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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
ER ZIGGNORE E CCAINO
“CAINO! indov’è Abbele?.„ E cquello muto.
“CAINO! indov’è Abbele?.„ Allora quello:
“Sete curioso voi! chi ll’ha veduto?
Che! ssò1 er pedante io de mi’ fratello?„
“Te lo dirò ddunqu’io, bbaron futtuto:
Sta a ffà tterra pe’ ccesci:2 ecco indov’èllo.3
L’hai cuscinato4 tù ccór tu’ cortello
Quann’io nun c’ero che jje dassi ajjuto.
Lèvemete5 davanti ar mi’ cospetto:
Curre p’er grobbo6 quant’è llargo e ttonno,
Pozz’èsse7 mille vorte mmaledetto!
E ddoppo avé ggirato a una a una
Tutte le strade e le scittà dder monno,
Va’, ccristianaccio, a ppiaggne8 in de la luna.„9
2 aprile 1834
- ↑ Sono.
- ↑ Andare a far terra per ceci: stare a far terra per ceci: morire; esser morto.
- ↑ Dove egli è.
- ↑ Cucinato: spacciato.
- ↑ Lèvamiti.
- ↑ Globo.
- ↑ Possa tu essere.
- ↑ Piagnere.
- ↑ Non v’ha buona madre, che non mostri a’ figliuoli la luna piena, dicendo loro: “Vedi, figlio, quella faccia? È Caino che piange.„
Note
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