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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
ER CONFESSORE DE MANICA LARGA1
Doppo morta mi’ madre, io da zitella
Fascevo le mi’ sante devozzione2
Da un certo Padre Bbiascio3 bbennardone,4
Che mm’annava5 inzeggnanno6 st’istoriella.
Me disceva accusì: “Ffijja mia bbella,
Trall’opere cattive e cquelle bbone
Bbisoggna abbadà bbene all’intenzione,
Pe’ nnun confonne7 mai questa co’ quella.
Ecco, pe’ ssemprigrazzia,8 io te do un bascio.
Si9 ttu lo pijji per offenne10 Iddio,
Questo, fijja, è peccato; e vvàcce adascio.11
Ma ssi ttu nner pijjatte12 er bascio mio
Vòi dà ggusto ar Ziggnore e ar Padre Bbiascio,
Pijjelo,13 fijja, e ffa’ ccome facc’io.„
1 novembre 1833
- ↑ Ciò vuol dire “indulgente„; ma qui è un quietista.
- ↑ Fare le divozioni, vale: “accostarsi alla penitenza e all’eucaristia.„
- ↑ Biagio.
- ↑ Bernardone, di S. Bernardo.
- ↑ Mi andava.
- ↑ Insegnando.
- ↑ Per non confondere.
- ↑ Exempli-gratia.
- ↑ Se.
- ↑ Offendere.
- ↑ Vacci adagio.
- ↑ Nel pigliarti.
- ↑ Piglialo.
Note
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