tienelli,
Tanto te cacci da li brutti impegni.

     5Ma si poi, nerbi-grazia, nun t’ingegni,
De levàttele un po’ da li zzarelli3,
Cerca la strada de li pazzarelli
Va’ a fiume, o scégni drento un pozzo, scégni.

     Sì, pijja mojje, levete er crapiccio
10Ma tè n’accorgerai pe ddio sagranne4
Quanno che sarà cotto er pajjariccio5.

     Armanco nun la fà tamanto6 granne;
E si nun vòi aridurte omo a posticcio,
Tiè pe’ ttée li carzoni e le mutanne.

[1827]

  1. [Caro, bello ecc.]
  2. [Giocherelli, balocchi.]
  3. [Genitali.]
  4. [Eufemismo, in luogo di pe' ddio sagrato.]
  5. [Propriamente, “cipolla al forno.„]
  6. [Più che il semplice tanto. E s'usa anche altrove; per esempio, nell'Umbria: Ho tamanta fame; Ho visto tamanto de rospo. Antico francese: tan-maint, tanto-molto.]

Note

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