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DUE
MEDAGLIE VICENTINE INEDITE
Discorrendo della medaglia, coniata in onore di Giuseppe da Porto, dissotterrata negli atri dei palazzi del conte Guardino Colleoni in Vicenza, io dichiarava che il fatto di simili disseppellimenti, segnatamente negli edifizl palladiani, non era nuovo. Avvertivo cioè che altre tre medaglie si erano raccolte in certi scavi, condotti ne’ ristauri di tre palazzi, l'uno un dì de’ Civenna ed ora del conte Giorgio Trissino, il discendente del poeta, l’altro de’ Valmarana in Vicenza ed il terzo de’ Muzzani ed ora de’ Curti a Rettorgole, una piccola terra distante quattro chilometri o poco più dalla città1. La scoperta della medaglia negli scavi del palazzo Civenna, nella via di Pontefuro in Vicenza, fu fatta a mezzo circa il secolo decimottavo. La notizia è dovuta a Ottaviano Bertotti Scamozzi, un valente architetto del secolo scorso, benemerito d’una splendida pubblicazione di tutte le Opere di Andrea Palladio. Si sa anzi da lui che l’esemplare disseppellito non era unico, ma doppio e custodito dai conti Trissino dal Vello d’Oro, proavi del possessore attuale del palazzo2. Ma la notizia, troppo succinta, non basta a far conoscere quale fosse veramente la medaglia, ora smarrita. Nulla vi si dice della dimensione, nulla di ciò, che vi si rappresentava così nel diritto, come nel rovescio. Inteso a far rilevare il tempo, in cui s’eran gettati i fondamenti e condotto a termine il palazzo, l’architetto si contentò di riprodurre la sola leggenda: ANNO • MDXXXX • CIVENNARVM • FAMILIA. Fu suo proposito cioè di far rilevare per essa che il palazzo s’era edificato non da’ Trissino, come credevasi, ma da’ Civenna, una famiglia salita allora in ricchezza per la mercatura, e non su disegno forse del Palladio, che nel 1540 contava ventidue anni, né si era rivelato ancora per opera alcuna, che dovesse farne presagire la futura grandezza3.
Ben altra fu la sorte della medaglia dissotterrata il 1828 sotto il plinto d’una colonna dell’atrio del palazzo Valmarana, costruito su disegno del Palladio in via Pozzo rosso. L’esemplare, del diametro di centimetri quarantadue, è custodito nel Museo Civico di Vicenza. Vi si rappresenta nel diritto il busto di una donna, volto a destra, col collo circondato d’una pezzuola inamidata, a crespe, e con la testa chiusa in una cuffia, dalla quale non esce nemmeno un capello. Si direbbe quasi che la donna, raffigurata, fosse calva. Il rilievo, ancorché logoro alquanto, accusa, non v’ha dubbio, la mano d’un artefice provetto. Vi si legge all’ingiro: ISABELA • NOGA • VALM • V • AET • S • A • XXXXX • Il rovescio reca uno scudo di forma ovale, contornato di fregi in bel rilievo con nella parte superiore una maschera. Il campo è diviso in quattro quarti. In due, l’alto a sinistra e il basso a destra, sta scolpito lo stemma de’ Valmarana, che consiste in una lista di rombi, o fusi. Nei due altri quarti son foggiate tre bande merlate e contro doppio, Tarma gentilizia dei Nogarola. A sinistra dello scudo v’ha una I, che è l’iniziale forse d’Isabella, e a destra una V, forse Valmarana e a piedi il millesimo 15664.
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Chi fosse, ne’ particolari della vita, Isabella Nogarola, non è certo facile a dire. Si sa unicamente, che il casato, onde usciva, era antichissimo. Il Da Schio non dubita nemmeno ch’esso traesse le origini da Nogarole, una terra vicentina a ridosso d’Arzignano, e che si dividesse poi in due rami, l’uno de’ quali tramutavasi in Verona, durante la signoria degli Scaligeri5 e saliva in bella riputazione per la singolare cultura di quattro donne, prima delle quali la celebre Isotta. Il ramo, che non si tolse a Vicenza ed ebbe a illustrarsi sopra tutto per gli studi di Leonardo, un dotto filosofo del secolo decimo quinto6, venne a spegnersi verso la fine del secolo decimo sesto. Degli ultimi rampolli fu, per quanto giova credere, Isabella. Dalla medaglia, il più grande documento che la riguardi, risulta che fu moglie di Gianluigi Valmarana e che nel 1566, quando gettavansi, com’è a credere, i fondamenti del palazzo palladiano, toccava i cinquantanni. Era nata adunque nell’anno 1516. Quanto tempo avesse ancora dopo il 1566, quand’era già vedova del Valmarana, vivo aricora nel 15587, non è datò conoscere. Le ceneri di lei, sepolta nella cripta del tempio di Santa Corona in Vicenza, furono levate dalla tomba primitiva e deposte nel 1597 in un nuovo sepolcro, preparato a’ suoi cari dal figlio Leonardo8.
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Ho detto che l’impronta d’Isabella accusa la mano d’un artista perito. Ma chi fosse codesto artista non è dato conoscere, se pur non apparteneva alla schiera de’ Vicentini, o forse degli altri. assai valenti, che fiorivano nella Venezia, e de’ quali si giovavano all’occorrenza, com’ebbi altra volta a notare> i patrizi vicentini del secolo decimo sesto9. Non lascio però di ricordare che lo studio del bello era tutt’altro che estraneo a’ Valmarana. Devesi a Gianluigi, sopra tutto, se per il ristauro della Basilica di Vicenza si prescelse il disegno del Palladio. E un culto speciale s’ebbe pure, nella famiglia, per la Numismatica. Il ramo de’ Valmarana, a cui apparteneva Gianluigi, il marito della Nogarola, possedeva anch’esso, come i Fortezza, i Gualdo, gli Scroffa e diciamo anche il Belli e il Chiericati, arcivescovo d’Antivari e primate della Serbia, una bella collezione di medaglie, impreziosita dal Nerone del Porto10.
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Ultima ad essere dissotterrata fu la terza delle tre medaglie. La scoperta è dovuta a Domenico Curti11 un ricco farmacista di Vicenza, che, divenutone signore, faceva demolire nel secondo quarto del secolo decimonono, gli avanzi di un palazzo, riputato del Palladio, in Rettorgole, a quattro chilometri, o poco più, come s’è già detto, da Vicenza. La medaglia del diametro di cinquantatre millimetri ricorda con l’anno dell’edificazione il nome del signore del palazzo. Il diritto rappresenta il busto di un individuo sulla cinquantina, dall’aspetto severo, col capo scoperto, volto a destra, la barba e i capelli crespi, assai corti, vestito d’una toga alla foggia degli antichi romani. Reca all’ingiro la leggenda: CLAVDIVS • MVCIANVS • C • E • E • V • È raffigurata nel rovescio un’impresa per una torre merlata, illuminata dal sole, che manda i suoi raggi col motto: ET • IN • TENEBRIS • M • D • L • X • VII.
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Ben poco, per non dir quasi nulla, si sa di Claudio Muzani. Il Magrini lo dice fratello di Antonio, di Troilo e di Silia, tre amici del Palladio12. Dalla sola medaglia si apprende ch’egli, oltrecchè cittadino di Vicenza, fosse cavaliere C(ivis) E(t) E(ques) V(icentini), A questo titolo devesi forse il costume della toga romana, ond’è vestito il busto. E più che al titolo è a credere si connetta ad altri motivi, comuni nel secolo decimo sesto, in forza specialmente dello studio prevalente della antichità. Anche i Muzani per una certa analogia del cognome facevano risalire le origini del loro casato a’ Romani. Pretendevano cioè di discendere nient’altro che dall’antichissima famìglia de’ Muziani, tramutatasi nel 361 da Roma in Milano insieme con sant’Ambrogio, e da Milano poi in Vicenza. Il fatto, del resto, notevole e unico, di Claudio è l’edificazione del palazzo palladiano di Rettorgole, rivelatosi per la medaglia, dissotterrata dal Curti; palazzo pregievole anche per i vari dipinti di Paolo Veronese e dello Zelotti13.
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Che il Muzani aspirasse, ciò non pertanto, a qualche cosa, che lo dovesse levare al di sopra del comune degli uomini, sembrerebbe farsi chiaro per l’impresa, ch’egli assumeva. Ho detto sembrerebbe, poichè si sa che nel secolo decimo sesto "da’ grandi signori, o capitani a’ più inetti accademici, che cicalavano per le aule d’Italia, tutti cercavano un corpo e un’anima d’impresa, e più quelli, il cui corpo e la cui anima non valea nulla14.„ Ignorasi se il Muzani immaginasse da sè l’impresa, o ricorresse ai maestri dell’arte. Parrebbe ad ogni modo che anche a lui, benchè ignoto, non mancasse l’aspirazione all’attuamento di qualche nobile ideale; se pure l’insieme dell’impresa non alludeva al motivo per il quale era stata coniata la medaglia, di rimanere sepolta cioè ne’ fondamenti del palazzo.
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Come della medaglia in onore della Nogarola, così tornerebbe difficile, per non dire impossibile, definire l’autore dell’impronta del Muzani. Anche logora com’è, la medaglia non lascia di rivelare nella squisita fattura del rilievo il lavoro d’una mano valente. E, non v’ha dubbio, la mano d’uno di quei tanti artefici, non importa se di Vicenza o d’altrove, i quali senza curarsi gran fatto di tramandare ai posteri i lor nomi, trattarono nel secolo decimo sesto il punzone, lasciando numerosissime prove della loro singolare perizia dentro e fuori d’Italia.
Vicenza, novembre 1893.
- ↑ Medaglia in onore di Giuseppe Da Porto, nella “Rivista Italiana di Numismatica, „ Anno V, fasc. III, Milano, 1892. — La leggenda reca non portvs come fu stampato, ma portivs.
- ↑ Bertotti Scamozzi, Il Forestiere istruito, pag. 45. Vicenza 1761 e pag. 36. Vicenza, 1804. — Idem, Le Fabbriche e i disegni d’Andrea Palladio, Tom. I, pag: 105. Vicenza, 1796. — Vedi anche, Magrini, Memorie su Andrea Palladio pag. II, in note. Padova, 1845.
- ↑ Magrini, op. cit.
- ↑ V. Magrini, Op. cit., pag. XXIV in note. — Vedi anche Da Schio, Memorabili. Famiglie Nogarola e Valmarana, msc. nella Comunale di Vicenza.
- ↑ Da Schio, Op. cit.
- ↑ Calvi, Biblioteca degli scrittori Vicentini tom. III, pag. XXX. Vicenza 1775
- ↑ Da Schio, Memorabili loc. cit.
- ↑ Faccioli, Musaeum Lapidarium Viceniinum, pars. I, pag. 236, n. 25. Vicentiae 1776.
- ↑ Vedi Medaglia in onore di Giuseppe Da Porto nella «Rivista italiana di Numismatica, loc. cit.
- ↑ “Gli heredi del Conte Ercole Fortezza havevano una raccolta di bellissime medaglie et un rarissimo quadro di Rafaello: li signori Conti Valmarana di S. Lorenzo parimenti molte belle medaglie antiche, fra le quali il Nerone del Porto. „ Girolamo Gualdo, Vicenza Tamisata, Msc., Cl. VI, cod. CXLI, n. 6, nella Marciana.
- ↑ Magrini, Memorie di Andrea Palladio, pag. 283, nota 89. Padova 1845.
- ↑ "Magnificus Sila vir religione et pietate insignis Magn. Hieronymi Eg. Fr. ex vetustissima Mutianorum Familia, quae Roma cum D. Ambrosio anno Dom. CCCLXI. Mediolanum inde vero Vicentiam translata est, Monumentum lave sibi prisque Posteris aedificavit anno a Portu Virgineo MDLXXVII.„ Faccioli, Musaeum Lapidarium Vicentinum, pars HI, pag. 280, n. 57. Vicentiae 1804.
- ↑ Magrini, Op. et loc. cit.
- ↑ Giovio, Ragionamento sulle imprese, nella Prefazione del Teóli, pag. XII. Milano, 1863.