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CXXIII. Se Dante piange, dove ch’el si sia
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CXXIII.

AL MEDESIMO.


Se Dante piange, dove ch’el si sia1,
     Che li concetti del suo alto ingegno
     Aperti sieno stati al vulgo indegno,
     Come tu di’, dalla lettura mia2,
     Ciò mi dispiace molto, né mai fia5
     Ch’io non ne porti verso me disdegno:
     Come ch’alquanto pur me ne ritegno,
     Perché d’altrui, non mia, fu tal follia3.

Vana speranza et vera povertate
     Et l’abbagliato senno delli amici10
     Et gli lor prieghi ciò mi fecer fare.
     Ma non goderan guar di tal derrate4
     Questi ingrati meccanici5, nimici
     D’ogni leggiadro et caro adoperare6!Fonte/commento: editio maior

  1. «Dovunque si trovi.»
  2. È, meglio precisato, il medesimo concetto che in forma metaforica era stato espresso in CXXII, 1-4.
  3. Intendasi ‘che non di sua iniziativa fu fatta questa lettura, né fu perfettamente libero nella sua decisione, come spiegherà nei versi successivi’ (Zingarelli).
  4. La Lettura.
  5. «Uomini rozzi, materiali.»
  6. Cfr. XCI, 4.


Note

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