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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847
ER CARDINALE SOLOMÌTO.1
Bbadi, Eminenza. Iddio sto perzichino
Nu’ lo vò un corno: Iddio è un cane grosso2
Che un giorno o ll’antro3 pò arrivàvve all’osso
E ddavve er gusto de strillà Ccaino.4
Lui ve sopporterà, ssor prete rosso,
Un anno, dua, tre, cquattro, ccinque, inzino
Che jje zzómpi5 la mosca sur nasino
Eppoi ve striggnerà lli panni addosso.
Dio fa ccampana e ccapoccella,6 e vvede
E ssente tutto, e cce n’ha ppochi spicci
E ggnente da spiccià,7 ssi8 llei sce crede.
Com’è ito a ffinì ppe’ sti crapicci
Qòuer tar9 prelato?... Morze e sse n’aggnede10
A aspettà ar callo11 er zor Tomasso Sgricci.12
17 agosto 1835
- ↑ Sodomita.
- ↑ È un personaggio potente.
- ↑ Altro.
- ↑ Così dicesi dell’abbaiare, anzi dell’ululare e doloroso dei cani.[Vedi in questo volume la nota 1 del sonetto:L'ordegno ecc., 24 nov. 31.]
- ↑ [Che gli salti.]
- ↑ Sta in ascolto e fa capolino.
- ↑ Non bada: è risoluto nell’operare. [In Toscana nello stesso senso: Averne pochi degli spiccioli e meno da spicciolare.]
- ↑ Se.
- ↑ Quel tal.
- ↑ Morì e se ne andò.
- ↑ Ad aspettare al caldo.
- ↑ [Il celebre poeta estemporaneo, che improvvisava, Dio ce ne scampi e liberi, perfino intere tragedie; nato a Castiglion Fiorentino nel 1788, morto a Firenze il 23 luglio 1836, cioè poco meno di un anno da che il Belli ebbe composto questo sonetto. Il Carrer, nella biografia che scrisse di lui, dopo aver parlato della pensione concessagli dal Granduca di Toscana, e delle medaglie coniate in suo onore, e dei diplomi accademici, e degli elogi d’ogni maniera tributatigli da uomini letterati e da giornalisti, aggiunge: “Fu per poco che non lo si laureasse in Campidoglio, e quando sia vera la fama, non a mancanza di merito letterario (ciò che non poteva essere nello Sgricci, specialmente rispetto agli altri prima di lui stimati degni di quell’onore), ma devesi attribuire ad altre cagioni la sospesa incoronazione. Sono queste stesse cagioni che ci fanno por fine alla nostra relazione biografica, deplorando che a certe ammirabili singolarità intellettuali si accoppino talvolta certe singolarità d’indole affatto opposta...„ Biografia degli Italiani illustri ecc., pubblicata per cura di E. de Tipaldo; vol. III; Venezia, 1836; pag. 403. — Il Giuseppe Giusti poi, toccando come altre volte, senza saperlo, lo stesso tasto del Belli, scriveva quel Salmo in morte dello Sgricci e altri fedeli, che manca nelle edizioni Barbèra e Le Monnier tra le Poesie giovanili e rifiutate dall’Autore, e che in altre edizioni (per esempio, Livorno, Rossi, 1860) è addirittura relegato tra le apocrife; ma che invece egli stesso dichiara suo, mettendolo tra i Figliuoli naturali ai quali il Babbo stenta a dare il proprio casato, e giudicandolo, troppo severamente di certo, "una porcheria degna di fuoco e di zolfo, come l’Eroe celebrato.„ Cfr. Frassi, Vita di G. Giusti, premessa all’Epistolario; cap. VII.]
Note
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