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Non ultima gioia della vecchiezza è la rispettabilità che la circonda. Sia nei modesti travagli dell’officina o dei commerci, come nelle sfere più alte dell’arte, delle lettere, o delle scienze, o nelle svariate faccende delle professioni liberali; il vecchio deve essersi fatto un posto al sole, deve aver acquistato una certa superiorità, che gli viene dalla lunga pratica. Egli deve essere un maestro, e i francesi con fino accorgimento, con nessun’altra parola credono di onorare un grande artista o un grande scienziato, che chiamandolo non cher maître.
E maître non si può essere quasi mai che con i capelli bianchi, maître non si può essere che dopo essere stati modesti operai in una delle tante officine del pensiero, dopo aver sudato e pianto sul calvario della gloria, provando e riprovando; alternando i sudori freddi del dubbio con la febbre ardente della fede.
E il maestro riposa ormai contento di sé e degli scolari che lo circondano e lo ammirano, e nei quali egli ha versato tanto tesoro di idee. Paternità sacra e veneranda più di quella che vien dal sangue, perché nella coppa della vita non siamo noi soli i mescitori; ma nella scuola e nell’officina il maestro è in una volta sola padre e madre, genitore duplice e sempre legittimo.
In molti casi maestro è più che padre, e povero, infelice quel padre, che giunto alla vecchiaia e guardando i propri figli, non può dire con giusto orgoglio e intima compiacenza:
Io sono stato il loro maestro!