< Catone Maggiore
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X XII

Il senno supplisce ne’ vecchi la fisica debolezza.

Nella vecchiezza vengono meno le forze, né vi sarebbe ragione di pretenderne da essa. Per legge è dispensata da ogni atto, dove sia mestieri vigoria di corpo; nessun obbligo ci corre di fare quelle cose a cui siamo inetti, e nemmeno di adempirle nella misura che le forze nostre ce lo permetterebbero. Poiché tale è l’imbecillità di molti vecchi da renderli incapaci d’ogni ufficio, nonché di qualsiasi comune incumbenza sociale. Ciò però non potrebbe assegnarsi a vizio speciale della vecchiezza, bensì alle infermità inseparabili dalla umana natura.

Poteva essere più sfinito di forze quel figlio di Publio Scipione Africano, del quale tu sei figlio adottivo? Poteva la di lui salute essere più vacillante o per meglio dire soffrire infermità più ostinate? Se le malattie non avessero reso tanto grave la sua debolezza, Roma avrebbe vantato una gloria di più, poiché al generoso animo del genitore accoppiava una erudizione di gran lunga più vasta.

Perché dunque far sì gran caso delle infermità de’ vecchi, se i giovani medesimi talvolta non ponno evitarle?

È mestieri, o Lelio o Scipione, avvezzarsi a far resistenza alla vecchiezza, e supplire ai di lei incomodi con l’alacrità: combatterla, come avviene delle malattie, quando ne siamo assaliti. Aver giudiziosa cura della salute; attendere a moderati esercizi; di cibo e bevanda prenderne quella porzione che basti bensì a rifare le forze, non mai a intorpidirle.

Il corpo non solo, ma le morali facoltà educare e soccorrere, poiché a guisa della fiamma che mancando l’olio si spegne, così queste vengono offuscate dalla vecchiezza. Diversamente dai corpi snervati dall’eccessivo esercizio e dalla fatica, l’animo è più svegliato quanto più operoso.

Conciossiaché quando il poeta Cecilio ci presenta sulla scena i vecchi stolidi, li sottintende creduli, smemorati, dissoluti; cattive qualità non appartenenti all’indole dell’età attempata, bensì generate dall’inerzia, dall’ozio, dalla svogliatezza, che in certi vecchi diventò abitudine.

A quel modo che inverecondia e libidine sono vizi assai più da giovani, che da vecchi, e non per questo può darsena la taccia ai giovani tutti, sibbene ai malvagi fra essi; del pari non tutti i vecchi, ma quelli soli di poco cervello si abbandonano alle stolidezze, e smarriscono il retto criterio.

Appio, vecchio e cieco com’era, governava quattro figli già adulti, cinque figlie, un servidorame assai numeroso, ed una estesa clientela. Con mente svegliatissima attendeva a tutti gli affari, i quali non soffrirono mai perché fosse tanto attempato.

Non pago di essere capo della famiglia, ei ne esercitava di fatto il potere: temuto dagli schiavi, rispettato dai liberi. Tutti lo avevano caro, e la di lui casa offriva un modello di costumi, e di ordine veramente romano. Così la vecchiezza sostiene il decoro, e vale a mantenersi indipendente, se non è costretta a spogliarsi dell’autorità, e se col senno domina la famiglia fino all’ultimo limite della vita.

È degno di tutta la mia stima quel giovine che la pensa da uomo maturo, non meno del vecchio che conserva vivacità ed animo giovanile, in esso invecchiando bensì il corpo, l’ingegno reggendosi sempre vigile e pronto.

Dal canto mio, ora sto componendo il settimo libro di Origene, faccio collezione d’antichi monumenti, attendo indefessamente a ripulire le orazioni da me pronunciate nelle più celebri cause, studio sui codici degli Auguri, dei Pontefici, e del diritto civile; faccio altresì quotidiano esercizio di lettere greche, e giusta l’uso de’ pitagorici, onde tenermi pronta la memoria di quanto dissi, ascoltai e feci nella giornata, tengo nota nella sera. È questa la maniera di affilare l’ingegno, questa la ginnastica del pensiero. Occupato assiduamente, ottengo di sentire ben poco il bisogno delle forze del corpo. Non lascio negletti gli amici, di frequente intervengo alle adunanze del Senato; per quelli e per questo presento memorie profondamente studiate che faccio valere col vigore dell’animo, anziché con le fisiche forze. Ed ove me ne sentissi incapace, mi riuscirebbe gradito anche lo stesso letto sul quale starei adagiato, elaborando col pensiero le idee che non bastassi a mandare ad effetto. Ma grazie al mio sistema di vita, m’è dato di attendervi e trarle a compimento.

In questo modo per coloro che fra gli studi conducono una vita attiva e indefessa, la vecchiezza viene quasi inosservata, gli anni si accumulano senza avvedersene, e il filo dell’età non si spezza all’improvviso, ma nell’attrito d’un giorno con l’altro è consumato.

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