< Elogio della vecchiaia < VIII
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Capitolo ottavo: La pipa
VIII VIII - Abitudine e simmetria

Felice il vecchio, che non ha mai fumato e non invidia i fumatori; ma pur troppo gli amici del tabacco son molti, e tutta la popolosa schiera degli infelici, dei malcontenti, degli annoiati trova nella nicoziana un conforto, una sorgente feconda di piccole gioie.

Fra i fumatori, nessuno fuma meglio né con arte più epicurea del vecchio.

Se preferisce la pipa, ha per essa un culto, un’adorazione, che non si suole avere che per le cose più sante.

Nessuno l’ha a toccare fuori che lui, nessuno la deve ripulire e tener tersa e lucente fuor di lui.

La pipa è per lui quasi una creatura viva, appunto perché vive con lui, accompagnandone i pensieri, i ricordi, le voluttuose sonnolenze.

È anche per questo, che preferisce fumare nella solitudine della sua cameretta o della sua passeggiata.

Due quadri della vita umana ho veduto spesso, in apparenza molto diversi, in sostanza molto simili: una mamma che lava il proprio bambino, un vecchio che ripulisce la propria pipa.

E le mamme non gridino al sacrilegio, perché nel mondo dei viventi non v’ha fibra o cellula, che non si con leghi per nervi invisibili alle fibre e alle cellule le più lontane.

La mamma amorosa contempla il suo angioletto e lo ammira e ne segue con l’occhio e con la mano purificatrice i rosei contorni, palleggiandone le soavi rotondità, giuocherellando con le membra minute, che guizzano e saltellano nell’onda amica. È una tempesta di carezze e di baci che copre il ciangottar dell’acqua; è una profonda sensualità delle mani, che accarezzano, che palpano e direi quasi che parlano con le carni tenerelle e fresche. Carni belle e palpitanti di vita e che son carni della mamma, perché le ha fatte lei e le ricordano tutto un mondo di voluttà ardenti, di lunghi dolori, di lunghissime trepidazioni.

E il vecchio ha la sua pipa, che per quanto fragile, ha già dieci anni di vita vissuti senza ferite e senza accidenti, ma con molto onore; dacché le zone del tempo che fu vi hanno scritto la loro storia in tante ondette, che dal bianco dorato vanno fino al nero dell’ebano. Quanto fumo è passato attraverso i pori di quella lucidissima pietra e quante dolci meditazioni hanno accompagnato quel fumo! In quelle tinte di ambra, di magogano, di noce, il vecchio ripensa mille pensieri giocondi e le tante ore vissute senza dolore e senz’ira.

E quando la cava dal suo astuccio e la ripulisce cautamente, pazientemente, rispettando le carezze del tempo, ma levando ogni granello di cenere e passando e ripassando per il fornello, per il tubo e levigando l’ambra e rimettendola in assetto di guerra, prova un gran piacere, che ai non fumatori può sembrare puerile, ma ai veri artisti della nicoziana è tutto un poema.

Chi ha veduto nella buvette del Senato il generale Durando con la sua eterna pipetta di gesso in mano e l’ha seguito nelle amorose cure che le prestava, può intendere le infinite compiacenze del vecchio fumatore, i suoi tanti e lunghi colloqui con la sua cara compagna di schiuma o di gesso.

Anche per il sigaro il vecchio può aver moine e carezze, ma la poesia è molto minore, perché si rivolge a una creatura che vive un quarto d’ora.

Il sigaro è un amore di passaggio, la pipa è un’amante, anzi una moglie; ma una moglie rimasta sempre amante.

La mano alquanto tremula, che sfila un Virginia e vi passa e ripassa la fida paglia, che gli ha tenuto lunga compagnia, è una mano che gode.

La mano che taglia la punta di un biondo e nervoso Avana, è una mano felice, perché promette al vecchio epicureo sogni e profumi.

Ma Virginia e Avana sfumano fumando e di loro ahimé non rimane che un po’ di cenere; mentre la pipa, dopo averci offerto l’olocausto del suo altare, rimane nel nostro taschino accanto al cuore; tiepida dell’ultimo fiato, promettitrice di altre gioie future, fino all’infinito.

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