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Er vino novo Li bbaffutelli
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

E DDOPPO, CHI SS'È VVISTO S'È VVISTO

     Come sò st’omminacci, Aghita, eh?
Pareno cose de potesse dì?
Sin che nun te lo fai mettelo ccqui,
Sò tutti core e ffedigo1 pe’ tté.

     Ma una vorta che jj’hai detto de sì,
Appena che jj’hai mostro si cc’or’è,
Bbada, Aghituccia, e ffidete de mé
Che te sfotteno er cane2 llì per lì.

     Ecchete la mi’ fine co’ Cciosciò:
Viè: ppare un santo, un fiore de vertù:
Io me calo le bbraghe3 e jje la do.

     Ce sei ppiù stata da quer giorno tu?
Accusì llui: da sì che4 mme sfassciò,
Ggesù Ggesù nnun z’è vveduto ppiù!


Terni, 9 ottobre 1831 - D’er medemo

  1. Fegato.
  2. Ti abbandonano. Frase presa dal volgare de’ militari francesi: foutre le camp.
  3. Calarsi le braghe: cedere.
  4. Da quando.

Note

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