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Le nozze de li sguallerati La quarella d'una regazza
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

ER PECCATO FIACCO

     Jjeri da bbon cristiano pascualino,1
Pe’ ppaura de San Bartolomeo,2
M’annai a cconfessà da cuer cazzeo
De padre Bbonifazzio a Ssan Carlino.

     Prima je disse che mme piasce er vino,
Poi che ttiro un’ombretta ar culiseo;
E cquarche vvorta, pe’ mmutà un tantino,
Sò de la riliggion der Manicheo.

     M’accusai de superbia ar fin de tutto.
Er confessore cqua: «Ffijjo, sei ricco?».
E cqua io: «Padre no, ssò ssempre assciutto».

     «Fijjo, cuann’è accusì, llassa fà, llassa»,
Repricò er confessore: «io me sc’impicco
Si sto peccato tuo nun te se passa».


Roma, 2 dicembre 1832

  1. Aggiunto che si dà a coloro che confessansi una sola volta all’anno, nella ricorrenza della Resurrezione.
  2. Fra i ponti Cestio e Fabricio, sull’isola Tiberina originata dalla sommersione dei manipoli di grano di Tarquinio il Superbo, è il tempio di S. Bartolommeo, nel di cui portico il giorno 25 agosto di ogni anno appendesi un cartello portante una cinquantina di nomi degl’infimi della città, che si suppone essere stati in Roma i soli non accostatisi alla Eucaristia nella Pasqua antecedente.

Note

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