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28. O ch’Amor sia, o sia lucida stella
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O ch’Amor sia, o sia lucida stella,
     Te nel mio meditar forma sovente
     Leggiadra vaga splendida e piacente,
     Qual viva esser solevi1, e così bella.
     Quivi con teco l’anima favella,5
     Ode e risponde e tanta gioia sente,
     Che la gloria del ciel crede niente,
     Quantunque grande, per rispetto a quella.
Ma, com’ la viva imagine si fugge
     E rompesi il pensier che la tenea,10
     E che ’n terra se’ cener mi ricorda,
     Torna il dolor che mi consuma e strugge,

     E prego te, che la morte mi dea
     Il tuo seguir2: de’ non esser più sorda!

  1. È un sonetto in morte della donna amata.
  2. «Che la morte mi conceda di seguirti.» Cfr. XCVII, 13-14; CI, 12-14; CII, 12-14; CIV, 13-14.


Note

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