Questo testo è completo.

Quando, dopo aver letta qualche opera di autore sconosciuto, la troviamo interessante e degna di osservazione, siamo tosto spinti dalla curiosità a ricercarne lo scrittore. Avendone rilevato il carattere dall’opera stessa, bramiamo avere un nome a cui applicarlo. Ci duole d’ignorar quello di una persona che c’interessa, e di dover lodare e stimare un Essere anonimo e sconosciuto. Forse il suo nome non ce lo farebbe conoscere più di quello che può fare l’opera stessa, ma noi crediamo di essere abbastanza informati intorno ad uno scrittore, quando ne sappiamo il nome. Riguardo alle opere antiche, questa curiosità va ancora più avanti. La difficoltà di conoscere l’autore di qualcuna di esse, non fa che aumentarla. Pochi sperano di acquistar gloria collo scuoprire l’autore di uno scritto moderno, ma ogni scoperta fatta nei campi dell’antichità è creduta interessare tutta la Repubblica dei Letterati. Il solo aver tentata un’impresa di questo genere senza mancare di qualche successo, basta talvolta a render famoso il nome di uno scrittore. Intelligenza di antichi linguaggi, esame di vecchi libri, acutezza di critica, finezza di giudizio, tutto si pone in opera per ottenere l’intento desiderato, o per persuadere ai lettori d’averlo ottenuto. Una scoperta difficile è sempre bella, se non per la sua utilità, certamente per la sua difficoltà, poiché l’ingegno fu sempre stimato più della sodezza, e lo strepito più della riflessione.

La Batracomiomachia però, ossia la Guerra dei topi e delle rane, può veramente dirsi un’opera interessante. La bassezza dell’argomento non può farle perdere nulla del suo pregio. Il Genio si manifesta dappertutto, e tutto è prezioso ciò che è consacrato dal Genio. Boileau non è meno famoso per il Lutrin che per l'Arte Poetica; la Dunciade e il Riccio Rapito sono parti del traduttore dell’Iliade e dell’autore del Saggio sopra l’uomo; e l’Ariosto contrasta ancora al Tasso il primato del Parnaso Epico Italiano. Famosa è la proposizione di Iacopo Gaddi. "Voglio", scrisse egli, "pronunziare un paradosso, benché abbia alquanto paura dei censori nasuti e dei motteggiatori. La Batracomiomachia mi par più nobile e più vicina alla perfezione che l’Odissea e l’Iliade, anzi superiore ad ambedue nel giudizio, nell’ingegno e nella bellezza della tessitura che la rendono un poema giocoso affatto eccellente"[1]. Martino Crusio analizzò la Batracomiomachia con tutte le regole della critica, e la trovò Poema Eroi-Comico esattamente corrispondente a tutte le leggi dell’arte poetica, e perfetto in tutte le sue parti. E già senza il voto del Gaddi e l’analisi del Crusio, il disegno, l’invenzione e la condotta del poema, la felicità e lepidezza dei ritrovati, e quell’acconcia mescolanza di cose basse e volgari con parole, e cose grandi e sublimi, dalla quale nasce il ridicolo, fanno conoscere ad ogni uomo di gusto che la Batracomiomachia non è parto di un poeta mediocre.

Si desta quindi in noi il desiderio di sapere il nome di questo poeta. Già da molti secoli il poema porta quello di Omero, a cui espressamente lo attribuì Marziale, che scrisse sopra la Batracomiomachia quell’epigramma[2]:

Perlege Mæonio cantatas carmine ranas,
Et frontem nugis solvere disce meis.

Così anche Fulgenzio[3]:

Quod Mæonius ranarum
Cachinnavit proelio.

Stazio volendo mostrare che i maggiori poeti, prima di esercitarsi in oggetti grandi, aveano preso a cantare cose basse e pedestri, citò la Zanzara di Virgilio e la Batracomiomachia[4], con che diè a vedere che riguardava questo poema come opera di Omero, il quale solo potea citarsi al fianco di Virgilio. L’autor greco della Vita di Omero attribuita ad Erodoto, dice che quel poeta compose la Batracomiomachia, dopo l’ Iliade, e prima dell’ Odissea, nella terra chiamata Bolisso, vicino alla città di Chio, in casa del padrone del pastore Glauco. È inutile rammentare gli autori greci più moderni che attribuirono ad Omero la Batracomiomachia, come Tzetze citato dal Bentley, che annovera la Battaglia dei topi fra le tredici opere lasciate, a suo dire, da Omero[5]; ed Apostolio, di cui ricorda il Labbé[6] alcuni versi politici in lode della Batracomiomachia. Fra quelli che hanno scritto nelle lingue volgari, moltissimi hanno riguardato quel poema come parto veramente di Omero, e il Lavagnoli in una lunga prefazione premessa alla Batracomiomachia da lui tradotta, ha sostenuta con tutte le sue forze questa opinione. "Non potrebbe esser questo per avventura", dic’egli parlando di Omero, "un primo parto della sua mente? un esperimento che volle egli fare di sé medesimo in mira delle maggiori cose che divisava di scrivere?" Maittaire e Francesco Redi nell’Avvertimento premesso alla Guerra dei Topi e dei Ranocchi di Andrea del Sarto, giudicano la Batracomiomachia, produzione degna di Omero, e Pope dice che un grande autore può qualche volta ricrearsi col comporre uno scritto giocoso, che generalmente gli spiriti più sublimi non sono nemici dello scherzo, e che il talento per la burla accompagna d’ordinario una bella immaginazione, ed è nei grandi ingegni, come sono spesso le vene di mercurio nelle miniere d’oro.

Ciò è verissimo, ma prova solo che Omero poté scrivere un poema giocoso, non che egli è in effetto l’autore della Batracomiomachia. Sarebbe un pazzo chi negasse la prima proposizione, non però certamente chi negasse la seconda, la quale ha avuti in realtà moltissimi oppositori. Proclo parla della Batracomiomachia come di opera attribuita ad Omero solamente da alcuni. "Scrisse", dic’egli di Omero[7], "due poemi: l’ Iliade e l’ Odissea. Alcuni gli attribuiscono ancora dei poemi giocosi, cioè il Margite, la Batracomiomachia, l'Entepazzio, la Capra, e i Cercopi vani." Così anche Eustazio. Il primo dei due autori anonimi delle Vite di Omero, pubblicate dall’Allacci, sembra rigettare espressamente la Batracomiomachia come supposta e di autore differente da Omero, poiché dice di questo poeta: "Nulla gli si deve attribuire, fuorché l’ Iliade e l’ Odissea. Gli Inni e gli altri poemi che gli si ascrivono, si hanno a tenere per opere di altri autori, a cagione della differenza, sì del carattere che della bellezza degli scritti. Alcuni gli vogliono attribuire anche due opere che vanno intorno coi titoli di Batracomiomachia e di Margite. Quanto ai poemi che veramente gli appartengono, essi si cantavano un tempo qua e là spartitamente, e furono riordinati da Pisistrato l’Ateniese." E certamente, leggendo gli antichi scritti, si trova che l’antichità era in dubbio intorno all’autenticità della Batracomiomachia, forse niente meno di quello che lo siamo noi al presente. Gli Scoliasti di Sofocle[8] e di Euripide[9] citano la Batracomiomachia senza nominarne l’autore, con che sembrano dare a vedere di essere incerti intorno ad esso. Apollonio Discolo riporta un luogo della Batracomiomachia senza indicare né l’autore, né il poema[10]: ma da ciò non si può cavare alcuna conseguenza, poiché egli cita più volte nella stessa guisa dei passi di Omero e di altri autori. Suida, parlando di Omero[11], annovera la Miobatracomachia, così detta da lui, tra le sue opere dubbie, ed altrove[12] di Pigrete Alicarnasseo, fratello della famosa Artemisia moglie di Mausolo, dice che compose il Margite e la Batracomiomachia. E di questa lo stesso Pigrete è fatto autore da Plutarco, il quale scrive di Erodoto[13]: "Finalmente narra che a Platea i Greci, sedendo oziosamente, ignorarono sino al fine la battaglia; appunto come Pigrete fratello di Artemisia disse essere accaduto nel combattimento dei topi e delle rane, che egli per giuoco descrisse in versi; aggiungendo che gli Spartani a bella posta combatterono in silenzio, perché gli altri non avessero contezza della pugna." Enrico Stefano[14] dice di aver veduto un esemplare della Batracomiomachia, in cui questa attribuivasi a Pigrete di Caria. Di simiglianti esemplari fanno pur menzione il Labbé[15] ed il Nunnes[16], presso cui, dice il Fabricio[17], per errore di stampa si legge: Tigreti, in luogo di Pigreti. Ma in verità questo errore è dei Codici, non della stampa, e in un manoscritto Naniano si trova la Batracomiomachia con questo titolo: Ὁμήρου Βατραχομυομαχία ἐν δέ τισι Τίγρετος τοῦ Καρός "Batracomiomachia di Omero, o, come si legge in alcuni esemplari di Tigrete di Caria".

Fra i moderni, Daniele Heinsio, Giovanni le Clerc, e molti altri contrastarono ad Omero la Batracomiomachia. Madama Dacier dicendo che i migliori critici riconoscono quel poema per falsamente attribuito ad Omero[18], mostra di non pensare essa stessa in diversa guisa. Stefano Bergler[19] conta fino ad otto parole della Batracomiomachia, che non sembrano essere state in uso al tempo di Omero, il quale non se ne serví mai nell’ Iliade e nell’ Odissea, benché spesse volte avesse occasione di farlo; e rileva alcuni modi di dire usati nello stesso poema che non paiono propri di Omero. Fa rimarcare che i Grammatici, per testimonianza di Eustazio, osservarono non essersi quel poeta servito della voce ἥλιος che una sola volta, cioè nel libro ottavo dell’ Odissea, e che nondimeno quella voce s’incontra nel penultimo verso della Batracomiomachia. Trova che presso Omero la lettera α del verbo ἱκάνω, e dei casi formati dallo stesso è sempre lunga, e la υ dell’aoristo secondo, e futuro secondo del verbo φεύγω è sempre breve, mentre nella Batracomiomachia si ha ἵκανεν colla sillaba κα breve, ed ἀπέφυγεν colla sillaba φυ lunga. Finalmente sospetta che l’autore della Batracomiomachia abbia tratto dalle Nubi d’Aristofane il pensiero delle zanzare, che colle loro trombe danno alle armate dei topi e delle rane il segnale della battaglia. Cesarotti[20] osserva che la descrizione dei Granchi fatta con parole composte e strane quanto i mostri che si vogliono descrivere, non sente per nulla il tempo e lo stile di Omero. Questa descrizione è compresa in cinque versi, che egli traduce così:

Venne la razza
Ossosa, incudischiena, incurvibraccia,
Guercia, forbicibocca, ostricopelle,
Marciaindietro, ampiospalla e gambistorta,
Manispasa, occhiterga, impettosguarda,
Ottipede, bicipite, intrattabile.

L’uso di queste bizzarre parole sembra esser venuto molto più tardi, e se ne hanno esempi presso Plauto, Ateneo[21], S. Basilio, Suida, e nell’Antologia. Michele Neandro, Lo Scaligero, l’Huet ed altri composero Epigrammi con parole di tal fatta. Tale è quello di Egesandro contro i Sofisti, che Giuseppe Scaligero recò in versi latini in questa guisa:

Silonicaperones, vibrissasperomenti,
Manticobarbicolæ, extenebropatinæ.
Obsuffarcinamicti, planilucernituentes,
Noctilatentivori, noctidolostudii.
Pullipremoplagii, sutelocaptiotricæ,
Rumigeraucupidæ, nugicanoricrepi.

A tutte queste osservazioni fatte già dagli eruditi, ne aggiungerò io una, che non credo fatta ancora da alcuno. La descrizione delle angosce e dei diversi atti del topo che naviga sul dorso di Gonfiagote, mi sembra imitazione affettata di quella che fa Mosco degli atti di Europa trasportata per mare dal suo toro. L’autore della Batracomiomachia dice che Rubabriciole vedendosi bagnare dall’acqua, tremava e piangeva, invocava gli Dei, si stringeva al corpo di Gonfiagote, e lasciata andare la coda in acqua, tiravasela dietro come un remo, e che finalmente prese a parlare. Mosco dice di Europa che vistasi all’improvviso trasportare in mare, si turbò, e che seguendo il toro il suo cammino, essa con una mano ne stringea un corno, e coll’altra traeva in su la sua veste perché non si bagnasse, e che finalmente non vedendo più che acqua e cielo, parlò al toro, e chiamò Nettuno in suo soccorso. La similitudine di Europa, che nella Batracomiomachia si pone in bocca al sorcio, sembra dare qualche peso al mio sospetto. Io non so se l’accaduto a me possa confermare in alcun modo questa opinione. Io non avea mai letta la Batracomiomachia. Leggendola attentamente, e giunto al luogo in cui si descrivono le angustie del topo navigatore, credei subito trovarvi molta conformità con quello di Mosco, che ho accennato. Io non avea ancora veduta la similitudine di Europa, ma seguendo a leggere, e incontratala, mi confermai fortemente nel mio parere, giudicando verisimilissimo che l’autore della Batracomiomachia avesse tolta quella similitudine appunto dall’Idillio che avea sotto gli occhi, e che avea imitato nei versi precedenti; e mi persuasi tosto la Batracomiomachia non esser di Omero, ma di autore posteriore ai tempi di Mosco, vale a dire a quelli di Teocrito, poiché, come dimostrasi con buone ragioni, questi due poeti furono contemporanei. Forse anche altri leggendo la Batracomiomachia colle disposizioni in cui io mi trovava, potrebbono concepire lo stesso sospetto, ed essi sarebbono i più favorevoli alla mia opinione, poiché un’intima persuasione originata dal caso ha spesse volte più forza sul nostro animo che qualunque prova ricercata e studiata.

Può adunque supporsi che l’autore della Batracomiomachia non sia anteriore al secolo terzo avanti l’Era Cristiana, e certamente non si trova fatta menzione del suo poema presso alcuno scrittore più antico di quel secolo. Quanto all’autore della Vita di Omero attribuita ad Erodoto, quasi tutti i critici si accordano nell’asserire che esso è ben differente dallo Storico, di cui la sua opera porta il nome, né v’ha, che io sappia, alcuna ragione che impedisca di crederlo posteriore al secolo già nominato. Io non so quanta osservazione meriti il pensamento di Pietro la Seine, che crede aver Plauto avuto riguardo alla Batracomiomachia allorché fe’ dire al suo Crisalo[22]:

Si tibi est machæra, et nobis veruina est domi,
Qua quidem te faciam, si tu me irritaveris,
Confossiorem soricina nenia.

Ma, ad ogni modo, Plauto non fiorì più di due secoli circa avanti la nostra Era. Andrebbe a terra la mia opinione se fosse certo ciò che suppone il Fabricio[23], cioè, che alla battaglia dei topi e delle rane descritta nella Batracomiomachia alludesse Alessandro il Grande, allorché avuta nuova del combattimento seguìto fra le truppe di Antipatro e di Agide re di Sparta, disse, al riferire di Plutarco[24]: "Pare, miei amici, che mentre noi qui sconfiggevamo Dario, sia seguìta in Arcadia certa zuffa di sorci". Ma il senso di questo detto s’intende molto bene senza ricorrere all’allusione, e il disprezzo che Alessandro volea manifestare per quella battaglia, è abbastanza espresso dal paragonare che egli fa i combattenti a dei topi, onde non è necessario supporre che egli avesse in vista il combattimento di questi animali cantato dall’autore della Batracomiomachia.

Nell’antico bassorilievo rappresentante l’apoteosi di Omero, opera di Archelao di Priene figlio di Apollonio, trovato nel territorio di Marino, Feudo della casa Colonna, lungo la predella, che il poeta ha sotto i piedi, si vedono due topi. Alcuni hanno creduto che essi indicassero la Batracomiomachia, ma madama Dacier[25] ha stimato più verisimile che lo scultore volesse rappresentare con quei topi i cani di Parnaso, detrattori di Omero, e nemici impotenti della sua gloria. "Si Batrachomyomachia innueretur", dice Gronovio[26] parlando di quei topi, "cur ranæ quoque non conspiciuntur? Subest aliud: et sive mures sunt, sive glires, per eos licet colligere captam Trojam præbuisse occasionem divinis illis operibus: ad quam explicationem faciunt, quæ viri docti protulerunt de Smintho et Apolline Smintheo". Sminto, a dire del Pseudo-Didimo[27], era un luogo della Troade, in cui trovavasi il tempio di Apolline Smintio. Σμίνθος vale topo, e a Crisa nel tempio di Apolline Smintio vedevasi, al riferir di Strabone[28], la statua di quella Divinità con un topo ai piedi. Certo nel marmo, di cui parlo, sotto le figure corrispondenti si legge: "ΙΛΙΑΣ" - Iliade, "ΟΔΥΣΣΕΙΑ" - Odissea, ma in niun luogo si trova scritto: ΒΑΤΡΑΧΟΜΥΟΜΑΧΙΑ - Batracomiomachia.

La proposizione di Cesarotti, il quale sospetta che la Batracomiomachia appartenga al secolo di Luciano, parmi avanzata senza riflessione. Come infatti avrebbe potuto quel poema rendersi in un momento così celebre presso i Greci ed i Latini, e il suo autore divenire ad un tratto sì sconosciuto, che Stazio e Marziale alquanto più antichi di Luciano attribuissero la Batracomiomachia ad Omero, e Plutarco quasi suo contemporaneo la citasse sotto il nome di Pigrete, scrittore quattro secoli più antico di lui? È dunque necessario supporre che l’autore della Batracomiomachia abbia vissuto molti anni avanti Stazio, Marziale e Plutarco; ma nel tempo stesso può credersi che egli abbia fiorito dopo Teocrito e Mosco. Ecco quanto con congetture e argomenti può stabilirsi intorno allo scrittore del nostro poema. Quanto allo scopo che egli si prefisse nel comporlo, noi lasceremo ai Conti e ai Gebelin il seguire la opinione di Filippo Melantone, che si persuase aver voluto il poeta con quello scherzo ispirare ai giovinetti l’odio delle sedizioni e delle risse, e col far vincere le rane insegnare che sul capo degli autori delle contese ricade il danno che essi volevano recare altrui. Più ingegnoso è il pensamento di Pietro la Seine. Egli crede che il poeta voglia insinuare ai giovani la temperanza nel vitto, sicuramente perché resta inferiore nel combattimento la ghiottissima armata dei topi, avvezza a guerreggiare nelle dispense e nelle cucine, e rimane vittorioso l’esercito delle rane che si contenta di bever acqua, e non ama che cibi pitagorici. Daniele Heinsio dice che la Batracomiomachia fu composta per uso ed esercizio della gioventù, affinché fosse letta prima dei gravi poemi di Omero, e servisse come d’introduzione ai medesimi. Giovanni le Clerc è di opinione ben diversa. Egli pensa che la Batracomiomachia non sia che una perpetua beffa e una parodia dell’ Iliade. Infatti è evidente che quel poema è scritto ad imitazione di Omero e col suo stile, e che vi si volgono in ridicolo molti pensieri e molte espressioni che Omero applica alle cose più serie. Gonfiagote è il Paride, e Rodipane il Menelao della Batracomiomachia. La descrizione delle armature dei topi e delle rane è un’imitazione caricata delle tante di questo genere che si trovano nell’ Iliade. Giove, che vedendo prepararsi la battaglia, aduna gli Dei, è appunto il Giove di Omero vestito con abiti da commedia, e le parlate dei Numi contraffanno manifestamente quelle che Omero pone in bocca ai suoi Dei. Nella Iliade, al cominciar della battaglia fra i Troiani, ed i Greci condotti da Achille, Giove tuona, e Nettuno scuote la terra[29]; e nella Batracomiomachia, dando gli araldi e le zanzare il segnale del combattimento, Giove risponde col tuono. La minuta descrizione dei diversi modi, coi quali i topi e le rane si feriscono e si uccidono, è evidentemente tolta da Omero, che è stato lodato da alcuni per la sua fecondità nell’immaginare infinite maniere di far ferire e uccidere i suoi Eroi. Gonfiagote nella Batracomiomachia fugge da Rodipane, come Paride da Menelao nell’ Iliade[30]. Rubatocchi è l’Achille della Batracomiomachia. Egli è giovine e principe come il protagonista di Omero. Le armate dei topi e delle rane combattono ambedue con egual successo: ma comparisce Rubatocchi, e le rane son ridotte all’estremo. Così nel decimottavo dell’ Iliade comparisce Achille, e i Troiani si danno alla fuga. Giove nella Batracomiomachia lancia la folgore nel campo per salvare le rane, come nell’ottavo dell’ Iliade la lancia per salvare i Troiani. È evidente che questo Giove e gli Eroi della Batracomiomachia sono quelli dell’ Iliade volti in ridicolo, e Le Clerc sospetta che l’autore del nostro poema vi abbia posto esso stesso per istrazio il nome di Omero, come per indicare che la guerra di Troia cantata da lui non era più importante, né più degna dell’intervento degli Dei che quella dei topi e delle rane. Forse i Grammatici poco maliziosi, o i posteri poco informati, vedendo in fronte alla Batracomiomachia il nome di Omero, e non trovando quel componimento indegno di lui, non pensarono più oltre, e lo crederono suo parto legittimo. Tutto ciò, oltre che è proprio a farci abbandonare la comune opinione che riguarda Omero come l’autore della Batracomiomachia, può anche mostrare che essa non è nemmeno di Pigrete, scrittore più antico di Mosco; poiché egli, al dir di Suida[31], raddoppiò l’ Iliade, aggiungendo a ciascun verso di questa un suo pentametro, dal che apparisce che egli era pieno di venerazione per quel poema, e ben lontano dallo schernirlo empiamente e contraffarlo.

Come però il far dei bei poemi non fu privilegio esclusivo di Omero, e il non appartenergli non scema un apice del pregio vero di un’opera, la Batracomiomachia, tuttoché probabilmente di altro autore, è bellissima, e tutte le età si sono accordate nell’ammirarla e nel vantarne le prerogative. Molti poeti si sono anche studiati d’imitarla; e noi abbiamo in greco una Galeomiomachia, ossia battaglia dei topi e di un gatto, che dopo aver combattuto per qualche tempo, finalmente rimane ucciso da una trave che gli cade sopra. Elisio Calenzio, poeta del secolo decimoquinto, nativo del Regno di Napoli, molto stimato dal Pontano e dal Sannazaro, scrisse in versi latini tre libri della guerra dei topi e delle rane. Teofilo Folengo tanto conosciuto sotto il nome di Merlino Coccai, compose in verso elegiaco Maccheronico la Moschea, ossia la guerra delle mosche e delle formiche che rimangono vittoriose. Così pure Giovanni Possel, Gabriele Rollenhagen, e molti altri imitarono la Batracomiomachia, tra i quali il Pozzi che arricchì del grazioso episodio della guerra fra le donnole e gli scoiattoli il suo canto quarto del Bertoldo. È visibile che dalla Batracomiomachia fu tolto in parte il pensiero di quell’antica favola che presso il Burman nell’Appendice alle Favole di Fedro si legge così:

Mus, quo transire posset flumen facilius,
Auxilium ranae petit. Haec muris adligat
Lino priorem crus ad posterius pedem.
Amnem natantes vix medium devenerant,
Cum rana subito fundum fluminis petens,
Se mergit, muri ut vitam eriperet perfide.
Qui dum, ne mergeretur, tendit validius;
Praedam conspexit milvius propter volans,
Muremque fluctuantem rapuit unguibus,
Simulque ranam colligatam sustulit.
Sic saepe intereunt aliis meditantes necem.

Suida[32] annovera tra le opere dubbie di Omero l’ Aracnomachia, ossia la Guerra de’ ragni; la Psaromachia, ossia la Guerra degli stornelli e la Geranomachia, ossia la Guerra delle gru, probabilmente coi pigmei. Se questi poemi ci fossero pervenuti, potremmo giudicare se essi fossero veramente di Omero, o fatti ad imitazione della Batracomiomachia, o se questa piuttosto sia un’imitazione di quelli.

Dicesi che Eustazio commentasse oltre l’ Iliade e l’ Odissea, anche la Batracomiomachia, ma il suo Commento sopra quest’ultima non si è mai trovato. Demetrio Zeno di Zacinto, vissuto nel secolo decimosesto, trasportò la Batracomiomachia in versi politici greco-barbari. La sua versione fu pubblicata dal Crusio.

È tempo omai di parlare della mia traduzione. La Batracomiomachia era stata già più volte recata in versi italiani. Le traduzioni di Giorgio Summariva[33] di Carlo Marsupini[34], di Lodovico Dolce[35], di Federico Malipiero[36], del Salvini[37], di Angelo Maria Ricci[38], dell’Ab. Antonio Lavagnoli[39], di Antonio Migliarese[40], e di Marcantonio Pindemonte sono impresse. Quella di Giovanni da Falgano esiste inedita in Firenze nella Magliabechiana. La Guerra dei topi e dei ranocchi, poema in ottava rima, diviso in sei canti, e recitato in sei sere consecutive nel 1519 all’Accademia del Paiuolo in Firenze dal famoso pittore Andrea del Sarto, pubblicata per la prima volta in Firenze nel 1788 con previo avvertimento di Francesco Redi, e con prefazione ed utili e dotte note dell’editore sì all’avvertimento che al poema, non può in alcun modo dirsi traduzione della Batracomiomachia, come la chiama l’editore. Esso non è che la Guerra dei topi e delle rane cantata sulle tracce del poeta greco.

Il Rubbi diede sopra tutte le traduzioni italiane della Batracomiomachia la preferenza a quella del Lavagnoli. Ma questa, a dir vero, non è che una fredda e quasi letterale interpretazione del testo greco, fatta coll’originale e col Rimario alla mano, in versi poco eleganti, e con rime stentate e spiacevoli. Leggendone il primo verso senza saper nulla del titolo, si conosce tosto che esso appartiene ad una traduzione, tanto questa è lontana dall’aver l’aria di un componimento originale. Insomma la traduzione del Lavagnoli, che pure, a giudizio del Rubbi, è migliore di tutte le versioni italiane dello stesso poema, e che questo scrittore chiama bellissima, a me par quasi al di sotto del mediocre. Giudicando dunque che una nuova traduzione della Batracomiomachia potesse non essere inutile all’Italia, e risoluto di provarmi io stesso a lavorarla, cominciai dallo scegliere il metro. Il Marsupini avea adoprato il verso esametro italiano, forse perché il maggior ridicolo del poema consistesse nel metro; il Ricci le sestine anacreontiche, quasi la Batracomiomachia fosse un’ode, o una canzone; il Summariva e il Lavagnoli le terzine, che danno alla Batracomiomachia l’aspetto di un Capitolo del Fagiuoli, o del Berni. Il Dolce e Giovanni da Falgano si servirono dell’ottava rima, ma per le difficoltà che porta seco questo metro, le quali probabilmente mi avrebbono obbligato a comporre piuttosto che tradurre, o a servirmi di rime stiracchiate che io abborro come nemiche capitali della bellezza della poesia, e del piacere dei lettori, lo abbandonai, e scelsi le sestine endecasillabe, dei vantaggi delle quali, dopo l’uso felicissimo che hanno fatto di loro parecchi poeti, e singolarmente l’Ab. Casti, non può più dubitarsi. Tradussi non letteralmente, come il Lavagnoli, ma pur tradussi, e fui ben lontano dal fare un nuovo poema, come Andrea del Sarto. Cercai d’investirmi dei pensieri del poeta greco, di rendermeli propri, e di dar così una traduzione che avesse qualche aspetto di opera originale, e non obbligasse il lettore a ricordarsi ad ogni tratto che il poema, che leggea, era stato scritto in greco molti secoli prima. Volli che le espressioni del mio autore, prima di passare dall’originale nelle mie carte, si fermassero alquanto nella mia mente, e conservando tutto il sapor greco, ricevessero l’andamento italiano, e fossero poste in versi non duri e in rime che potessero sembrare spontanee. Finalmente divisi la mia traduzione in quattro canti, non perché di questa divisione si trovi o possa trovarsi alcun vestigio nell’originale, ma solo perché essa mi parve acconcia a distinguere e fare osservare le principali parti dei poema. Nel primo canto si narra la cagione della guerra, nel secondo se ne descrivono i preparativi, il terzo comprende il cominciamento, e gran parte della battaglia, il quarto la catastrofe e il fine della guerra. Chi non approvasse questa divisione potrà unire insieme e leggere tutti seguitamente i quattro Canti, senza essere obbligato a fare alla traduzione il più piccolo cangiamento[41].

Note

  1. Paradoxon dicere volo, licet verear nasutos censores, vel momos. Batrachomyomachia videtur mihi nobilior, propriorque perfectioni, quam Odyssea et Ilias; immo utramque superat judicio ac ingenio, et præstantia texturæ, cum sit poema ludicrum excellens. - Gaddi, De Scriptoribus non Ecclesiasticis.
  2. Martialis, Epigram. Lib. XIV. Epigr. 183.
  3. Fulgentius, Mytholog. Lib. 1.
  4. Sed et Culicem legimus, et Batrachomyomachiam etiam agnoscimus. Nec quisquam est illustrium poetarum, qui non aliquid operibus suis stilo remissiore præluserit. Statius, Silv. Lib. 1, in præf. ad Stellam.
  5. Tzetzes, Iliad. interpret. alleg. ap. Bentley Epist. ad Jo. Milium.
  6. Labbé, Biblioth. nov. mss. librorum.
  7. Proclus, in Vita Homeri.
  8. Scholiastes Sophoclis, ad Antigon. vers. 102.
  9. Scho1iastes Euripidis, ad Orest. vers. 786.
  10. Apollonius Dyscolus, De Syntaxi part. orat.
  11. Suidas, in Lex. art. Ὅμηρος.
  12. Idem, l. c. art. Πίγρης
  13. Plutarchus, De Herodoti malignitate.
  14. Stephanus, Schediasm. Lib. vi, Sched. 22.
  15. Labbé, Biblioth. nov. mss. lib.
  16. Nunnes, ad Phrynich. Dictiones Attic.
  17. Fabricius, Biblioth. Græc. Lib. II, cap. 2, § 1, edit. vet.
  18. Le combat des grenouilies et des rats est fort douteux, aussi bien que ses hymnes à Apollon, à Mercure et à quelques autres Dieux. Les plus savans critiques estiment que ces ouvrages ne sont pas de lui. - Dacier, Vie d’Homère.
  19. Bergler, Præf. ad Hom. edit. Wetsten. tom. II, pag. 14 seq.
  20. Cesarotti, Iliade, Ragionamento preliminare part. 1, sez. 5.
  21. Athenæus, Deipnosophist. Lib. XIV.
  22. Plautus, Bacchid. Act. IV, Scen. 8, vers. 46 seq.
  23. Fabricius, Biblioth. Græc. Lib. II, cap. 2, part. 1, edit. vet.
  24. Plutarchus, in Vita Agesilai.
  25. Dacier, Vie d’Homère.
  26. Gronovius, Thes. Antiquit. Græc. T. II, num 21.
  27. Pseudo-Didymus, Schol. ad Hom. II, Lib. II.
  28. Strabo, Geograph. Lib. XIII.
  29. Homerus, Iliad. Lib. xx, vers. 56 seq.
  30. Idem, l. c. Lib. III, vers. 30 seq.
  31. Suidas, in Lex, art. Πίγρης.
  32. Suidas, l. c. art. Ὅμηρος.
  33. Verona, 1470, in-4.
  34. Parma, 1492, in-4.
  35. Venezia, 1543, in-4.
  36. Ivi, 1642, in-12.
  37. Firenze, 1723, in-8.
  38. Ivi 1741, in-8.
  39. Venezia, 1744, in-4.
  40. Napoli, 1763, in-8.
  41. Anche Giovanni Ricolvi trasportò in italiano la Batracomiomachia, e la sua traduzione fu stampata in Torino nel 1772 con altri suoi opuscoli postumi. La nuova versione dello stesso poema del sig. Camillo Acquacotta, pubblicata in Matelica nel 1802, è molto fedele, e contuttociò non servile, ed è composta di sciolti molto armoniosi, onde mi meraviglio che alla lima dell’autore sia sfuggito quel verso:

    Ospite, del cibo tuo troppo ti vanti.

    Ma un poema burlesco italiano senza rime, ha un gran difetto, o almeno manca di un gran pregio.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.