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CEFALO E PROCRI.
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Dal Libro III dell’Arte d’Amore
dello Stesso.
Quante un incauto credere
Talor sciagure apporti,
Di Procri l’infortunio,
4Sposi, vi renda accorti.
Non lungi dalle floride
Pendici dell’Imetto
Sgorga una fonte e morbido
8Vi fan l’erbette un letto.
Bossi e ginestre adombrano
Il tacito recesso;
Il mirto, il pin vi crescono
12Il lauro ed il cipresso.
Di un odorato zefiro
Agli aliti giocondi
Gli erbosi cespi ondeggiano,
16Susurrano le frondi.
Stanza gradita a Cefalo
Che, cani e cacciatori
Lasciando altrove, assidersi
20Ivi godea sui fiori.
E «Vieni, o mobil Aura,
Solea cantar sovente,
Ninfa cortese, a molcere
24Vieni il mio petto ardente.»
Del malaccorto Cefalo
I detti alcun raccoglie,
E li riporta al credulo
28Orecchio della moglie.
Di subito alla misera
Irte si fer le chiome
Chè nome di un’adultera
32Di Aura le parve il nome;
E impallidì qual sogliono
A terra impallidite
Cader d’autunno al termine
36Le foglie della vite.
Poi come dal delirio
La misera si scosse,
Stracciò le molli porpore,
40II petto si percosse.
Disciolta il crin sugli omeri,
D’indugio intollerante,
Già le vie fende ed ulula
44A guisa di Baccante.
Giunta all’Imetto, lascia
L’ancelle a mezza valle,
E dentro al bosco intrepida
48Varca per ermo calle.
Oh qual, donzella improvvida,
Era in tuo cor tempesta,
Quando sedevi in guardia
52Nascosa alla foresta!
Ansia de’ venti al murmure
Gli occhi volgeva attorno;
Scovrir in ogni cespite
56Temeva il proprio scorno.
Procri infelice! or scernere
Ella vorrebbe il vero,
Or non vorrebbe: fluttua
60Perplesso il suo pensiero.
Il nome, il loco acquistano
A’ suoi sospetti fede:
Quanto paventa il misero
64Agevolmente crede.
Come di un uom vestigio
Vide sull’erba impresso,
Fiero la colse un tremito,
68Le battè ’l cor più spesso.
Ed alto il sol degli arbori
L’ombra minor già fea,
E spazio eguale il vespero
72Dall’alba dividea.
Ecco ritorna Cefalo,
Beltà divina, al fonte,
Nelle fresche acque a tergere
76La polverosa fronte.
Procri lo mira e palpita:
Ei steso sull’erbetta,
Venite, esclama, o zefiri.
80Vieni, cortese auretta.
L’inganno del vocabolo
Procri conobbe appena,
Che l’ansio core esilara,
84La faccia rasserena.
Sorge; e col petto aprendosi
La via fra le conserte
Ombre del bosco a Cefalo
88Sen corre a braccia aperte.
Quei d’una fiera il giungere
Udir pensando, in fretta
Sull’arco inconsapevole
92Incocca la saetta.
Che fai? t’arresta, o Cefalo,
Vano timor t’assale.....
Che festi? A Procri, o misero,
96Vibrasti in sen lo strale.
«O fatal selva! O Cefalo,
Ella cadendo esclama,
Come potesti uccidere
100La tua fedel che t’ama?
Giovane io muoio; e giovane
Morir già non mi pesa,
Poi che di donna estrania
104Più non pavento offesa.
Prendi il supremo anelito,
Aura temuta invano:
Tu le pupille chiudimi,
108O sposo, di tua mano.»
Disse: e dal sen lo spirito
A poco a poco uscito
Tremanti i labbri accolgono
112Del pallido marito.
Ei fra le braccia esanime
Sostien l’amata sposa,
E lava di sue lagrime
116La piaga sanguinosa.....