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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
ER CANE FURISTIERO
Sete voi la padrona de cuer cane
Che vviè a mmagnà l’avanzi cquà dall’oste
E scrope1 li tigami, e arrubba er pane,
E ssi sse caccia via sarta2 a le coste?
Duncue da parte sua v’ho d’avvisane
Che sta bbestia je svia tutte le poste,
E pportassi3 per dio cento collane
Er mi’ padrone je vo ddà le groste.4
E aricurrete poi, sora paìna,5
Cuann’er cane è slombato in su la piazza,
Ar giudice Accemè de la farina.6
Voi ggià rrugate perchè ssù a Ppalazzo
Ciavete7 er sor Ennenne,8 chè pper dina
Tra ccani nun ze mozzicheno un cazzo.
22 gennaio 1832
- ↑ Scopre.
- ↑ Salta.
- ↑ Portasse.
- ↑ Dar le groste: battere.
- ↑ Azzimata.
- ↑ Qui, tra per ischerno ed ignoranza, colui che parla confonde il giudice A. C. Met., cioè l’uditore della camera stesso, Auditor Camerae Met., e l’altro della farina, magistrato in oggi a Roma non esistente, ma al quale per derisione si esortano a ricorrere coloro che non troverebbero giustizia altrove sulle loro querele.
- ↑ Ci avete.
- ↑ Questo nome di Ennenne è tratto dai due protogrammi N.N. che si pongono, scrivendo, nel luogo che dovrà occupare un nome personale.
Note
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