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Niccolò Machiavelli - Clizia (1525)
Atto quarto
Scena seconda
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Nicomaco, Cleandro, Pirro
- Nicomaco
- Oh, come è ella ita bene! Hai tu veduto come la brigata sta malinconosa, come mogliama sta disperata? Tutte queste cose accrescono la mia allegrezza; ma molto più sarò allegro, quando io terrò in braccio Clizia, quando io la toccherò, bacerò, strignerò. O dolce notte! giugnerovv’io mai? E questo obligo, che io ho teco, io sono per pagarlo a doppio!
- Cleandro
- (a parte) O vecchio impazzato!
- Pirro
- Io lo credo; ma io non credo già che voi possiate fare cosa nessuna questa sera, né ci veggo commodità alcuna.
- Nicomaco
- Come?! Io ti vo’ dire come io ho pensato di governare la cosa.
- Pirro
- Io l’arò caro.
- Cleandro
- (a parte) Ed io molto più, che potrei udir cosa, che guasterebbe e fatti d’altri, e racconcerebbe e mia.
- Nicomaco
- Tu cognosci Damone, nostro vicino, da chi io ho tolto la casa a pigione per tuo conto?
- Pirro
- Sì, cognosco.
- Nicomaco
- Io fo pensiero che tu la meni stasera in quella casa, ancora ch’egli vi abiti e che non l’abbia sgombera, perch’io dirò ch’io voglio che tu la meni in casa dove l’ha a stare.
- Pirro
- Che sarà poi?
- Cleandro
- (a parte) Rizza gli orecchi, Cleandro!
- Nicomaco
- Io ho imposto a mogliama che chiami Sostrata, moglie di Damone, perché gli aiuti ad ordinare queste nozze ed acconciare la nuova sposa; ed a Damone dirò che solleciti che la donna vi vadia. Fatto questo, e cenato che si sarà, la sposa da queste donne sarà menata in casa di Damone, e messa teco in camera e nel letto, ed io dirò di volere restare con Damone ad albergo e Sostrata ne verrà con Sofronia qui in casa. Tu, rimaso solo in camera, spegnerai il lume, e ti baloccherai per camera, faccendo vista di spogliarti; intanto io, pian piano, me ne verrò in camera, e mi spoglierò, ed enterrò allato a Clizia. Tu ti potrai stare pianamente in sul lettuccio. La mattina, avanti giorno, io mi uscirò del letto, mostrando di volere ire ad orinare, rivestirommi, e tu enterrai nel letto.
- Cleandro
- (a parte) O vecchio poltrone! Quanta è stata la mia felicità intendere questo tuo disegno! Quanta la tua disgrazia ch’io l’intenda.
- Pirro
- (a parte) E’ mi pare che voi abbiate divisata bene questa faccenda. Ma e’ conviene che voi vi armiate in modo che voi paiate giovane, perché io dubito che la vecchiaia non si riconosca al buio.
- Cleandro
- E’ mi basta quel che io ho inteso: io voglio ire a raguagliare mia madre.
- Nicomaco
- Io ho pensato a tutto, e fo conto, a dirti il vero, di cenare con Damone, ed ho ordinato una cena a mio modo. Io piglierò prima una presa d’uno lattovaro, che si chiama satirionne.
- Pirro
- Che nome bizzarro è cotesto?
- Nicomaco
- Gli ha più bizzarri e fatti, perché gli è un lattovare, che farebbe, quanto a quella faccenda, ringiovanire uno uomo di novanta anni, nonché di settanta, come ho io. Preso questo lattovaro, io cenerò poche cose, ma tutte sustanzevole: in prima, una insalata di cipolle cotte; dipoi, una mistura di fave e spezierie...
- Pirro
- Che fa cotesto?
- Nicomaco
- Che fa? Queste cipolle, fave e spezierie, perché sono cose calde e ventose, farebbono far vela ad una caracca genovese. Sopra queste cose si vuole uno pippione grosso arrosto, così verdemezzo, che sanguini un poco.
- Pirro
- Guardate che non vi guasti lo stomaco, perché bisognerà, o che vi sia masticato, o che voi lo ’ngoiate intero: non vi vegg’io tanti o sì gagliardi denti in bocca!
- Nicomaco
- Io non dubito di cotesto, ché, bench’io non abbia molti denti, io ho le mascella che paiono d’acciaio.
- Pirro
- Io penso che, poi che voi ne sarete ito, ed io entrato nel letto, che io potrò fare sanza toccarla, perché io ho viso di trovare quella povera fanciulla fracassata.
- Nicomaco
- Bàstiti ch’io arò fatto l’ufficio tuo e quel d’un compagno.
- Pirro
- Io ringrazio Dio, poiché mi ha dato una moglie in modo fatta, ch’io non arò a durare fatica né a ’mpregnarla, né a darli le spese.
- Nicomaco
- Vanne in casa, sollecita le nozze, ed io parlerò un poco con Damone, ch’io lo veggo uscir di casa sua.
- Pirro
- Così farò.
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