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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847
ER MOSTRO DE NATURA
Che vvòi che sseguitassi! Antre campane
Sce vonno, sor Mattia, pe’ cquer batocco!
L’ho ssentit’io ch’edèra1 in nel’imbocco!
Ma ffréghelo, per dio, che uscello cane!
Va ccosa ha d’accadé mmó a le puttane!,
De sentimme bbruscià cquanno me tocco!
Si è ttanto er companatico ch’er pane,
Cqua ssemo a la viggija2 de San Rocco.3
N’ho ssentiti d’uscelli in vita mia:
Ma cquanno m’entrò in corpo quer tortore4
Me sce fesce strillà Ggesummaria!
Madonna mia der Carmine, che orrore!
Cosa da facce5 un zarto6 e scappà vvia.
Ma nun me frega7 ppiù sto Monzignore.
Roma, 9 dicembre 1832
- ↑ Cos’era.
- ↑ Vigilia.
- ↑ Nell’ospizio annesso alla chiesa di S. Rocco si raccolgono le donne prossime ai parti di contrabbando.
- ↑ Tortore è in Roma «un ramo d’albero troncato in misura giusta per ardere nei camini».
- ↑ Farci.
- ↑ Salto.
- ↑ Non mi corbella, non mi ci prende più.
Note
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