< Elogio della vecchiaia < VIII
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Capitolo ottavo: La poltrona
VIII - Abitudine e simmetria VIII - Libro vivo e parlante

Sarà questa una gioia egoista, ma è anche una gioia umana; quella cioé di star seduti e di veder gli altri in piedi.

Sarà nel piccolo teatro della commedia o della tragedia o nel gran teatro del mondo sociale; ma voi siete arrivato prima e avete trovato una sedia e vi restate. La vostra età vi dispensa di offrirla anche alle signore e vi restate.

Non è forse vero, che tante e tante volte siete rimasto in piedi, stretto e soffocato dalla folla, che vi pestava i piedi e vi apppestava con il suo fiato?

Non è forse vero, che per molti anni avete ceduto il vostro posto alle signore perché donne; ai poveri perché infelici; ai bambini perché piccini; a molti e molti perché prepotenti?

Ma oggi siete vecchio e avete diritto a sedere prima d’ogni altro e vi sedete senza rimorsi; magari forse in una soffice e profonda poltrona, che vi abbraccia tutto quanto, che vi fa sentire dal capo ai piedi che ogni particella del vostro corpo s’adagia e riposa.

Se poteste, alzandovi e cedendo il vostro posto, far sedere tutti quelli che stanno in piedi, lo fareste ben volentieri; ma ahimé sono troppi e son più giovani di voi e più forti. Pazienza! Si siederanno anch’essi, quando voi, facendo l’ultimo viaggio, avrete lasciato loro libera la vostra sedia; quando anch’essi avranno i capelli bianchi.

Per ora il sieduto siete voi, e vi perdono anche, se sorridete un pochino, cedendo l’andare e il venire e l’affannarsi e lo strepitare dei molti, che cercano invano una sedia; fosse pure di paglia o di legno.

Tutti gli uomini nati sotto il sole possono sedere, dacché a tutti quanti la mamma ha dato l’organo per poterlo fare; ma pur troppo non sono gli organi che mancano, ma le sedie. Anzi è appunto in questo squilibrio fra i sederi e le sedie che sta il grande problema sociale e per la cui soluzione son tante le proposte, quanti sono i cervelli umani.

Sia ad una conferenza o in una chiesa, in un teatro o in un meeting; se voi guardate d’un colpo d’occhio tutti gli atteggiamenti dei seduti, vedrete quanto sieno diversi secondo la loro età. I giovani son sempre seduti per metà, quasi volessero mantenersi pronti alla partenza. Hanno troppo da vedere all’intorno, signore o amici o nemici. E poi hanno sempre come un piccolo rimorso di star seduti, quando molti stanno in piedi e guardano allora in terra o fanno il distratto e guardano per aria, come chi commette un peccato. C’è là nel fondo una signora in piedi, c’è un conoscente che è zoppo, c’è un loro maestro, che invano hanno cercato una sedia. Ed essi son seduti; ma il rimorso guasta loro la gioia del riposo e sono inquieti e dispiacenti. La sedia c’è, ma nel cuscino ci sono nascoste delle spine psichiche.

Il vecchio invece non ha nel suo cuscino che voluttà; voluttà piena, senza alcun pentimento, senza alcun rimorso.

Perché questi signori che sono in piedi non son venuti prima, perché non hanno fatto una corsa? Io son seduto e ci sto bene, anzi benissimo. E le mani del vecchio si appoggiano sul bastone per aggiungere riposo a riposo e i suoi sguardi lentamente e lungamente girano all’intorno, compiangendo i non seduti.

Egli possiede col diritto più sacro, quello dell’occupazione legittima.

Egli pronunzia entro di sé le parole del romanzo antico, ripetute in Roma da un gran re moderno: hic sumus et hic manebimus optime.

Dal teatro, dalla sala, dalla chiesa portate il vecchio nel gran circo del mondo e anche là vedrete ripetersi su più vasta scala la stessa scena; perché anche là nella scala della gerarchia avete pochi seduti e molti in piedi, e le sedie son di tante e più categorie che nel teatro, nella sala e nella chiesa.

E anche là il vecchio rimane seduto beatamente e senza rimorsi, mormorando sempre:

Hic manebimus optime!

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