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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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Arrivo a Madagascar; tregua fatta cogli abitanti,
indi violata per colpa di qualche marinaio.
Poichè era un viaggio di commercio quello che avevamo intrapreso, si trovava a bordo con noi uno scrivano, il quale dovea, dopo il nostro arrivo al Capo, regolare le vie e le stazioni del bastimento in tal guisa, che secondo il nostro contratto di noleggio non ci potessimo fermare più di un tal numero di giorni a ciascun porto dove approdavamo. Questo non era affar mio; onde non mi ci frammetteva nè poco nè assai, lasciando che il suddetto scrivano e mio nipote aggiustassero su ciò le partite come giudicavano meglio a proposito.
Non fermatici al Capo più di quanto fosse necessario per far provvigione d’acqua dolce, ci ponemmo alla meglio su la via della costa di Coromandel; e dico alla meglio, perchè eravamo stati informati, che un vascello da guerra francese armato di cinquanta cannoni e due grosse navi mercantili aveano presa la via dell’Indie. Sapendo io che in quel momento non eravamo in pace con la Francia, ciò mi metteva in qualche timore. Il fatto è per altro che quel navilio andò per la sua strada, o noi non ne udimmo più nuova.
Non istarò a tormentare il leggitore con tediose descrizioni di ciascun paese, a cui si passò da presso, di giornali del nostro viaggio, di variazioni de’ rombi della bussola, di latitudini, o dei venti di commercio.1 Basti ch’io nomini le contrade ed i porti ove ci fermammo: il primo di questi si fu l’isola di Madagascar.
Quegli abitanti, avuti generalmente in concetto di feroci e traditori, sono ben provveduti d’archi e di frecce e, nel trattare queste armi, destri oltre ogni credere; pure per alcun tempo ce la passammo piuttosto bene con essi, nè potemmo dolerci che non si comportassero con molta civiltà verso di noi. Per poche merciuole di piccolo valore, come forbici, coltelli e simili cose, ci portarono undici grassi buoi di mezzana grossezza, che in parte servirono al nostro vitto giornaliero, in parte furono salati per l’avvenire.
Poiché per fornirci di vettovaglie dovemmo rimanere per qualche tempo su l’âncora a veggente di quella spiaggia, io che sono stato sempre eccessivamente curioso di frugare tutti gli angoli di una contrada ove fossi capitato, mi andai a terra più spesso che potei. Una di queste volte fu di sera, allorchè insieme con altri, staccata una delle nostre scialappe del bastimento, venni a terra dalla parte orientale dell’isola. Vedemmo allora gli abitanti, che erano ivi in gran numero, affollarsi ad una certa distanza intorno a noi per contemplarci. Credevamo sapere (e, se altro non accadea, l’esito avrebbe provato che non c’ingannavamo), credevamo sapere che con quei nativi il segnale di tregua, anzi d’amicizia, se veniva accettato, fosse il piantare tre rami in terra, e che la prova di questa accettazione consistesse in altri tre rami piantati reciprocamente da essi. Questa tregua portava ciò non ostante una clausola generalmente conosciuta fra noi: ed era che nessuna delle parti oltrepassasse lo spazio frapposto tra i rami infitti in terra da ciascuna. Questo spazio era una specie di terreno neutrale e sacro, ove deposti, i nativi presso i rami dalla loro banda, gli archi e le frecce, gli stranieri, presso i rami della banda propria, le loro armi offensive, venivano avanti e gli uni e gli altri disarmati in questa piazza, che era un vero mercato ove si potea liberamente conversare, comprare e vendere, in somma negoziare. Se per altro aveste commessa ivi qualche violenza contro ai nativi, questi correvano ad impossessarsi di nuovo delle loro armi, e la tregua era spirata nell’atto.
Noi dunque, che nella sera di cui vi parlo eravamo in un numero maggiore del consueto, avevamo adempiuta questa formalità, tagliando tre rami da un albero, poi conficcandoli in terra, e ci vedemmo corrisposti con molti contrassegni di civiltà e d’amicizia. Essi ci portarono diverse qualità di viveri da noi pagati secondo il costume con alcune delle merciuole, che avevamo con noi. Anche le loro donne ci portarono latte e radici, e molte di quelle cose che meglio ne aggradivano; tutto in fine andava tranquillamente, onde i nostri si fecero con rami d’albero una specie di tenda o baracca per coricarvisi sotto, durante la notte.
Non mi ricordo qual ne fosse il motivo, ma so che non me la sentii di rimanere lì a dormire con gli altri; e, poichè la nostra scialuppa era all’ancora non più lontano d’un tiro di frombola dalla spiaggia, chiamai uno dei due uomini che erano stati lasciati in custodia di essa e, fatti raccogliere alcuni rami per ripararci anche noi, tornai coll’uomo chiamato a me nella barca, ove, stesa nel bel mezzo di essa la vela e fattomi il mio casotto di frasche, passai gran parte della notte dormendo.
Erano poco più di due ore dopo la mezzanotte, quando udimmo dalla spiaggia un tremendo frastuono e le grida degli uomini rimastivi, che si raccomandavano di avvicinarci a loro con la scialuppa, perchè stavano sul punto di essere trucidati. Nello stesso tempo si fece sentire lo sparo di cinque moschetti, chè cinque appunto ne aveano portati con sè: sparo che fu ripetuto tre altre volte, perchè sembra che i nativi di quelle contrade non sieno sì facili a spaventarsi del fuoco degli archibusi, come trovai che erano i selvaggi dell’America coi quali ebbi che fare. Io non capiva affatto donde tutto ciò procedesse. Ad ogni modo, scossomi tosto dal sonno, ordinai di far condurre la barca rasente la spiaggia, e presi tre moschetti che aveva a bordo, decisi di sbarcare in aiuto de’ nostri.
Ma questi aveano troppa fretta per aspettare che fossimo sotto la spiaggia con la scialuppa. Corsi al lido, appena la videro in moto, si gettarono in mare per raggiugnerla quanto più presto poteano, vedendosi inseguiti da non meno di tre in quattro centinaia di nativi. I nostri erano undici; cinque moschetti erano in tutto le principali loro armi. Aveano, se vogliamo, alcune pistole e sciabole; ma quest’ultime potevano giovarli ben poco in tale frangente.
Di nove che avevamo lasciati sul lido ne raccogliemmo sol sette, e questi a grande stento, perchè tre di loro erano gravemente feriti; e fuvvi di peggio che, mentre stavamo intenti a far entrare i nostri notatori nella scialuppa, eravamo in pericolo maggiore di quello corso da essi sopra la spiaggia; perchè il nemico mandava addosso alla scialuppa stessa tal nugolo di frecce, che avemmo per grazia speciale il poterla riparare con le panche e tre o quattro piane d’abete, per un caso fortunatissimo trovatesi in essa. Nè ciò ne avrebbe giovato se fosse spuntata l’alba, giacchè la menoma parte del nostro corpo che coloro avessero distinta, erano troppo infallibili bersaglieri per non colpirci. Un picciol chiaro di luna ne fece discernere che si apparecchiavano appunto a darci un saluto di frecce, quando, avendo unite lì tutte le nostre armi da fuoco, mandammo ad essi tal fiancata che potemmo accorgerci dalle loro grida, come ne avesse feriti molti. Ciò non ostante si tennero tutti su la spiaggia in ordine di battaglia, aspettando il nascere dell’aurora, il che credo facessero per poterci a quel lume prendere meglio di mira.
Ridotti a sì tristo partito, non sapevamo nemmeno come fare a levar l’âncora e spiegare le vele, perchè tutto ciò ne avrebbe obbligati a mostrarci nella parte più alta della scialuppa, ed era tanto facile a coloro lo stendere morto ognun de’ nostri uomini con una frecciata, quanto sarebbe stato per noi il far con pallini d’un moschetto lo stesso servigio ad un uccello fermo sopra una frasca. Demmo allora il segnale di disastro al bastimento. Ancorchè questo fosse all’âncora una lega lontano da noi, pure mio nipote, il capitano, che aveva udito il nostro fuoco e scoperto con un cannocchiale in quali strette fossimo, e veduto in oltre il nostro fuoco addirizzato alla costa, capì ottimamente di che si trattava. Laonde, levata l’âncora con tutta speditezza, si avvicinò tanto alla spiaggia, quanto poteva avventurarsi con un grosso bastimento; poi ne mandò in aiuto l’altra scialuppa armata da dieci uomini.
Appena la vedemmo accostarsi, le gridammo di non venir troppo vicino spiegandole a qual condizione ci trovassimo noi. Nondimeno fecero un buon tratto di mare alla nostra volta; indi un di que’ piloti, presa la punta d’un cavo e date tali disposizioni, per cui la scialuppa di soccorso stesse affatto coperta dalla nostra agli occhi dell’inimico, saltò in acqua e venne nuotando a trovarci. Quivi attaccò il cavo della sua scialuppa alla nostra, intantochè noi facemmo scorrere quanto cavo potemmo della nostra âncora, onde, lasciandoci addietro l’âncora stessa, potessimo essere rimorchiati dalla barca soccorritrice e trovarci fuor del tiro delle frecce, da cui ci salvammo in questo mezzo tenendoci ben nascosti dietro al parapetto che ci avevamo fabbricati. Questa fazione riuscì a buon termine.
Posti così in sicuro nella seconda scialuppa, la girammo in modo da non impedire la vista della spiaggia al bastimento, che scorse, costeggiando la costa, quanto fu d’uopo per mettere il suo fianco rimpetto ai nemici. Allora mio nipote, fatto mettere nei cannoni, oltre alle palle e mitraglia e chiodi e simili galanterie, mandò ad essi tale saluto, che ne fece, vi dico io, un esterminio da dover essi ricordarsene per un pezzo.
Entrati finalmente tutti nel bastimento e posti fuor di pericolo, avemmo tempo d’esaminare qual fosse stata l’origine di tal inconveniente. Anzi mi spinse a questa indagine lo scrivano, il quale essendo stato altre volte da quelle parti, mi assicurò che gli abitanti dell’isola non avrebbero mai violata, dopo averla pattuita, una tregua, senza credersi stimolati a ciò in qualche modo dai nostri. In fin del conto venimmo a sapere come una vecchia capitata nel terreno neutrale per venderci latte avesse condotta con sè una giovine che portava in oltre radici ed erbe a quel mercato; e che, mentre la vecchia (se madre o no della giovine niuno potè dirlo) stava contrattando pel suo latte, uno de’ nostri si permise sconcie libertà con la giovine; che la vecchia, accortasi di questo, ne menò grande strepito; che ciò non ostante il piloto non volle abbandonare la sua presa, anzi favorito dall’ora oscura si trasse con sè la giovine nel folto della selva, sì che la vecchia più non la vedendo, fu costretta partire senza di lei. Quella vecchia pertanto, non potemmo immaginarci altro, andò a mettere in fermento, narrandole il caso occorsole, la popolazione, che in tre o quattro ore riuscì a mettere insieme quella formidabile banda di combattenti; da cui fu gran prodigio se non rimanemmo tutti ammazzati.
Un de’ nostri cadde trafitto da una lancia al principio dell’assalto nell’atto stesso di uscire fuori della tenda di verdura che s’aveano fabbricata. Gli altri si salvarono alla meglio, eccetto il mariuolo che diede origine allo sconcio e che pagò a caro costo i favori della negra sua bella, come vedremo; ma per allora non potemmo scoprire che cosa fosse accaduto di lui.
A malgrado del vento che spirava propizio per la partenza, ci fermammo due giorni in quella situazione, dando segnali per vedere se il piloto ne corrispondeva, e mandando per lo stesso fine la scialuppa a costeggiare su e giù parccchie leghe di spiaggia; ma tutto invano. Già ci vedevamo obbligati a dismettere ogni ricerca: così avessimo fatto! perchè se il male cadea soltanto sopra colui, sarebbe stata la minore delle perdite.
- ↑ Tradewinds; così propriamente sono chiamati que’ venti su cui si regolano maggiormente le navigazioni dei trafficanti marittimi. Si distinguono questi principalmente in alisei che regnano costantemente da greco a levante in certi spazi di mare, massime nell’oceano occidentale fra i tropici, ed in monsoni, venti regolari e periodici che ne’ mari dell’India spirano sei mesi da una parte e sei dalla parte contraria.