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ER POVÈTA ARISCALLATO.1
Accidenti, per dio! cuesta è la prima,
Che mm’è ssuccessa in ventott’anni e mmezzo.
Cosa ve dole? v’ho llevato un pezzo
De nobbirtà? vv’ho dditto una bbiastima?2
Pe’ ddu’ parole che ssò entrate in rima,
Fate sta puzza,3 e jje roppete er prezzo,4
Dànnome5 der gruggnaccio verd’e mmezzo,6
Cuanno oggnuno Iddio sa ccosa me stima!
A mmé ttisico marcio! a mmé cceroto!
A mmé stinchetto co cquarc’antra cosa,
Che vve conzòli un fir7 de terramoto!
Io c’ho una guancia tanta appititosa,
Che ssi viè Rraffaelle Bbonaroto
La pijja a ccalo8 pe ccolor de rosa!
Roma, 9 gennaio 1833
Note
- ↑ Riscaldato: irato. Vedi anche Aggiunta alla nota 1.
- ↑ Bestemmia.
- ↑ Chiasso, bravata.
- ↑ Date in escandescenza, prorompete, ecc.
- ↑ Dandomi.
- ↑ Mézzo, colla e stretta e con le zz aspre: vizzo.
- ↑ Un fil.
- ↑ Il pretendere a calo è frase appartenente a quel contratto, che si fa comperando la cera in candele pel solo prezzo della parte da consumarsi, rendendo poi il resto.
- Note.
Aggiunta alla nota 1[modifica]
[Il 6 gennaio 1833, il Belli mandava in dono alla cugina Orsola Mazio (Cfr, vol. V, pag. 162-64) pinocchiate e ossi di morto o stinchetti, con una letterina in versi, nella quale, scherzando, le dava i titoli di spapòrchia e di ciarafàna. La cugina rispose il giorno 8:
Spaporchietta quale io sono, |
E il Belli notò in margine di aver replicato il giorno 9, con un sonetto romanesco della sua raccolta, che è senza dubbio il presente.]